Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15901 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15901 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20741-2019 proposto da:
NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresento e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2114/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 27/12/2018 R.G.N. 1726/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 20741/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 11/04/2025
CC
RILEVATO CHE
NOME COGNOME titolare di pensione cat. VOS ottenuta con il cumulo dei contributi versati all’estero (Svizzera) ed in Italia e dal 1° luglio 2008 anche di pensione estera, acquisita con i soli requisiti contributivi autonomi previsti dalla legislazione elvetica, aveva lamentato, davanti al Tribunale di Foggia, il mancato riconoscimento del diritto all’integrazione al minimo.
Il Tribunale aveva accolto la domanda, con l’attribuzione dell’integrazione totale al minimo dal 1 ° luglio 2008, affermando che l’art. 8 della legge n. 153/1969 in materia di totalizzazione dei contributi e cumulo dei periodi assicurativi si applica solo se entrambe le prestazioni, ossia quella erogata dall’ente previdenziale italiano e quella a carico dell’ente previdenziale straniero, vengano acquisite con il cumulo dei periodi assicurativi compiuti nei due Stati, laddove nella specie, mentre era incontestato che il diritto alla pensione diretta italiana era stato acquisito mediante il cumulo, era non contestato da INPS che la prestazione estera era stata acquisita senza il cumulo con i periodi assicurativi italiani.
La Corte d’appello di Bari, con la sentenza n. 2114/2018, ha riformato la decisione del primo giudice e respinto la domanda, affermando che: a) l’art. 8 della legge n. 153/1969, come modificato dalla legge n. 335/1995, stabilisce che «i trattamenti minimi di cui al primo comma sono dovuti anche ai titolari di pensione il cui diritto sia acquisito in virtù del cumulo dei periodi assicurativi e contributivi previsto da accordi o convenzioni internazionali in materia di assicurazione sociale» precisando, poi, che ciò avviene «a condizione che l’assicurato possa far valere nella competente gestione pensionistica una anzianità contributiva in costanza di rapporto di lavoro svolto in Italia non inferiore a dieci anni»; b) il caso in oggetto rientra nell’ipotesi
derogatoria, atteso che l’appellato ‘risulta avere versato contributi in Italia soltanto dall’aprile 1964 al giugno 1965… prima di emigrare in Svizzera dove ha svolto praticamente tutta la carriera lavorativa versando n. 2015 contributi settimanali…in particolare ad alimentare la quota italiana della pensione risultano accreditati soltanto 65 contributi settimanali, poco più di un anno di contribuzione, laddove per l’integrazione al minimo ne servono almeno 10»; c) l’art. 8 cit. va letto nel senso che la pensione estera autonoma, maturata sulla base di contribuzione di entità e rilevanza tale da non dover essere acquisiti in totalizzazione anche gli anni di lavoro in Italia, impedisce l’integrazione al minimo del pro rata italiano, perché l’ultimo comma dello stesso articolo prevede il riassorbimento della integrazione in relazione agli importi di pro rata eventualmente corrisposti da organismi assicuratori esteri; d) la pensione estera ha importo superiore al minimo e quindi è reddito sufficiente ad escludere la necessità che il pro rata italiano garantisca il cosiddetto minimo vitale al pensionato: applicando le regole distributive degli artt. 6 e 8 del d.l n. 463/1983, è impeditivo che il Cristiano, nel luglio 2008, fosse diventato titolare di un reddito annuo di almeno euro 21.600,00, consistente nella pensione svizzera (€1800,00 per 12) mentre il limite del reddito personale -pari a due volte l’ammontare annuo del trattamento minimo -era all’epoca di poco superiore a euro 10.600,00 su base annua.
NOME COGNOME censura la sentenza per cinque motivi.
Resiste INPS con controricorso.
Chiamata la causa all’adunanza camerale dell’11 aprile 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
Il ricorrente propone cinque motivi di ricorso, così rubricati.
I)Falsa applicazione di norme di diritto, segnatamente del DM n. 577/1992 che, all’art. 3, consente di derogare al requisito dei 10 anni qualora il pensionato residente in Italia abbia acquisito il diritto in virtù del cumulo di periodi assicurativi e contributivi previsti da regolamenti o accordi internazionali che stabiliscono l’obbligo, per il paese di residenza, di garantire sul proprio territorio l’importo del trattamento minimo fissato dalla legge nazionale avendo il ricorrente documentato la residenza in Italia (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.).
