Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20469 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20469 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21905-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 12/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 16/02/2021 R.G.N. 381/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/05/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Oggetto
Rapporto lavoro privato -differenze retributive
R.G.N.21905/2021
COGNOME
Rep.
Ud 20/05/2025
CC
Fatti di causa
La Corte d’appello di Milano ha accolto in parte l’appello di NOME COGNOME e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 3.190,48, oltre accessori di legge, a titolo di indennità supplementare.
La Corte territoriale ha accertato che la lettera di assunzione del lavoratore contemplava, tra le voci retributive, l’indennità supplementare; che questa era prevista dall’art. 98 del c.c.n.l. applicato per i portieri aventi il profilo professionale A1, quale era il COGNOME.
Avverso la sentenza il RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 1362, comma 1, c.c. per avere la Corte d’appello errato nell’interpretare il contratto individuale di lavoro, ignorando sia il testo letterale e sia l’intenzione delle parti, atteso che tale contratto si limita ad indicare tra le voci retributive quella della indennità supplementare senza alcun riferimento, né esplicito né implicito, all’articolo 98 del c.c.n.l.
Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 1362, comma 2, c.c. per non avere la Corte d’appello tenuto in debita considerazione il comportamento delle parti successivo alla stipulazione del contratto e per non aver considerato che la voce contrattuale in
esame è stata modificata sia nel suo ammontare sia nel titolo, concordando le parti sulla mancata predefinizione della stessa ad opera del contratto collettivo.
Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., l’errata applicazione dell’art. 98 del c.c.n.l. per avere la Corte d’appello ritenuto che la voce indennità supplementare, inclusa nel contratto individuale di lavoro, corrispondesse a quella di cui all’art. 98 del contratto collettivo, senza avvedersi che tale norma attribuisce al portiere con profilo professionale A1, come il COGNOME, oltre alla paga base, un’indennità supplementare solo ove vengano svolte mansioni eccedenti quelle individuate dalla declaratoria contrattuale, senza alcun automatismo tra il ruolo professionale e la citata indennità.
Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., l’errata applicazione dell’art. 2697 c.c. per avere la sentenza considerato assolto l’onere probatorio del lavoratore sebbene questi non avesse allegato e provato lo svolgimento di una o più attività eccedenti le ordinarie mansioni di portiere.
I primi due motivi di ricorso non sono fondati.
In base ai principi enunciati da questa Corte, l’interpretazione degli atti negoziali si sostanzia in un accertamento di fatto (cfr. Cass. n. 9070 del 2013; n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 22318 del 2023; n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006); il sindacato di legittimità è in tal caso limitato alla verifica del rispetto dei canoni ermeneutici, oltre che al controllo di sussistenza di una motivazione logica e coerente (cfr. Cass. n. 21576 del 2019; n. 20634 del 2018; n. 4851 del 2009; n. 3187 del 2009; n. 15339 del 2008), ed esige la specifica indicazione del modo attraverso cui si è realizzata la violazione delle regole
interpretative o l’insanabile contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito. Da ciò discende che le censure veicolate col ricorso in cassazione non possono esaurirsi nella prospettazione di una interpretazione alternativa, fondata sulla valorizzazione di alcune espressioni piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la lettura data dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione dell’atto è riservata (cfr., Cass. n. 18214 del 2024; n. 15471 del 2017; n. 27136 del 2017; n. 18375 del 2006).
Nel caso in esame, la censura mossa dal Consorzio con i primi due motivi di ricorso si risolve nella contrapposizione di una interpretazione alternativa del contenuto del contratto individuale, che in nessun modo fa emergere l’invalidità della lettura posta a base della decisione impugnata. Non rileva che il contratto individuale, il quale contempla espressamente la voce ‘indennità supplementare’, non richiami l’art. 98 del c.c.n.l. che disciplina tale istituto, atteso che il primo rinvia comunque al contratto collettivo e non è in discussione l’applicabilità dello stesso al rapporto di lavoro tra le parti.
L’interpretazione data dai giudici di merito non può dirsi inficiata dalla circostanza che detto emolumento contrattuale, a partire da dicembre 2013, sia stato qualificato dalla società come ‘superminimo assorbibile’, in assenza di contestazione da parte del lavoratore, dato che la Corte di appello ha giudicato tale condotta datoriale illegittima (‘tale indennità supplementare è una voce contrattuale riconosciuta al lavoratore, prevista dal contratto collettivo e, come tale, essa non è assorbibile; il Cons NOME. arbitrariamente nel 2013 ha definito tale emolumento come superminimo assorbibile, sostituendo così illegittimamente l’emolumento’, p. 8), come
tale inidonea a valere quale comportamento concludente modificativo del contratto individuale.
6. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono inammissibili in quanto pongono la questione della errata interpretazione del contratto collettivo e della mancanza di prova dei requisiti per l’indennità ex art. 98 c.c.n.l. senza, tuttavia, illustrare in quali atti processuali e in quali termini tali questioni siano state poste nei precedenti gradi di merito, atteso che la sentenza d’appello non contiene alcun riferimento in proposito.
E’ affermazione costante di questa Corte che, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. n. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del 2015; n. 11166 del 2018; n. 20694 del 2018).
Comunque, l’infondatezza dei motivi in esame discende logicamente dal rigetto dei primi due motivi di ricorso, atteso che la previsione nel contratto individuale del diritto alla indennità supplementare che, secondo l’interpretazione dei giudici di appello qui confermata, coincide con quella disciplinata dall’art. 98 del c.c.n.l., presuppone la ricorrenza dei presupposti a cui il contratto collettivo vincola la citata indennità, senza alcun onere di prova a carico del lavoratore, dovendosi altrimenti qualificare la stessa come trattamento di miglior favore (cfr. su quest’ultimo aspetto Cass. n. 19923 del 2014 secondo cui la corresponsione,
in favore del lavoratore subordinato, di una retribuzione maggiore di quella dovutagli in forza della contrattazione collettiva, costituisce trattamento di miglior favore, salva la dimostrazione, il cui onere incombe sul datore di lavoro, di un errore non imputabile ad esso e riconoscibile anche dallo stesso lavoratore).
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del
2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il Consorzio ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge, con distrazione in favore dell’avv. NOME COGNOME antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 20 maggio 2025.