Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10698 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10698 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24930-2020 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 267/2019 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 30/01/2020 R.G.N. 9/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO
Oggetto
RETRIBUZIONE
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.24930/2020
COGNOME
Rep.
Ud.05/03/2025
CC
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che, con sentenza del 30 gennaio 2020, la Corte d’Appello di Campobasso confermava, con diversa motivazione, la decisione resa dal Tribunale di Campobasso e rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti del Ministero della Giustizia, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto dell’istante -già appartenente al Corpo della Polizia Penitenziaria ma dichiarato inidoneo al servizio di istituto in data 20.2.2013 e, perciò, transitato a domanda presentata il 22.2.2013 nei ruoli civili del Ministero della Giustizia con qualifica di assistente amministrativo di area II, fascia retributiva 2, ma con un trattamento economico inferiore a quello corrispondente alla qualifica già maturata con decorrenza 18.12.2012 nell’amministrazione di provenienz a di assistente capo della Polizia Penitenziaria che, tuttavia, non percepiva per effetto del blocco stipendiale ex art. 9 d.l. n. 78/2010 -all’adeguamento del trattamento economico con incremento dello stesso a decorrere dal 18.12.2012 fino all’importo s pettante all’assistente capo;
che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver e questa ritenuto doversi interpretare la domanda proposta dal COGNOME in prime cure, non nel senso della spettanza di un trattamento economico dovuto in virtù dell’istituto dell’omogeneizzazione per effetto della cessazione del blocco stipendiale a far dat a dall’1.1.2015, domanda proposta solo in grado di appello, ma nel senso dell’affermazione del diritto all’attribuzione all’atto del passaggio nei ruoli civili del Ministero della Giustizia all’inquadramento nell’area II, fascia retributiva F3 e non F2 secondo le tabelle di corrispondenza che ivi collocavano il personale di Polizia Penitenziaria con qualifica di assistente capo giudicato non idoneo al servizio di istituto e transitato nei ruoli ci vili e di dover concludere per l’insussistenza di tale diritto in quanto le invocate tabelle di corrispondenza
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allegate al d.lgs. n. 95/2017 che prevedevano il superiore inquadramento richiesto trovavano applicazione soltanto dall’1.1.2018 ;
che per la cassazione di tale decisione ricorre il COGNOME, affidando l’impugnazione ad un unico motivo, cui resiste, con controricorso, il Ministero della Giustizia.
CONSIDERATO
che, con l’unico motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 75 e 76 d.lgs. n. 443/1992, 3 e 97 Cost. e 1 CEDU, non contesta la lettura dell’originaria domanda accolta dalla Corte territoriale , ed imputa alla Corte medesima di avere erroneamente negato l’applicazione nel caso di specie delle tabelle di corrispondenza allegate al d.lgs. n. 95/2017 di cui, peraltro, ammette l’essere entrate in vigore l’1.1.2018, assumendo potersene desumere l’operatività anch e in epoca precedente, con conseguente diritto dell’assistente capo dichiarato inidoneo e transitato nei ruoli civili all’inquadramento nell’area II, fascia retributiva F3 ;
aggiunge che erroneamente l’Amministrazione aveva considerato tamquam non esset la promozione ad assistente capo ottenuta allorché era ancora in forza alla Polizia Penitenziaria nel periodo di vigenza del blocco stipendiale di cui all’art. 9 d.l. n. 78/2010 , posto che in tal modo aveva reso permanenti gli effetti derivanti da quest’ultimo ;
che il motivo si rivela inammissibile, non misurandosi la censura sollevata dal ricorrente con la ratio decidendi , atteso che, una volta ammesso dallo stesso ricorrente che le tabelle di corrispondenza allegate al d.lgs. n. 95/2017 sono entrate in vigore dall’1.1.2018, il ricorrente medesimo non dà conto in termini plausibili sul piano logico e giuridico di una ragione di operatività di quella corrispondenza per cui l’assistente capo transitato nei ruoli civili avrebbe dovuto essere inquadrato in F3
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già in epoca precedente all’entrata in vigore delle predette tabelle validamente opponibile a quella per cui, in senso contrario, la Corte territoriale la esclude , dato dal non essere quelle tabelle all’epoca in vigore e non esservi altra previsione fondante, tanto più che, essendo prevista la validità a fini giuridici della progressione di carriera maturata nel periodo di vigenza del blocco stipendiale, doveva già considerarsi in possesso della qualifica di assistente capo all’atto del transito nei ruoli civili, potendo così vantare, piuttosto, il diverso diritto, che ammette di non aver azionato, all’adeguamento del trattamento economico una volta cessato il blocco stipendiale; che, a soli fini di completezza, va aggiunto che a norma dell’art. 78 del d.lgs. n. 443/1992 il trasferimento del personale dell’Amministrazione penitenziaria nei ruoli della stessa o di altra amministrazione dello Stato avviene ‘conservando l’anzianità nella qualifica ricoperta, l’anzianità complessivamente maturata e la posizione economica acquisita’, posizione che al momento del passaggio, seppure maturata, non era stata acquisita sicché valgono nella fattispecie i medesimi principi affermati, sia pure con riferimento al personale delle Forze Armate, da Cass. n. 33352/2024, alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c..;
che il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 5 marzo 2025