II)Nullità della sentenza per violazione del principio di disponibilità delle prove, ex art. 115 cod. proc. civ., per avere la sentenza ritenuto provate circostanze -sulle quali ha fondato il convincimento -che l’Istituto si è limitato a dedurre nell’atto di appello, peraltro in maniera errata ed in quantità inferiore al vero, senza offrire alcuna prova documentale a sostegno (art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.).
III)Falsa applicazione dell’art. 8, ultimo comma, della legge n. 153/1969, cui viene attribuita un’efficacia diversa ed ulteriore da quella che risulta dopo l’intervento della Corte cost. n. 503/1088 (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.).
IV)Violazione delle regole distributive di cui agli artt. 6 e 8 del d.l n. 463/1983, convertito nella legge n. 638/1983, e dell’art. 9-bis della stessa legge, cui viene attribuita una limitazione d’efficacia ai soli pensionati residenti all’estero nonché falsa applicazione del principio di garanzia del minimo vitale al pensionato (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.).
V) Omesso esame di fatto decisivo, quale la sopraggiunta acquiescenza dell’Istituto alla condanna in primo grado, impropriamente qualificata dall’INPS quale mero adempimento
alla sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva ex se (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.).
La sentenza, dopo aver inquadrato i termini della questione (‘se il Cristiano abbia diritto all’integrazione al minimo della quota italiana della pensione in regime internazionale cat. VOS n. 45020411 dopo che è diventato titolare, il 1 luglio 2008, di pen sione svizzera dell’importo (alla data di prima erogazione) di 1807,00 franchi svizzeri’), ha accolto il gravame dell’Istituto rilevando: a) che il ricorrente non aveva una anzianità contributiva in costanza di rapporto di lavoro svolto in Italia non infer iore a dieci anni, come richiesto dall’art. 8 della legge n. 153/1969; b) che l’ultimo comma di detta norma prevede che l’integrazione al minimo non spetta ai titolari di altro trattamento di pensione ed è riassorbita in relazione agli importi di pro-rata eventualmente corrisposti da organismi assicuratori esteri e la sent. n. 503/1988 della Corte cost., dichiarandola illegittima nella parte in cui dispone che ‘non spetta ai titolari di altro trattamento di pensione’, ha riguardato solo l’eventuale anticipazione del trattamento pensionistico erogata a titolo di integrazione al minimo, che quindi non può essere ripetuta a titolo di indebito, ‘restando pienamente legittimo il riassorbimento dell’integrazione fin o a concorrenza del pro rata là dove si determinano le condizioni per l’erogazione di tale trattamento’; c) che, sotto il profilo reddituale, la pensione estera costituisce reddito sufficiente ad escludere che il pro rata erogato dall’INPS garantisca il co siddetto minimo vitale al pensionato’, applicando le regole distributive dell’art. 6 (e 8) del d.l n. 463/1983.
La Corte ha, pertanto, ritenuto che più ragioni distinte ed autonome concorressero a fondare il rigetto.
Tanto premesso, il ricorso va nel complesso rigettato, dovendosi fare applicazione del principio per cui, laddove siano poste a base di una decisione plurime rationes decidendi , tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza, o inammissibilità, delle censure mosse ad una delle ‘ rationes decidendi ‘ rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 5, ord. 11 maggio 2018, n. 11493; in senso analogo già Cass. Sez. Un., sent. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. Sez. 3, sent. 14 febbraio 2012, n. 2108).
Sono, in primis , infondate le censure con cui il ricorrente si duole che la Corte avrebbe falsamente applicato l’ultimo comma dell’art. 8 cit. e fatto mal governo delle regole distributive sancite dagli artt. 6 e 8 del d.l. n. 463/1983 convertito nella legge n. 638/1983.
La Corte d’appello ha concluso per la reiezione della domanda sulla base della corretta applicazione dei dati normativi che regolano il riconoscimento dell’integrazione al minimo, per la concessione del quale non si può prescindere dal non superamento dei limiti reddituali individuati dall’art. 6 del d.l. n. 463/1983 convertito nella legge n. 638/1983.
