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Indennità supplementare: non è soggetta a contributi

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’indennità supplementare, corrisposta a un dirigente a seguito di licenziamento ingiustificato, non rientra nella base imponibile per il calcolo dei contributi previdenziali. La sentenza chiarisce che tale somma ha una natura puramente risarcitoria e sanzionatoria nei confronti del datore di lavoro, e non costituisce un corrispettivo per l’attività lavorativa. Pertanto, la pretesa dell’ente previdenziale di assoggettare a contribuzione tale indennità è stata respinta, confermando la decisione della Corte d’Appello.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità supplementare e Contributi: La Cassazione Fa Chiarezza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato una questione di grande rilevanza per aziende e dirigenti: la natura dell’indennità supplementare corrisposta in caso di licenziamento ingiustificato e la sua soggezione a contributi previdenziali. La Corte ha stabilito un principio chiaro: tale indennità, avendo natura risarcitoria e non retributiva, è esclusa dalla base imponibile contributiva. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dal ricorso presentato da un noto ente previdenziale contro una società di ingegneria informatica. L’ente aveva emesso un avviso di addebito per il mancato versamento dei contributi su una somma di oltre 78.000 euro, corrisposta dalla società a un suo ex dirigente a titolo di indennità supplementare. Tale somma era stata riconosciuta a seguito di una sentenza che aveva accertato l’illegittimità del licenziamento.

La Corte di Appello di Torino aveva dato ragione alla società, annullando la pretesa contributiva e qualificando l’indennità come un risarcimento del danno, privo di natura retributiva. L’ente previdenziale, non condividendo questa interpretazione, ha portato la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Questione dell’Indennità Supplementare e i Contributi

Secondo la tesi dell’ente ricorrente, anche le somme erogate per risarcire un danno possono essere soggette a contribuzione, specialmente quando sono finalizzate a compensare un “lucro cessante”, ovvero la perdita di un guadagno futuro. L’ente sosteneva che l’indennità supplementare, pur essendo risarcitoria, serviva a ristorare il dirigente per la mancata percezione delle retribuzioni future a causa del licenziamento ingiustificato e, pertanto, doveva essere inclusa nell’imponibile contributivo.

In sostanza, la difesa dell’ente si basava su una distinzione tra danno emergente (perdita patrimoniale diretta) e lucro cessante (mancato guadagno), sostenendo che solo il primo fosse esente da contribuzione.

Le Motivazioni della Cassazione: Distinzione tra Fisco e Contributi

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’ente previdenziale, fornendo una motivazione articolata e fondamentale per il diritto del lavoro. Il punto centrale della decisione risiede nella netta distinzione tra il piano fiscale e quello contributivo.

Sul piano tributario, la legge (art. 6 D.P.R. n. 917/1986) prevede che siano tassabili anche le indennità percepite “in sostituzione” di redditi o “a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi”. Questo spiega perché, ai fini fiscali, l’indennità supplementare è spesso considerata imponibile.

Tuttavia, sul piano contributivo, le regole sono diverse. Affinché una somma sia soggetta a contribuzione, è necessario che essa abbia una funzione di corrispettivo, anche in senso ampio, per l’attività lavorativa svolta o che il lavoratore avrebbe avuto diritto di svolgere. Deve esistere un collegamento causale tra l’erogazione e il rapporto di lavoro.

La Corte ha stabilito che l’indennità supplementare non possiede questa caratteristica. La sua causa non risiede nell’esecuzione del contratto di lavoro, ma, al contrario, nell’inadempimento del datore di lavoro che ha posto in essere un licenziamento illegittimo. L’erogazione ha una funzione sanzionatoria e punitiva verso l’azienda e serve a risarcire il dirigente per un danno che deriva dalla risoluzione illecita del rapporto, un momento in cui il legame lavorativo e assicurativo è ormai irrimediabilmente cessato. Non è, quindi, una retribuzione differita o una sostituzione dello stipendio, ma un ristoro per la violazione degli obblighi contrattuali da parte del datore di lavoro.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale che riconosce la natura puramente risarcitoria dell’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva per i dirigenti. La Corte Suprema ha chiarito che il carattere sanzionatorio di questa somma esclude qualsiasi legame di corrispettività con la prestazione lavorativa, rendendola di conseguenza non assoggettabile a contribuzione previdenziale.

Questa decisione offre certezza giuridica alle aziende, confermando che gli importi versati a tale titolo non devono essere inclusi nella base di calcolo per i contributi da versare all’ente previdenziale. Si tratta di un principio fondamentale che distingue nettamente le obbligazioni risarcitorie derivanti da un illecito contrattuale da quelle retributive legate allo svolgimento del rapporto di lavoro.

L’indennità supplementare corrisposta a un dirigente per licenziamento ingiustificato è soggetta a contribuzione previdenziale?
No, secondo la Corte di Cassazione, l’indennità supplementare non è soggetta a contribuzione previdenziale perché ha natura puramente risarcitoria e sanzionatoria, non retributiva.

Qual è la differenza tra l’imponibile fiscale e l’imponibile contributivo per somme come l’indennità supplementare?
Sul piano fiscale, anche le somme a titolo di risarcimento per la perdita di redditi (lucro cessante) sono generalmente tassabili. Sul piano contributivo, invece, una somma è imponibile solo se costituisce un corrispettivo per l’attività lavorativa, caratteristica che l’indennità supplementare non possiede.

Perché la natura risarcitoria dell’indennità esclude l’obbligo contributivo?
L’obbligo contributivo è escluso perché la causa dell’erogazione non è l’esecuzione del rapporto di lavoro, ma l’inadempimento datoriale che ha portato al licenziamento ingiustificato. L’indennità serve a risarcire il danno e a sanzionare l’azienda, non a retribuire il lavoratore per la sua prestazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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