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Inquadramento giornalistico: la parola alla Cassazione

Un dipendente di una nota società televisiva, assunto come programmista-regista, ha richiesto l’inquadramento giornalistico come redattore. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, stabilendo che, ai fini del corretto inquadramento, contano le mansioni effettivamente svolte e non il nome formale del contratto. Se l’attività comporta una mediazione intellettuale, un’elaborazione critica e una finalità informativa, si configura un inquadramento giornalistico, anche se svolta al di fuori di una testata tradizionale. La Corte ha inoltre precisato i criteri per la determinazione della giusta retribuzione in caso di nullità del contratto per mancata iscrizione all’Albo.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Inquadramento giornalistico: quando le mansioni prevalgono sul contratto

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale nel diritto del lavoro editoriale: i criteri per il corretto inquadramento giornalistico. La vicenda analizzata offre spunti fondamentali per comprendere come la sostanza delle attività svolte prevalga sulla forma del contratto, anche quando il lavoro si svolge al di fuori di una redazione tradizionale. La pronuncia chiarisce che elementi come la mediazione intellettuale e la finalità informativa sono decisivi per riconoscere la qualifica di redattore.

I fatti di causa

Il caso nasce dalla richiesta di un dipendente di una grande società radiotelevisiva nazionale, assunto con la qualifica di programmista-regista, di vedersi riconosciuto l’inquadramento superiore come redattore giornalista. La Corte d’Appello, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva accolto la domanda del lavoratore, riconoscendogli il diritto all’inquadramento come redattore a partire dalla data della sua iscrizione all’Albo dei giornalisti. Di conseguenza, la società era stata condannata al pagamento delle relative differenze retributive. La società ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando numerosi motivi di ricorso.

L’inquadramento giornalistico e la natura delle mansioni

Il cuore della controversia ruotava attorno alla natura delle attività concretamente svolte dal lavoratore. La società sosteneva che le mansioni non fossero riconducibili alla figura del redattore, ma a quella di programmista-regista, e che il lavoratore operasse in una struttura dedicata all’intrattenimento culturale (nello specifico, il canale educativo) e non in una testata giornalistica. A parere della ricorrente, mancavano i tratti distintivi dell’attività giornalistica, come l’apporto critico e creativo nell’elaborazione delle notizie e la finalità prettamente informativa.

La valutazione della Corte

La Suprema Corte ha rigettato i motivi di ricorso della società, confermando l’impianto della sentenza d’appello. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: per stabilire il corretto inquadramento, non bisogna fermarsi al nomen iuris (cioè al nome) attribuito dalle parti al contratto, ma è necessario analizzare in concreto le mansioni eseguite. Se l’esecuzione del rapporto di lavoro si discosta da quanto inizialmente pattuito, la volontà successiva delle parti, manifestata attraverso il comportamento, modifica l’assetto negoziale iniziale.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente accertato la sussistenza dei requisiti dell’attività giornalistica. Il lavoratore aveva dimostrato di svolgere compiti caratterizzati da profili di mediazione intellettuale, rielaborazione critica delle informazioni e attualità dei temi trattati. La Cassazione ha sottolineato che l’attività giornalistica non si esaurisce nei radio o telegiornali o nelle testate tradizionali. Essa può benissimo rientrare anche in programmi di intrattenimento o approfondimento culturale, purché il contenuto sia propriamente informativo e vi sia un apporto soggettivo e creativo nell’elaborazione delle notizie. L’assenza di una redazione formale all’interno della struttura aziendale (in questo caso, il canale educativo) è stata considerata irrilevante ai fini del riconoscimento della qualifica. Ciò che conta è il peculiare carattere informativo delle mansioni svolte.

Un altro punto cruciale affrontato è quello della retribuzione. La società lamentava l’errata applicazione dei minimi contrattuali previsti per i redattori. La Corte ha chiarito che, sebbene il contratto giornalistico con un redattore non iscritto all’Albo sia nullo per violazione di norme imperative, il lavoratore ha comunque diritto, ai sensi dell’art. 36 della Costituzione, a una ‘giusta retribuzione’. Per determinarla, il giudice può usare come parametro il trattamento economico previsto dal contratto collettivo per una figura simile (in questo caso, redattore con meno di 30 mesi di anzianità), ritenendolo conforme ai canoni di sufficienza e proporzionalità.

Le conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza un principio fondamentale: nel diritto del lavoro, la realtà fattuale prevale sempre sulla qualificazione formale. Per l’inquadramento giornalistico, non è determinante essere inseriti in una testata registrata, ma svolgere un’attività che, per creatività, criticità e finalità informativa, sia sostanzialmente giornalistica. Questa pronuncia rappresenta una tutela importante per tutti quei professionisti dell’informazione che operano in contesti nuovi e ibridi, garantendo che il loro lavoro sia riconosciuto e retribuito per quello che è effettivamente, al di là delle etichette contrattuali.

Cosa determina se un’attività lavorativa merita l’inquadramento giornalistico?
L’inquadramento giornalistico è determinato dalla natura delle mansioni concretamente svolte. Se l’attività implica elaborazione autonoma di notizie, valutazione della loro rilevanza, predisposizione di un messaggio comunicativo con un apporto soggettivo e creativo, e una finalità informativa, essa si qualifica come giornalistica, a prescindere dal nome formale del contratto (nomen iuris).

È necessario lavorare in una redazione o in una testata giornalistica tradizionale per essere considerati giornalisti?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’attività giornalistica radiotelevisiva non si svolge solo nell’ambito di radio o telegiornali o testate tipiche. Può rientrare anche in programmi di intrattenimento o svago, purché abbiano un contenuto propriamente informativo. La struttura aziendale in cui si opera è irrilevante ai fini del riconoscimento della qualifica.

Come viene calcolata la retribuzione se un lavoratore svolge mansioni da giornalista senza essere iscritto all’Albo?
Il contratto è nullo, ma il lavoratore ha diritto a una ‘giusta retribuzione’ ai sensi dell’art. 36 della Costituzione per il periodo in cui ha lavorato. Il giudice di merito ha ampia discrezionalità nel determinarla e può utilizzare come riferimento (parametro) il trattamento economico previsto dal contratto collettivo dei giornalisti per una qualifica analoga, valutandone la conformità ai principi di proporzionalità e sufficienza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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