Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13753 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13753 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16544-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, EVANGELISTA BASILE;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3719/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/11/2018 R.G.N. 728/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/03/2024 dal AVV_NOTAIO.
R.G.N. 16544/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 26/03/2024
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava il diritto di NOME COGNOME, dipendente RAGIONE_SOCIALE, all’inquadramento come redattore a decorrere dal 5.12.2012 e condannava la società a corrispondergli le differenze retributive tra il trattamento economico di redattore con meno di 30 mesi di anzianità professionale e quanto effettivamente percepito nel medesimo periodo ed attestato nelle buste paga, maturate dal 29.7.2008 al deposito del ricorso di primo grado (6.5.2014), oltre accessori;
mentre il Tribunale di Roma, per quanto qui rileva, aveva rigettato il ricorso, in particolare per la mancata comparazione tra la posizione di inquadramento (programmista-regista) e quella RAGIONE_SOCIALEca rivendicata, la Corte d’Appello, invece, accertava e dichiarava:
la sussistenza del diritto del lavoratore all’inquadramento come giornalista redattore, avendo descritto adeguatamente i compiti svolti alla luce della disciplina legale e dei principi interpretativi in materia enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di attività RAGIONE_SOCIALEca;
la sussistenza di tale diritto a partire dal 5.12.12, data in cui era avvenuta l’iscrizione del ricorrente all’albo dei RAGIONE_SOCIALE; – il diritto del lavoratore all’inquadramento nel livello di redattore ordinario con meno di 30 mesi di anzianità di servizio, ritenuto tale livello adeguato alle mansioni svolte e non potendosi tenere conto dell’attività svolta in data antecedente al 5.12.12 ai fini dell’inquadramento come giornalista e alla progressione automatica prevista dal CNLG, per assenza del requisito dell’iscrizione nell’RAGIONE_SOCIALE;
l’estinzione per prescrizione dei crediti maturati prima dei 5 anni antecedenti il 29.7.2013, data di conoscenza della società della messa in mora da parte del lavoratore, con correlativo diritto alle differenze retributive dal 29.7.2008, collegate alla corrispondenza delle attività svolte in concreto nel periodo con quelle proprie del giornalista redattore;
avverso la sentenza d’appello ricorre per cassazione la RAGIONE_SOCIALE con 9 motivi, illustrati da memoria; resiste il lavoratore con controricorso; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
parte ricorrente censura la sentenza impugnata, con il primo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.) per violazione e falsa applicazione dell’art. 414, nn. 3 e 4, c.p.c., del CCL RAI 2000, CCL RAI 2004, dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte d’Appello accertato l’inquadramento nella figura di redattore richiesto dal lavoratore, nonostante carenza di allegazione del contenuto dell’attività effettivamente svolta e dei tratti distintivi tali da ricondurla nella figura del redattore e non in quella indicata nel contratto di lavoro di programmistaregista;
il motivo non è fondato;
la Corte di secondo grado ha, condivisibilmente, ritenuto sufficientemente allegati i fatti costitutivi del diritto all’inquadramento come giornalista redattore, avendo il ricorrente specificato le attività svolte in concreto, evidenziato i profili di mediazione intellettuale propri dell’attività RAGIONE_SOCIALEca e sottolineato gli aspetti di attualità dei temi trattati e di rielaborazione critica delle informazioni raccolte ravvisabili nei numerosi servizi svolti, così illustrando i requisiti dell’attività RAGIONE_SOCIALEca alla luce della relativa
disciplina e dei principi interpretativi giurisprudenziali in materia (cfr. § 4.6 della sentenza gravata);
con il secondo motivo, la società deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. per avere la Corte d’Appello accertato l’inquadramento richiesto dal lavoratore omettendo un’approfondita e attenta valutazione del nomen iuris assegnato dalle parti al contratto di lavoro;
il motivo non merita accoglimento;
il nomen iuris attribuito dalle parti al contratto non costituisce un fattore assorbente, ma occorre valutare anche l’esecuzione che, per il suo fondamento nella volontà inscritta in ogni atto di esecuzione, la sua inerenza all’attuazione della causa contrattuale e la sua protrazione, non è solo strumento d’interpretazione della natura e della causa del rapporto di lavoro, bensì anche espressione di una nuova eventuale volontà delle parti che, in quanto posteriore, modifica la volontà iniziale conferendo, al rapporto, un nuovo assetto negoziale (cfr. Cass. n. 15327/2006 e la giurisprudenza richiamata nel § 7.2 della sentenza impugnata); l’accertamento in fatto che le attività in concreto svolte dal lavoratore fossero riconducibili alla figura del giornalista redattore e non a quella del programmista-regista indicata dalle parti nel contratto di lavoro, in quanto congruamente (e ampiamente) motivato sulla base degli elementi istruttori raccolti, non è censurabile per violazione di legge in sede di legittimità;
