Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20226 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20226 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/07/2025
Il Tribunale di Roma ha rigettato le domande degli ex dipendenti INPS indicati in epigrafe, cessati dal servizio tra l’1.12.2008 e l’1.8.2013, volte ad ottenere la condanna il pagamento dell’indennità sostitutiva dei riposi compensativi non goduti nel corso del rapporto di lavoro.
I ricorrenti avevano dedotto di avere lavorato come addetti turnisti al Centro Elettronico dell’Istituto e di avere maturato , all’atto del collocamento a riposo, numerosi giorni di riposo compensativo a fronte di prestazioni lavorative svolte senza potere usufruire del riposo settimanale; avevano precisato di non avere potuto fruire dei riposi compensativi per inderogabili esigenze di servizio connesse al funzionamento del Centro.
La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma di tale sentenza, ha condannato l’INPS al pagamento dell’indennità sostitutiva dei riposi compensativi non goduti fino al 5.7.2012, oltre al maggiore importo tra interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data di maturazione di ogni singola voce al saldo.
La Corte territoriale ha escluso che il diritto al compenso sostitutivo degli ex dipendenti fosse subordinato alla tempestiva richiesta di fruizione del riposo compensativo rigettata dal datore di lavoro.
Ha in particolare ritenuto che il datore di lavoro sia contrattualmente obbligato ad organizzare la propria attività in modo da consentire ai suoi dipendenti di usufruire del giorno di riposo settimanale e delle festività infrasettimanali e che per particolari esigenze di servizio può chiedere ai dipendenti di lavorare anche in tali giornate, erogando in tal caso la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario ed assegnando un giorno di
riposo compensativo; è poi tenuto ad erogare il compenso sostitutivo in caso di mancata assegnazione del riposo compensativo per esigenze di servizio.
Ha qualificato la mancata fruizione del riposo compensativo da parte del lavoratore come inadempimento contrattuale del datore di lavoro, ed ha pertanto ritenuto che sul lavoratore gravi unicamente l’onere di dimostrare il fatto costitutivo dell’inadempimento (la mancata fruizione del riposo), mentre il datore di lavoro è tenuto a dimostrare che l’inadempimento non è a lui imputabile.
Ha rilevato che l’INPS nel costituirsi in giudizio non aveva contestato le circostanze che il Centro Elettronico al quale erano stati assegnati i ricorrenti lavorasse a ciclo continuo, che era l’Istituto a predisporre i turni di servizio del personale e a programmare i riposi compensativi e che i ricorrenti avevano fruito di tutti i riposi programmati dall’Amministrazione.
Non ha condiviso la statuizione del primo giudice, secondo cui era onere dei ricorrenti provare che la richiesta di riposi compensativi fosse stata puntualmente presentata al proprio responsabile e che fosse stata dl medesimo disattesa per esigenze di servizio.
Ha poi ritenuto che l’art. 5, c omma 7, del d.l. n. 95/ 2012, convertito dalla legge n. 135/2012 sia direttamente applicabile alla fattispecie ed ha escluso che tale disposizione precluda al lavoratore la possibilità di pretendere il risarcimento del danno qualora il mancato godimento del riposo compensativo dipenda da causa non imputabile al lavoratore, come ritenuto dalla sentenza n. 95/2016 della Corte costituzionale, ha escluso che tale disposizione violi l’art. 36 Cost.
Ha pertanto riconosciuto il diritto dei ricorrenti a percepire l’indennità sostitutiva dei riposi compensativi maturati e non goduti fino all’entrata in vigore dell’art. 5 del d.l. n. 95/2012 nei limiti della prescrizione decennale, calcolata a ritroso dalla data di costituzione in mora dell’Istituto.
Avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Gli ex dipendenti hanno resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 345, comma primo, e 437, comma secondo, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Deduce che nel giudizio di appello l’INPS aveva eccepito la novità dell’argomento relativo all’insussistenza della necessità di una formale richiesta di fruire del riposo compensativo, evidenziando che l’appello sul punto non aveva censurato la sentenza di primo grado, ma si era limitato a replicare alle affermazioni dell’Istituto.
Sostiene che nel giudizio di primo grado i ricorrenti non avevano mai prospettato tale argomentazione.
