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Inibitoria appello: quando il danno non è irreparabile

La Corte d’Appello di Firenze ha respinto un’istanza di inibitoria in appello, con cui si chiedeva la sospensione dell’esecutività di una sentenza di primo grado. La parte appellante, pur ammettendo di poter pagare, temeva di non poter recuperare le somme in caso di vittoria in appello. I giudici hanno stabilito che tale timore, non circostanziato e non provato, non integra il requisito del pregiudizio grave e irreparabile richiesto dalla legge, e che l’appello non appariva manifestamente fondato.

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Pubblicato il 21 maggio 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Inibitoria Appello: Quando il Timore di Non Recuperare le Somme Non Basta

L’ordinanza della Corte d’Appello di Firenze offre un’importante lezione sui requisiti necessari per ottenere la sospensione dell’esecutività di una sentenza di primo grado. Con una decisione chiara, i giudici hanno respinto un’istanza di inibitoria in appello, sottolineando che il semplice timore di non poter recuperare le somme versate, se non adeguatamente provato, non è sufficiente a integrare il requisito del pregiudizio grave e irreparabile.

Il Caso: La Richiesta di Sospensione dell’Esecutività

Una parte soccombente in primo grado ha presentato appello e, contestualmente, ha richiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza. La sua argomentazione principale non era l’incapacità di pagare, ma il rischio che, in caso di accoglimento del gravame, non sarebbe stata in grado di recuperare le somme versate agli eredi dei professionisti, le controparti del giudizio. L’appellante ha lamentato questo potenziale pregiudizio, senza però fornire elementi concreti a sostegno del suo timore.

Analisi della Corte sull’Inibitoria in Appello: i Requisiti Mancanti

La Corte d’Appello ha esaminato l’istanza alla luce dei due requisiti fondamentali previsti dall’art. 283 del Codice di Procedura Civile: il periculum in mora (pregiudizio grave e irreparabile) e il fumus boni iuris (la manifesta fondatezza dell’appello).

L’Assenza del “Periculum in Mora”

Il collegio ha ritenuto insussistente il primo requisito. I giudici hanno chiarito che il danno ‘fisiologico’ derivante dall’esecuzione di una sentenza (cioè il pagamento di una somma) non costituisce di per sé un pregiudizio grave e irreparabile. Per ottenere la sospensione, l’appellante deve dimostrare un danno ulteriore e più severo. Nel caso specifico, il timore di non recuperare le somme è stato considerato generico perché non supportato da prove concrete che dimostrassero l’incapienza o l’inaffidabilità delle controparti. Inoltre, la Corte ha notato che gli importi in discussione, relativi principalmente a spese di lite, apparivano ‘pro capite abbastanza contenuti’, riducendo ulteriormente la portata del presunto pregiudizio.

La Mancanza della “Manifesta Fondatezza”

Oltre al periculum, la Corte ha valutato la fondatezza dell’appello. La sospensione può essere concessa quando la sentenza impugnata appare affetta da errori ictu oculi, cioè evidenti a una prima e sommaria analisi. Anche su questo fronte, i giudici non hanno ravvisato una ‘manifesta evidenza’ di fondatezza del gravame, escludendo quindi anche il secondo presupposto necessario per accogliere l’istanza.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa dei presupposti per la concessione dell’inibitoria. La Corte ha ribadito che la sospensione dell’esecutività è un’eccezione alla regola generale e, come tale, va concessa con cautela. L’onere della prova grava interamente sull’appellante, che deve andare oltre la mera allegazione di un rischio, fornendo elementi fattuali e concreti che ne dimostrino la serietà e l’irreparabilità. Un timore soggettivo o una generica preoccupazione non sono sufficienti per paralizzare gli effetti di una pronuncia giudiziale.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza della Corte d’Appello di Firenze serve come monito per chi intende richiedere la sospensione di una sentenza. Le implicazioni pratiche sono chiare: per avere successo, un’istanza di inibitoria in appello deve essere solidamente costruita su due pilastri. In primo luogo, è necessario dimostrare in modo circostanziato e documentato che l’esecuzione immediata causerebbe un danno non solo grave, ma anche irreparabile. In secondo luogo, bisogna evidenziare che le censure mosse alla sentenza di primo grado sono talmente palesi da far apparire l’appello come manifestamente fondato. In assenza di una prova rigorosa su entrambi i fronti, la richiesta di sospensione è destinata a essere respinta.

Quando si può ottenere la sospensione di una sentenza di primo grado in appello?
Secondo l’ordinanza, la sospensione può essere concessa solo se ricorrono congiuntamente due condizioni: l’appello appare manifestamente fondato (ovvero la sentenza di primo grado presenta errori evidenti) e sussiste il rischio di un pregiudizio grave e irreparabile derivante dalla sua immediata esecuzione.

Il rischio di non riuscire a recuperare le somme pagate è sufficiente per ottenere l’inibitoria?
No, da solo non è sufficiente. La Corte afferma che l’appellante deve allegare e dimostrare concretamente la fondatezza di tale timore. Una preoccupazione generica, specialmente per importi contenuti, non è considerata sufficiente a costituire il ‘pregiudizio grave e irreparabile’ richiesto dalla legge.

Cosa intende la Corte per pregiudizio ‘grave e irreparabile’?
La Corte chiarisce che il pregiudizio ‘grave e irreparabile’ non consiste nel solo danno fisiologico conseguente all’esecuzione della sentenza (cioè il dover pagare). Deve trattarsi di un nocumento più significativo, che nel caso di specie l’appellante non ha né allegato concretamente né tantomeno dimostrato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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