con il terzo motivo, parte ricorrente di duole (art. 360, n. 3, c.p.c.) di violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 103/1975 (recante norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva), dell’art. 10 legge n. 223/1990 (recante disciplina del sistema radiotelevisivo), della legge n. 69/1963 (ordinamento della professione di giornalista), dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte d’Appello accertato l’inquadramento
nella figura di redattore richiesto dal lavoratore non considerando che la legge opera una netta distinzione tra strutture quali le reti e le direzioni editoriali telematiche, preposte a programmi di intrattenimento e approfondimento culturale, e strutture quali le testate RAGIONE_SOCIALEche, preposte ai servizi RAGIONE_SOCIALEci e di informazione, e ritenendo erroneamente irrilevante che il lavoratore prestasse la sua attività professionale in RAGIONE_SOCIALE che rientra nella prima categoria di strutture;
con il quarto motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e della legge n. 63/1969 e omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’Appello ricondotto le prestazioni del lavoratore all’attività RAGIONE_SOCIALEca, omettendo l’esposizione delle ragioni in fatto e in diritto per ritenere sussistente il requisito del cd. messaggio informativo e la finalità informativa dell’attività RAGIONE_SOCIALEca medesima;
con il quinto motivo, la società deduce (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione e falsa applicazione della legge n. 69/1963, del CCL RAI 2000, del CCL RAI 2004, dell’art. 2697 c.c. e omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’Appello ricondotto le prestazioni del lavoratore all’attività RAGIONE_SOCIALEca, omettendo di individuare ed esaminare gli elementi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità, tra cui l’apporto critico e creativo nell’elaborazione delle informazioni diffuse, per affermare la natura RAGIONE_SOCIALEca delle prestazioni lavorative;
con il sesto motivo, la società deduce (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’Appello posto alla base della propria decisione fatti dedotti da RAGIONE_SOCIALE nei giudizi di merito esaminandoli erroneamente e parzialmente;
con il settimo motivo, la RAGIONE_SOCIALE lamenta (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 5 CNLG 2001-2005, 5 CNLG 1° aprile 2009 – 31 marzo 2013, per avere la Corte d’Appello ritenuto irrilevante l’assenza di una redazione all’interno di RAGIONE_SOCIALE al fine del riconoscimento della qualifica di redattore, contrariamente a quanto voluto dalle parti collettive, che individuerebbero l’assegnazione del lavoratore a una redazione, centrale o decentrata, come elemento imprescindibile ai fini dell’inquadramento nella qualifica di redattore;
i motivi terzo, quarto, quinto e settimo, da trattare congiuntamente in quanto attinenti all’attività sussuntiva svolta dal giudice di merito delle attività lavorative svolte in concreto dal ricorrente nella fattispecie astratta del redattore giornalista, non sono fondati;
il giudice d’appello ha correttamente ricostruito la nozione e le caratteristiche dell’attività di redattore giornalista ed ha ampiamente argomentato come i numerosi servizi svolti in essere dal ricorrente fossero connotati dai requisiti della attualità, della tempestività, della continuità e soprattutto della finalità informativa e dell’apporto critico e creativo nell’elaborazione delle informazioni diffuse;
in proposito, questa Corte ha evidenziato (cfr., ad es., Cass. n. 23625/2010, n. 830/2016) che, ai fini dell’inquadramento di una determinata attività nell’ambito dell’attività RAGIONE_SOCIALEca, occorre un accertamento circa la sussistenza dei requisiti di elaborazione autonoma delle notizie, con valutazione della loro rilevanza in relazione ai destinatari e con la predisposizione di un messaggio comunicativo contraddistinto da un apporto soggettivo e creativo; non può iscriversi, in maniera riduttiva, l’attività RAGIONE_SOCIALEca radiotelevisiva soltanto nell’ambito dei radio o telegiornali o nelle testate tipicamente RAGIONE_SOCIALEche e di informazione, ben potendo rientrare la stessa anche in programmi di
intrattenimento o di svago, purché con contenuto propriamente informativo (Cass. n. 28035/2013), essendo irrilevante a tali fini la legge n. 69/1963, posto che la legge citata presuppone e non definisce l’attività RAGIONE_SOCIALEca (Cass. n. 17723/2011), ed essendo anche irrilevante ai fini del riconoscimento della natura RAGIONE_SOCIALEca dell’attività svolta dal dipendente RAGIONE_SOCIALE la struttura aziendale dell’ente presso cui egli presta la sua attività, rilevando piuttosto il peculiare carattere informativo (nel senso sopra esposto) delle mansioni svolte (Cass. n. 16229/2013);
il sesto motivo è invece inammissibile, posto che, stante la natura del giudizio di legittimità, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.; la censura in esame si risolve, in sostanza, nella richiesta di una nuova e diversa attività di apprezzamento degli elementi probatori, che in questa sede non può essere accolta (cfr. Cass. S.U. n. 20867/2020);
