Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15455 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15455 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 37124-2019 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME NOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1475/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 11/06/2019 R.G.N. 2296/2017;
Oggetto
Pensione reversibilità integrazione al minimo
R.G.N. 37124/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 13/03/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/03/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
In riforma della pronuncia di primo grado, la Corte d’appello di Bari rigettava la domanda di NOME COGNOME volta ad ottenere l’integrazione al minimo della pensione di reversibilità.
Riteneva la Corte che il defunto marito fosse titolare di pensione maturata integralmente con i contributi versati in Germania e che avesse maturato altra pensione a carico dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE mediante totalizzazione della contribuzione versata in Germania e della contribuzione versata in Italia. Quest’ultima era però pari a 199 giornate, inferiore ai 10 anni richiesti dall’art.8, co.2 l.n.153/69 per il diritto all’integrazione al minimo.
Aggiungeva la Corte che, ai sensi dell’art.8, co.3 l. n.153/69, computando la pensione autonoma maturata in Germania insieme al pro rata maturato in Italia, la somma complessivamente percepita fosse superiore al trattamento minimo.
Avverso la sentenza, ricorre NOME COGNOME per tre motivi.
L’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
All’odierna adunanza camerale, il collegio riservava il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, NOME COGNOME deduce falsa applicazione dell’art.8 l. n.153/69 e dell’art.3 d.m. 30.12.92 n.577, per avere la Corte richiesto il requisito di 10 anni di contribuzione maturati in Italia quando tale requisito non è richiesto nel caso di soggetto residente in Italia al tempo del pensionamento, come nel caso del marito della ricorrente.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce falsa applicazione dell’art.8 l. n.153/69 per avere la Corte considerato la contribuzione versata in Italia pari a 199 giornate, quando invece essa era pari a 501 settimane maturate prima del 1990, in epoca in cui ancora non occorreva il requisito di 1 anno di contribuzione in Italia (poi portato a 10) introdotto dalla l. n.407/90. La ricorrente rientrava nel regime giuridico antecedente alla l. n.407/90, e dunque era irrilevante il requisito di 10 anni di contribuzione valutati dalla Corte al 2015. Il motivo adduce l’ulteriore argomento per cui, già prima dell’entrata in vigore della l. n.407/90, il marito godeva in Italia di una pensione in regime di pro rata e integrata al minimo, come da sentenza passata in giudicato del tribunale di Lucera.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce falsa applicazione dell’art.8, co.3 l. n.153/69, per avere la Corte escluso il trattamento integrato al minimo per superamento dei requisiti economici minimi del trattamento pensionistico mediante cumulo della pensione straniera con quella italiana.
Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che la sentenza è basata su una doppia ratio decidendi. Sotto un primo profilo ha ritenuto che,
in applicazione dell’art.8, co.2 l. n.153/69, non spettasse l’integrazione al minimo: il defunto marito aveva maturato contributi in Italia pari a 199 giornate, inferiori ai 10 anni richiesti dalla predetta norma per il diritto all’integrazione al minimo.
La Corte ha poi aggiunto un ulteriore argomento (‘A ciò va aggiunto, per completezza di motivazione…’), fondato sull’art.8, co.3 (rectius, co.4) l. n.153/69: l’integrazione al minimo non spetta quando, cumulando la pensione estera con quella goduta in Italia, il trattamento sia superiore al minimo.
Trattandosi di doppia ratio decidendi, in caso di rigetto o inammissibilità del motivo che investe una delle riferite argomentazioni a sostegno della sentenza impugnata, divengono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, la quale rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (Cass.12372/06).
Nel caso di specie i primi due motivi di ricorso investono la prima ratio decidendi; il terzo motivo investe la seconda.
Poiché, come si vedrà, i primi due motivi sono inammissibili, diviene inammissibile per difetto di interesse il terzo motivo, rimanendo la sentenza ferma sulla base della prima ratio decidendi.
I primi due motivi sono inammissibili, poiché, a dispetto della rubrica, essi non deducono falsa applicazione di
norme di legge, bensì tendono a prospettare questioni di fatto non considerate dalla Corte d’appello , fuori dai limiti dell’art.360, co.1, n.5 c.p.c. e in modo non autosufficiente.
Con il primo motivo di deduce una questione di fatto non considerata dalla Corte -ovvero la residenza in Italia del marito al tempo del pensionamento -ai fini dell’applicazione dell’art.3 d.m. n.577/92. Ai sensi dell’art.360, co.1, n.5 c.p.c. il motivo nu lla dice sul modo e sui tempi in cui, nei rispettivi gradi di merito, la questione della residenza in Italia fu sottoposta al contraddittorio delle parti, come chiesto dall’art.360, co.1, n.5 c.p.c. Il motivo deduce solo che il requisito della residenza in Italia non fu mai contestato dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE nei gradi di merito, senza specificare in quale atto del giudizio di merito esso fu prospettato. Va altresì ricordato che, ai fini dell’art.360, co.1, n.5 c.p. c., il fatto omesso deve essere stato oggetto di discussione tra le parti, e dunque non deve trattarsi di un fatto pacifico (Cass.26274/18).
Con il secondo motivo, si contrasta in modo inammissibile l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte, ovvero la maturazione di 199 giornate lavorative in Italia. Il motivo critica tale accertamento affermando che, in base al PLCI, emergeva un’anzianità c ontributiva di 501 settimane. Da un lato però, il PLCI, ovvero il documento su cui si basa il motivo, non è riportato in modo specifico nel ricorso, e quindi la censura è priva di autosufficienza. Dall’altro lato, esula dall’ambito dell’art.360, co.1, n.5 c.p.c. una critica dell’accertamento
di fatto compiuto dalla sentenza la quale non deduca l’omesso esame di un fatto decisivo.
Il motivo poi deduce un altro elemento, ovvero un giudicato reso dal tribunale di Lucera, in base al quale risulterebbe che, già prima della l. n.407/90, il defunto marito era titolare di una pensione maturata in Italia con il criterio della totalizzazione e con diritto all’integrazione al minimo. Il motivo è, anche in questo caso, privo di autosufficienza in quanto non riporta in modo specifico il contenuto della sentenza da cui trarre il giudicato. Inoltre, esso tende a far valere un fatto -titolarità di una pensione già integrata al minimo prima della l. n.407/90 -senza nulla dire circa il modo e il tempo in cui tale fatto fu sottoposto al contraddittorio delle parti nei gradi di merito.
All’inammissibilità dei primi due motivi segue, come detto, l’inammissibilità del terzo, con complessiva inammissibilità del ricorso e condanna alle spese secondo soccombenza.