Lamenta che gli ex dipendenti avevano introdotto per la prima volta nel giudizio di appello circostanze di fatto che avrebbero potuto introdurre nel giudizio di primo grado, essendo chiare ed univoche le ragioni addotte dall’INPS per motivare il diniego.
2. La censura è inammissibile.
Il motivo non assolve agli oneri previsti dall’art. 366 n. 6 e dall’art. 369 n. 4 cod. proc. civ., in quanto non riporta integralmente il ricorso di primo grado e non lo localizza.
Dalla sentenza impugnata risulta comunque che l’INPS nel giudizio di primo grado aveva sostenuto la necessità di una formale richiesta di fruire del riposo compensativo e che il Tribunale aveva ritenuto che sui ricorrenti gravasse l’onere di dimostrare che la richiesta di riposi compensativi era stata puntualmente presentata al loro responsabile e che tale richiesta aveva avuto esito negativo per particolari esigenze di servizio, in base all’art. 20 del CCNL del 2001.
L’Istituto ha dunque prospettato che la necessità di una formale richiesta di fruire del riposo compensativo, e tanto basta per escludere la novità della questione.
Con il primo motivo di appello i ricorrenti hanno comunque censurato l’interpretazione dell’art. 20 del CCNL del 2001 contenuta nella sentenza di primo grado e non hanno pertanto introdotto alcun nuovo argomento.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 20, commi 1 e 3, del CCNL per il personale non dirigente degli Enti
Pubblici non economici stipulato il 14 febbraio 2001, di integrazione del CCNL 16.2.1999 e dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ripartito l’onere della prova.
Sostiene che la tempestiva richiesta del lavoratore (entro 15 giorni e comunque non oltre il bimestre successivo) rappresenta un elemento costitutivo del diritto al compenso richiesto e della sua erogazione.
4. Il motivo è infondato.
L’art. 20 del CCNL del 14.2.2001, ad integrazione del CCNL per il personale non dirigente degli enti pubblici non economici del 16.2.1999 prevede:
‘1. Al dipendente che per particolari esigenze di servizio, e nell’ambito della disciplina sull’orario di lavoro di cui all’art. 17 del CCNL 6/7/1995, non usufruisce del riposo settimanale, deve essere corrisposta la retribuzione di cui all’art. 29, c.2, lett. a) maggiorata del 80% con diritto al riposo compensativo da fruire di regola entro 15 giorni e comunque non oltre il bimestre successivo.
L’attività prestata in giorno festivo infrasettimanale, ove per esigenze di servizio non sia possibile consentire la fruizione del riposo compensativo, dà titolo ad un compenso sostitutivo commisurato al lavoro straordinario con la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario festivo. (…)’.
Tale disposizione colloca la mancata fruizione del riposo settimanale nell’ambito della disciplina contrattuale sull’orario di lavoro ed in caso di mancata fruizione del riposo compensativo per esigenze di servizio prevede un ‘compenso sostitutivo’, e dunque una vera e propria retribuzione, commisurata al lavoro straordinario.
La materia dei riposi è stata disciplinata a livello comunitario dalle Direttive 93/104/CE e 2003/88/CE, che si applicano : ‘a) ai periodi minimi di riposo giornaliero, riposo settimanale e ferie annuali nonché alla pausa ed alla durata massima settimanale del lavoro ( …)’ (art. 2).
L’art. 5 dell e medesime Direttiva stabilisce: ‘Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, per ogni periodo di 7 giorni,
di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero previste dall’art. 3.
Se condizioni oggettive, tecniche o di organizzazione del lavoro lo giustificano, potrà essere fissato un periodo minimo di riposo di 24 ore.’.
L’art. 6 dell e suddette Direttive prevede a sua volta: ‘Gli Stati membri rendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori:
la durata settimanale del lavoro sia limitata mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative oppure contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali;
la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario.’
L’art. 17 delle suddette Direttive consente deroghe agli artt. 3, 4, 5 (che disciplinano rispettivamente il riposo giornaliero, la pausa, il riposo settimanale), da adottare con legge, regolamento o con provvedimento amministrativo, ovvero mediante contratti collettivi o accordi conclusi fr a le parti sociali, ‘a condizione che vengano concessi ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo oppure, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, a condizione che venga loro concessa una protezione appropriata.’
