Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3833 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 3833 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16193-2018 proposto da:
COGNOME RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 123/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 28/02/2018 R.G.N. 883/2017;
Oggetto
R.G.N. 16193/2018
COGNOME
Rep.
Ud. 16/10/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RITENUTO CHE
L’attuale ricorrente, titolare di pensione diretta, con decorrenza 1 maggio 1977, integrata al trattamento minimo fino al 31 maggio 1996, e di pensione di reversibilità sulla quale l’integrazione al trattamento minimo veniv a spostata con decorrenza dal 1° giugno 1996, chiedeva la rideterminazione del rateo pensionistico a calcolo (ovvero senza l’integrazione al trattamento al minimo) con l’inclusione degli aumenti previsti per perequazione automatica anche sulla pensione diretta, con riferimento alle pensioni integrate al trattamento minimo, dall’art. 19 legge n. 153/1990.
Il primo giudice ha rigettato la domanda.
La Corte d’appello di Lecce, con la sentenza ora impugnata, rimarcando che la controversia ineriva al concorso di più pensioni a carico della stessa gestione (pensione diretta e di reversibilità), riteneva il trattamento d’integrazione al minimo spettare sul trattamento pensionistico di reversibilità, in quanto costituito da un numero di contributi settimanali non inferiore a 781, erogato dalla stessa gestione della pensione diretta in godimento, non rilevando il superamento dei redditi, a mente del comma 3, parte seconda, art.6, legge n.683/1983.
Avverso tale sentenza ricorre NOME COGNOME con ricorso affidato a due motivi, cui resiste l’INPS con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con i motivi di ricorso la parte ricorrente si duole di violazione dell’art.6, legge n.683/1983 (primo mezzo) e di omesso esame di un dato decisivo (così testualmente nel ricorso) ed erronea interpretazione delle norme sulla decadenza (secondo mezzo).
Il ricorso è da rigettare.
Vale premettere che l’omesso esame, recte l ‘omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado che deve essere fatto valere attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo, la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello.
Inoltre, in ipotesi di denuncia di un error in procedendo, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, cosicchè il ricorrente è tenuto – in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli del corretto svolgersi dell’iter processuale – non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma anche a specificare le ragioni della violazione, in coerenza con quanto prescritto dal dettato normativo, secondo l’interpretazione da lui prospettata (cfr., ex plurimis, Cass. 21621 del 2007).
Coerentemente, con riferimento all’ipotesi in cui sia stata denunciata l’omessa pronuncia da parte del giudice di secondo grado sulle doglianze mosse in appello, è necessario che nel ricorso per cassazione siano esposte quelle specifiche circostanze di merito che avrebbero portato all’accoglimento del gravame, non potendo ottemperarsi a tale principio mediante il
mero generico richiamo ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio.
Ove l’error in procedendo inerisca alla falsa applicazione del principio tantum devolutum quantum appellatum, l’autosufficienza del ricorso per cassazione impone che, nel ricorso stesso, siano esattamente riportati sia i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa sia stata dedotta in giudizio, sia quelli del ricorso d’appello con cui le censure, asseritamente pretermesse, siano state formulate.
Nessuno di tali oneri risulta ottemperato ai fini dell’adeguata devoluzione del mezzo volto a scalfire il preteso assorbimento dell’eccezione inerente alla decadenza, sostanziale e processuale, per effetto del rigetto nel merito, a fronte della ratio decidendi della sentenza ora gravata che, all’evidenza , ha rimarcato non versarsi in ipotesi di superamento dei limiti reddituali e della relativa cornice normativa.
La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore dei giudici del merito e impedendo il riscontro, ex actis, dell’asserita omissione rende, pertanto, inammissibile il motivo.
Quanto alle ulteriori censure, va rilevato che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione delle disposizioni normative che governano il thema decidendum.
Dispone il d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, comma 3, nel testo risultante dalla legge di conversione 11 novembre 1983, n. 638, che: Fermi restando i limiti di reddito di cui ai precedenti commi, nel caso di concorso di due o più pensioni l’integrazione di cui ai commi stessi spetta una sola volta ed è liquidata sulla pensione a carico della gestione che eroga il trattamento minimo di importo più elevato o, a parità di importo, della gestione che ha liquidato la pensione avente
decorrenza più remota. Nel caso di titolarità di pensioni dirette ed ai superstiti a carico della stessa gestione inferiori al trattamento minimo, l’integrazione al trattamento minimo è garantita sulla sola pensione diretta, semprechè non risultino superati i predetti limiti di reddito; nel caso in cui una delle pensioni risulti costituita per effetto di un numero di settimane di contribuzione obbligatoria, effettiva e figurativa con esclusione della contribuzione volontaria e di quella afferente a periodi successivi alla data di decorrenza della pensione, non inferiore a 781, l’integrazione al trattamento minimo spetta su quest’ultima pensione”.
Come reso evidente dal tenore letterale della richiamata disposizione, il legislatore ha chiaramente affermato il principio del diritto all’integrazione una sola volta, nel caso di concorso di due o più pensioni e, nel caso di contitolarità di pensione diretta e ai superstiti a carico della stessa gestione, entrambe inferiori al trattamento minimo, ha previamente disposto il trattamento pensionistico da garantire attraverso l’integrazione al trattamento minimo, a tal fine individuando la pensione diretta ma a condizione che non via sia un superamento dei limiti di reddito.
Ove, come nella specie, non venga in rilievo il profilo del superamento dei limiti reddituali, la regola anzidetta soffre un’eccezione giacché la cornice normativa testé illustrata prevede, nell’ipotesi in cui una delle due pensioni risulti costituita da un numero di settimane di contribuzione non inferiore a 781, che sia integrata al trattamento minimo quest’ ultima pensione, in quanto costituita da almeno 781 contributi settimanali.
Correttamente la sentenza impugnata, confermando la decisione di prime cure, ha dipanato le argomentazioni a
sostegno della ratio decidendi sulla scia del precetto enunciato nella seconda parte del comma 3 dell’art. 6 del d.l. n.463 del 1983 conv. in legge n.638 cit.(riportato nel paragrafo 15 che precede), risultando, conseguentemente, non pertinente il mezzo d’ impugnazione orientato ad infirmarne la validità sulla scorta del diverso precetto evincibile dal comma sesto del medesimo articolo (recante disciplina delle pensioni integrate al trattamento minimo i cui titolari superino il limite di reddito di cui ai precedenti commi dell’art.6 cit. successivamente alla data di decorrenza della pensione).
In definitiva, risulta correttamente applicata dalla Corte territoriale, in controversia esulante dal tema del limite reddituale, l ‘eccezione descritta nel precetto (art.6, comma 3, parte seconda), per cui nel caso di titolarità di pensioni dirette ed ai superstiti, a carico della stessa gestione, inferiori al trattamento minimo, nel caso in cui una delle pensioni, come nella specie, risulti costituita per effetto di un numero di settimane di contribuzione obbligatoria, effettiva e figurativa (con esclusione della contribuzione volontaria e di quella afferente a periodi successivi alla data di decorrenza della pensione), non inferiore a 781 contributi settimanali, nella specie, il trattamento pensionistico di reversibilità, l’integrazione al trattamento minimo spetta su quest’ultimo trattamento pensionistico.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Non si provvede alla regolazione delle spese in consonanza con la Corte di merito che ha ritenuto sussistenti le condizioni per fruire dell’esonero.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali
per il versamento, a carico delle parti ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 ottobre