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Inquadramento pubblico impiego: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20696/2024, ha stabilito un principio fondamentale per l’inquadramento nel pubblico impiego in caso di mobilità. Il caso riguardava una dipendente trasferita da un’amministrazione locale a una ministeriale, alla quale era stata assegnata una fascia retributiva inferiore basandosi sulla retribuzione iniziale anziché su quella effettivamente percepita, comprensiva delle progressioni maturate. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’amministrazione, confermando che il passaggio diretto configura una cessione del contratto e impone di conservare la posizione economica acquisita, per evitare una dequalificazione.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Inquadramento pubblico impiego: come calcolare la retribuzione dopo la mobilità?

L’inquadramento nel pubblico impiego a seguito di mobilità tra amministrazioni diverse è un tema cruciale che incide direttamente sulla carriera e sulla retribuzione dei dipendenti. Con la recente ordinanza n. 20696/2024, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale: nel determinare la nuova posizione economica, l’amministrazione di destinazione deve considerare la retribuzione effettivamente maturata dal lavoratore, incluse le progressioni economiche, e non il mero stipendio iniziale. Questa decisione tutela i diritti acquisiti e previene dequalificazioni mascherate.

I fatti del caso

Una dipendente, collaboratrice amministrativa presso un’amministrazione provinciale, veniva trasferita tramite mobilità volontaria ai ruoli di un’amministrazione ministeriale. Al momento del passaggio, l’amministrazione di destinazione la inquadrava nella fascia retributiva F2, basando la propria decisione sulla retribuzione d’ingresso prevista per la sua categoria di provenienza. La lavoratrice, tuttavia, riteneva di aver diritto alla fascia superiore F3, sostenendo che il calcolo dovesse tenere conto delle progressioni economiche acquisite negli anni di servizio presso l’ente locale, che avevano portato la sua retribuzione a un livello corrispondente, appunto, alla fascia F3 del nuovo comparto. La Corte d’Appello le dava ragione, ma l’amministrazione ministeriale ricorreva in Cassazione.

La decisione della Corte sul corretto inquadramento nel pubblico impiego

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’amministrazione, confermando la sentenza d’appello e stabilendo un principio di diritto di notevole importanza. I giudici hanno qualificato il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse, ai sensi dell’art. 30 del D.Lgs. n. 165/2001, come una fattispecie di cessione del contratto (art. 1406 c.c.). Questo significa che il rapporto di lavoro prosegue, modificandosi solo nel soggetto datoriale. Di conseguenza, il dipendente trasferito ha diritto a essere inquadrato nell’area funzionale e nella posizione economica ‘corrispondente’ a quella posseduta presso l’amministrazione di provenienza.

Le motivazioni

La Corte ha specificato che per individuare la posizione ‘corrispondente’ non si può ignorare il percorso professionale e retributivo del dipendente. L’amministrazione di destinazione, pertanto, avrebbe dovuto considerare non solo l’area di appartenenza, ma anche il trattamento economico complessivo percepito dalla lavoratrice, comprensivo delle progressioni maturate nel tempo. Ignorare tali progressioni e basare l’inquadramento solo sullo stipendio tabellare di partenza significherebbe operare una dequalificazione ‘strisciante’, poiché la posizione retributiva è funzionale alla progressione di carriera.

I giudici hanno inoltre respinto l’argomento secondo cui il trattamento economico complessivo nella nuova amministrazione sarebbe stato comunque migliorativo per effetto di altre indennità (come quella di comparto). Tale principio, hanno chiarito, si applica eventualmente per la determinazione di un assegno ad personam, ma non può giustificare un errato inquadramento iniziale in una fascia retributiva inferiore. Infine, la Corte ha dichiarato irrilevante l’eventuale accettazione da parte della lavoratrice delle condizioni contrattuali, poiché il diritto a un corretto inquadramento è inderogabile.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento a tutela dei lavoratori pubblici nel delicato processo di mobilità. Le amministrazioni di destinazione sono obbligate a effettuare un’equiparazione che tenga conto della professionalità e della retribuzione effettivamente acquisita dal dipendente, non limitandosi a un calcolo basato su livelli di ingresso ormai superati. La sentenza ribadisce che la mobilità deve garantire la continuità del rapporto di lavoro e la conservazione dei diritti economici e professionali maturati, assicurando che il passaggio tra enti non si traduca in una penalizzazione occulta per il lavoratore.

In caso di mobilità tra pubbliche amministrazioni, come si determina la nuova posizione economica del dipendente?
La nuova posizione economica deve essere ‘corrispondente’ a quella posseduta nell’amministrazione di provenienza. L’amministrazione di destinazione deve tener conto non solo dell’area funzionale, ma anche del trattamento economico effettivamente percepito dal dipendente, incluse le progressioni economiche maturate nel tempo, e non basarsi sul solo stipendio iniziale.

L’accettazione da parte del lavoratore di un inquadramento inferiore in un nuovo contratto ha valore di rinuncia?
No, secondo la Corte, l’accettazione da parte del lavoratore di un inquadramento inferiore o la sottoscrizione di clausole di rinuncia a pretese future non impediscono di contestare successivamente il corretto inquadramento, poiché si tratta di un diritto la cui violazione deve essere accertata.

Un trattamento economico complessivamente migliore nella nuova amministrazione può giustificare un inquadramento in una fascia retributiva più bassa?
No. La Corte chiarisce che il fatto che la retribuzione complessiva possa essere superiore per effetto di altre voci (es. indennità di comparto) non ha valore nella fase di inquadramento. La valutazione del trattamento economico complessivo è rilevante per l’eventuale attribuzione di un assegno ad personam, ma non può giustificare un inquadramento in una posizione economica inferiore a quella corrispondente alla retribuzione maturata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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