Le suddette Direttive condizionano dunque le deroghe alla concessione di equivalenti riposi compensativi e non ostano alla monetizzazione dei riposi compensativi non goduti.
Questa Corte ha peraltro riconosciuto che il riposo compensativo costituisce parte integrante del periodo lavorativo.
Si è in particolare ritenuto che ai fini del compimento del periodo di assegnazione a mansioni superiori, necessario per l’acquisizione del diritto alla cosiddetta promozione automatica ai sensi dell’art. 2103 cod. civ. deve tenersi conto sia dei riposi settimanali che dei riposi compensativi, essendo il tempo delle relative pause necessario alla stessa prestazione e costituendo parte integrante del ‘periodo lavorativo’ (Cass. n. 1983/2004).
Si è dunque chiarito che anche il riposo compensativo, imposto dalla particolare natura del lavoro e dalla distribuzione del lavoro stesso fra i dipendenti, in quanto conseguenza di un riposo non goduto, di cui costituisce mero differimento nel tempo e traccia di un lavoro che si sta svolgendo, costituisce la necessaria pausa del lavoro; si è pertanto ritenuto che il continuum del periodo lavorativo, non interrotto dalla pausa del riposo settimanale, non è interrotto neanche dal riposo compensativo.
Questa Corte, in tema di richiesta di pagamento della retribuzione per il mancato godimento della pausa di 10 minuti durante il turno di lavoro, ha rammentato il diritto del lavoratore che presti un’attività con orario giornaliero superiore alle sei ore consecutive, ad una pausa retribuita della durata di dieci minuti da fruire sul posto di lavoro o, in mancanza, di un riposo compensativo di pari durata nei trenta giorni successivi ai fini del recupero delle sue energie psico-fisiche.
Con specifico riferimento alla ripartizione degli oneri probatori, si è dunque affermato che grava sul lavoratore l’onere di provare il fatto costitutivo del suo diritto, e cioè il mancato godimento della giornata di riposo (v. Cass. n. 8626/2024 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Si è infatti chiarito che l’impossibilità di godimento della pausa durante il turno di lavoro impone la concessione di riposi compensativi di pari durata, da godersi entro i trenta giorni, rientrando nella sfera organizzativa la predisposizione anche unilaterale, in virtù del potere datoriale di organizzazione e di direzione ai sensi degli artt. 2086 e 2104 cod. civ., di norme interne di regolamentazione relative, in particolare all’organizzazione tecnica (oltre che disciplinare) del lavoro nell’impres a, con efficacia vincolante per i prestatori di lavoro , sempre che non sconfinino nell’arbitrio, né perdano ogni collegamento con l’interesse all’ordinato svolgersi dell’attività lavorativa e l’esercizio di detto potere sia effettivamente funzionale, a norma dell’art. 1775 cod. civ. , alle esigenze tecniche, organizzative e produttive dell’azienda (Cass. n. 1892/2000).
E’ stata dunque richiamata un’interpretazione secondo buona fede della previsione collettiva, condotta alla luce del principio di effettività della tutela prefigurata, di imposizione alla parte datoriale dell’adozione di modalità di
recupero, che non risultino in concreto penalizzanti per il lavoratore e che siano tali da garantire, nel concreto contesto lavorativo, l’effettività del recupero psico -fisico del dipendente; e pertanto, di predisposizione delle misure e cautele idonee a p reservare l’integrità psico -fisica del lavoratore, in relazione alla specifica situazione comportante il suo logoramento (Cass. n. 29341/2023).
Si è pertanto escluso che al lavoratore competa anche l’allegazione e la prova del ‘mancato godimento’ dei riposi compensativi di pari durata, da godere nei trenta giorni successivi, ‘sostitutivi delle pause non godute’, integrando il godimento del riposo compensativo un fatto estintivo il cui onere di allegazione e prova incombe su chi l’eccepisca.
Si è dunque attenuta a tali principi la sentenza impugnata, che ha escluso l’onere del lavoratore di dimostrare di avere presentato la richiesta di riposi compensativi al responsabile e che tale richiesta fosse stata disattesa.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 6000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della