Detta norma stabilisce che «l’integrazione al trattamento minimo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni sostitutive ed esclusive della medesima, nonché delle gestioni previdenziali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni,
della gestione speciale minatori e dell’RAGIONE_SOCIALE non spetta ai soggetti che posseggano:
nel caso di persona non coniugata, ovvero coniugata ma legalmente ed effettivamente separata, redditi propri assoggettabili all’imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo superiore a due volte l’ammontare annuo del trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti calcolato in misura pari a tredici volte l’importo mensile in vigore al 1° gennaio di ciascun anno;
nel caso di persona coniugata, non legalmente ed effettivamente separata, redditi propri per un importo superiore a quello richiamato al punto a), ovvero redditi cumulati con quelli del coniuge per un importo superiore a ((quattro volte)) il trattamento minimo medesimo».
Lo sbarramento di cui sopra opera in relazione a qualunque tipo di reddito -con esclusione delle sole voci indicate al comma 1bis -quindi, anche in un caso, quale il presente, in cui detto reddito è costituito da un trattamento pensionistico estero autonomo, considerato, altresì, che il comma 3 dello stesso art. 6 prevede che, nel caso di concorrenza di più pensioni, l’integrazione spetti una sola volta, ‘fermi restando i limiti di reddito di cui ai precedenti commi’.
Posto, quindi, che il profilo qui in rilievo concerne il superamento dei limiti reddituali oltre i quali l’integrazione al minimo non può essere riconosciuta, non viene in considerazione l’interpretazione data da questa Corte dell’art. 8 della legge n. 153/1969, in materia di totalizzazione dei contributi e cumulo dei periodi assicurativi, in base al quale «i trattamenti minimi di cui al primo comma sono dovuti anche ai titolari di pensione il cui diritto sia acquisito in virtù del cumulo dei periodi assicurativi e contributivi previsto da accordi o convenzioni internazionali in
materia di assicurazione sociale, a condizione che l’assicurato possa far valere nella competente gestione pensionistica una anzianità contributiva in costanza di rapporto di lavoro svolto in Italia non inferiore a dieci anni. Tale integrazione…è riassorbi ta in relazione agli importi di pro-rata eventualmente corrisposti da organismi assicuratori esteri».
Né può farsi applicazione di quanto stabilito da Cass. n. 10204/2006, secondo cui la disciplina dell’art. 6 del d.l. n. 463/1983 non interferisce con il meccanismo del riassorbimento del trattamento minimo di cui all’art. 8 cit. : infatti, in detto precedente veniva in considerazione un profilo differente, poiché non si trattava, come nel caso che ci occupa, di un trattamento pensionistico estero autonomo bensì di un pro-rata estero, parte, con il prorata italiano, ‘di trattamento idealmente unitario’, non considerabile, in quanto tale, come reddito ai fini del superamento dei limiti per l’integrazione.
Il ricorso lamenta altresì una ‘nullità della sentenza per violazione del principio di disponibilità delle prove sancito dell’art. 115 cod. proc. civ.’: non è stata denunciata una violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. nei termini rigorosi delineati dalla giurisprudenza di questa Corte, poiché la Corte d’appello non ha attinto elementi di riscontro da prove non introdotte dalle parti e assunte d’ufficio al di fuori dei casi che il codice di rito contempla ma ha deciso sulla base dell’importo della pensione elvetica come indicato a pagina 1 della sentenza, importo che non risulta essere stato contestato.
Nel momento in cui risulta immune da censure la ratio fondata sul superamento del limite reddituale, diventano di conseguenza inammissibili, per difetto di interesse, le doglianze che si appuntano sul profilo concernente la mancata valorizzazione
dell’asserita residenza in Italia, censure che, del resto, attingono profili di fatto non censurabili in questa sede.
Neppure si riscontra il lamentato omesso esame, posto che il fatto la cui indagine sarebbe stata pretermessa è costituito, in tesi attorea, da un documento, il cui contenuto non è stato esplicitato, di tal chè le modalità con cui è stato proposto il motivo si scontrano con il principio di necessaria autosufficienza del ricorso e di specificità.
Le censure non sono sorrette dalla trascrizione -quanto meno nei passaggi essenziali -del documento il cui esame sarebbe stato omesso, trascrizione indispensabile ai fini della valutazione di decisività di ogni profilo di denuncia contenuto in ricorso; pertanto, le stesse si pongono in contrasto con l’onere di completezza richiesto ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., onere che, riferito alla puntuale indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso non riassuma adeguatamente il contenuto degli atti medesimi nelle parti necessarie a soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione.
Il ricorso va, pertanto, respinto ma alla reiezione non fa seguito condanna alle spese che vengono dichiarate irripetibili, come già deliberato dalla Corte d’appello.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Dichiara irripetibili le spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del
2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11 aprile