Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25051 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 25051 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29400-2020 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
ROMA CAPITALE (già COMUNE DI ROMA), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 960/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/04/2020 R.G.N. 5152/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Oggetto
ALTRE IPOTESI RAPPORTO PRIVATO
R.G.N.29400/2020
COGNOME
Rep.
Ud 02/07/2025
CC
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Co die distinte sentenze il Tribunale di Roma aveva rigettato le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti di Roma Capitale, aventi ad oggetto, da un lato, il riconoscimento del diritto dell’istante, transitato alle dipendenze del Comune di Roma, in qualità di docente della formazione professionale con inquadramento nel V livello, area funzionale 3.1 erogatori, con il profilo professionale di formatore, al superiore inquadramento nel V livello, area funzionale 4.2, del CCNL per il personale dipendente del settore formazione professionale a decorrere dal novembre 2002 e fino al 31.12.2006 e, per il periodo successivo, all’inquadramento nel VI livello, area funzionale 3.5, del medesimo CCNL e della spettanza delle relative differenze retributive da l iquidarsi in separata sede, avendo l’istante svolto mansioni attinenti all’ideazione, sviluppo ed assistenza dei sistemi informatici, all’attività di web master e agli interventi tecnici necessari per l’ottimizzazione delle risorse informatiche e la realizzazione di reti informatiche e, a suo dire, riconducibili, per il primo periodo, alla qualifica di coordinatore tecnico di gestione di reti di informazione e per il successivo a quella di responsabile dei processi e, dall’altro, l’accertamento del proprio diritto a continuare ad espletare le mansioni svolte prima del trasferimento al Centro Formazione Sant’Antonio o mansioni similari e la condanna dell’Ente datore al risarcimento del danno subito per effetto delle condotte vessatorie e mobbizzanti di cui era stato fatto oggetto a partire dal 2015, danno da liquidarsi in via equitativa o previa CTU.
Con sentenza del 17 aprile 2020, la Corte d’Appello di Roma confermava entrambe le decisioni.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto la natura pubblicistica del rapporto di lavoro, da qui derivando l’insussistenza del diritto al superiore inquadramento,
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per poi negare il diritto alle rivendicate differenze retributive, sia per il periodo 2002/2006 avendo, comunque, nonostante la diversa area funzionale assunta come di spettanza, fruito del trattamento economico proprio del livello di appartenenza, sia per il periodo successivo, per essere le mansioni svolte prevalentemente riconducibili alla qualifica posseduta di Responsabile Amministrativo Organizzativo di V livello, oltre che la carenza di allegazione e prova del danno psicofisico sofferto, non configurabile in re ipsa , così da esserne esclusa la risarcibilità, a prescindere dalla sussistenza o meno della dedotta dequalificazione e del lamentato mobbing.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il COGNOME affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, Roma Capitale.
Il ricorrente ha poi presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e del d.lgs. n. 165/2001, lamenta l’erroneità del convincimento espresso dalla Corte territoriale circa la natura pubblica dell’Ente datore, da qualificarsi, viceversa, quale ente di gestione dei corsi di formazione come attestato dall’applicazione in regime di convenzione del CCNL per il settore della formazione professionale e sancito dal TAR Lazio.
Con il secondo motivo, denunciando il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, il ricorrente imputa alla Corte territoriale la mancata considerazione, quanto alla prima domanda, della novità della mansione svolta rispetto alle professionalità contemplate dal sistema di classificazione del personale di cui al CCNL applicato, novità che induce margini di apprezzamento maggiori rispetto ai contenuti professionali
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propri della declaratoria contrattuale, quanto alla seconda, delle allegazioni da cui ben poteva desumersi l’illecita adibizione a mansioni non corrispondenti a quelle più rilevanti svolte nel corso del rapporto.
Il primo motivo risulta infondato alla luce dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. n. 10811/2023 ma già Cass. n. 9786/2020), secondo cui ‘la sottoposizione di un rapporto di lavoro con un ente pubblico non economico alla disciplina di un contratto collettivo di lavoro di diritto privato, con riferimento ad attività istituzionali del medesimo ente, non comporta il fuoriuscire di tale rapporto dall’ambito del lavoro pubblico privatizzato e, dunque, salva espressa e specifica previsione contraria da parte della norma di legge, trovano comunque applicazione le regole generali di cui al d.lgs. n. 165/2001’, pienamente riferibile alla fattispecie essendo Roma Capitale un ente pubblico non economico e la formazione professionale materia di competenza regionale istituzionalmente affidata alla gestione dell’Ente.
Il secondo motivo, di contro, si rivela inammissibile, non essendo deducibile in questa sede, a fronte di una pronunzia fondata su motivazione pienamente conforme in entrambi i gradi del giudizio di merito, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, del resto non sussistente, avendo la Corte territoriale puntualmente dato corso al giudizio trifasico, valutando quanto dedotto dall’odierno ricorrente in ordine alle mansioni svolte non eccedente i contenuti professionali della qualifica posseduta
Il ricorso va, dunque, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 2 luglio 2025