con l’ottavo motivo, la società deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1219 e 2943 c.c., per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto la lettera inviata dal lavoratore alla RAGIONE_SOCIALE in data 22.7.2013 atto interruttivo della prescrizione, non essendo quest’ultima idonea a interromperla, non contenendo un’inequivocabile e specifica manifestazione di far valere il proprio diritto;
il motivo non è fondato;
secondo la giurisprudenza di questa Corte, affinché un atto possa acquisire efficacia interruttiva della prescrizione, a norma dell’art. 2943, quarto comma, c.c., deve contenere l’esplicitazione di una pretesa, ovvero un’intimazione o richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo, con l’effetto di costituirlo in mora;
l’accertamento di tale requisito oggettivo costituisce indagine di fatto riservata all’apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se immune da vizi e da errori logici (v. Cass. n. 22751/2004, n. 19359/2007); parte ricorrente omette di considerare che in questa sede non è censurabile l’apprezzamento sulla sussistenza dei requisiti per affermare l’idoneità di un determinato atto a interrompere la prescrizione, in assenza di vizi logici nel ragionamento operato dalla Corte d’Appello (non necessità di quantificazione) alla base della ritenuta idoneità della missiva inviata dal lavoratore in data 22.7.2013 a interrompere la prescrizione;
con il nono motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 11 e 35 CNLG 2001-2005 e 2009-2013, per avere la Corte d’Appello erroneamente riconosciuto al lavoratore la retribuzione prevista per i redattori ordinari applicando integralmente il contratto collettivo e non, invece, utilizzandolo come parametro; per non aver riconosciuto, in ogni caso, pur applicando integralmente il contratto collettivo, la retribuzione spettante per i primi 12 mesi al praticante giornalista con meno di 12 mesi di servizio e per i successivi al praticante giornalista con più di dodici mesi di servizio; per avergli riconosciuto il trattamento retributivo previsto per i RAGIONE_SOCIALE in violazione del disposto del contratto collettivo che prevede la spettanza di tale trattamento dal giorno in cui
il giornalista dà comunicazione scritta dell’avvenuto superamento della prova orale degli esami di idoneità professionale;
il motivo non è fondato;
la Corte di Roma si è conformata alla giurisprudenza di legittimità che prevede che, per l’esercizio dell’attività RAGIONE_SOCIALEca di redattore ordinario, è necessaria l’iscrizione nell’RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che il contratto RAGIONE_SOCIALEco concluso con un redattore non iscritto nell’RAGIONE_SOCIALE è nullo non già per illiceità della causa o dell’oggetto, ma per violazione di norme imperative, con l’ulteriore conseguenza che, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, detta nullità non produce effetti ex art. 2126 c.c. e il lavoratore ha diritto, ai sensi dell’art. 36 Cost., alla giusta retribuzione, la cui determinazione spetta al giudice di merito (Cass. n. 10158/2017, n. 21884/2016, n. 23638/2010, n. 4941/2004);
ciò premesso la Corte, per individuare il trattamento economico corrispondente alla nozione di giusta retribuzione in concreto, ed escluso in fatto che le mansioni svolte fossero riconducibili a quelle di praticante, ha parametrato il trattamento retributivo spettante a quello previsto per i redattori RAGIONE_SOCIALE con meno di 30 mesi di anzianità, ritenendolo conforme ai canoni di sufficienza e di proporzionalità ex art. 36 Cost.;
va respinta la tesi prospettata dalla ricorrente, secondo la quale la retribuzione di cui all’art. 36 Cost. non attiene a tutte le voci retributive ma soltanto e sempre al c.d. minimo costituzionale; in realtà, in sede di applicazione dell’art. 36 Cost. il giudice di merito gode, ai sensi dell’art. 2099 c.c., di un’ampia discrezionalità nella determinazione della giusta retribuzione, potendo discostarsi (in diminuzione ma anche in aumento) dai minimi retributivi della contrattazione collettiva e potendo servirsi di altri criteri di giudizio e parametri
differenti da quelli collettivi (sia in concorso, sia in sostituzione), con l’unico obbligo di darne puntuale ed adeguata motivazione rispettosa dell’art.36 Cost.; pertanto, l’apprezzamento dell’adeguatezza della retribuzione in concreto resta riservato al giudice del merito e la sua determinazione, se effettuata nel rispetto dei criteri imposti dall’art. 36 Cost., e con adeguata motivazione, in ordine agli elementi utilizzati, non è censurabile neppure sotto il profilo del mancato ricorso ai parametri rinvenibili nella contrattazione collettiva, restando sempre valido il monito formulato dalla giurisprudenza di questa Corte con cui si invita il giudice che si discosti da quanto previsto dai contratti collettivi ad usare la massima prudenza e adeguata motivazione, giacché difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche e politiche sottese all’assetto degli interessi concordato dalle parti sociali (cfr. Cass. n. 27711/2023, in motivazione, §§ 21-23);
il ricorso deve pertanto essere respinto, con regolazione secondo soccombenza delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore di parte controricorrente, dichiaratasi antistataria;
al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 6.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r . n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 26 marzo 2024.