Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11308 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11308 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
ORDINANZA
nel procedimento iscritto al n. 19471/2020 R.G. proposto da COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli Avv.ti COGNOME
– ricorrenti –
contro
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 882/2019 della Corte d’Appello di Bologna, depositata il 28.11.2019, N.R.G. 868/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5.2.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.
la Corte d’Appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto dai medici-chirurghi in ambito ortopedico dell’Azienda Ospedaliero -Universitaria di Bologna Policlinico S. Orsola COGNOME (di seguito, Policlinico) avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che, a propria volta, aveva disatteso la domanda di riconoscimento dell’indennità per rischio radiologico e del corrispondente periodo di congedo aggiuntivo;
la Corte territoriale premetteva che, non riguardando la causa medici di radiologia, i ricorrenti erano onerati, secondo i principi sanciti dalla S.C., di comprovare in via alternativa: 1) l’effettiva esposizione ad un rischio di radiazioni in misura non diversa da quella cui si trova normalmente esposto il personale di radiologia; 2) lo svolgimento abituale dell’attività professionale in zona controllata; 3) l’assorbimento annuo di radiazioni in misura non inferiore a quello proprio dell’esercizio abituale dell’attività in zona controllata;
quanto al primo requisito, la Corte territoriale riteneva che non fosse stata raggiunta la prova richiesta, in quanto i dati dei dosimetri individuali erano risultati inferiori ed anche i dati della relazione tecnica del 2013, fondata sulla valutazione sinergica di più elementi, avevano evidenziato valori di dose stimata inferiori ai limiti;
quanto alla permanenza nella zona controllata, o alle dosi di radiazioni ivi assorbite, la Corte territoriale stimava la durata dei tempi sulla base dei momenti di ‘brillanza’ resisi necessari nel corso delle operazioni chirurgiche cui avevano partecipato i ricorrenti;
ciò per concluderne che i dati fornivano un esito di circa un minuto settimanale di sottoposizione ai raggi, che era tale da escludere il requisito della abitualità ed anche un assorbimento annuo comparabile a quello proprio del lavoro in zona controllata;
su tali premesse, venivano disattesi gli esiti della c.t.u., che si era fondata su una valutazione del numero delle ‘occasioni di esposizione’, ma ciò sulla base di un automatismo che non aveva tenuto conto dei tempi e delle quantità effettive, richiesti invece dalla giurisprudenza della S.C., sul presupposto che il rischio indennizzato debba essere reale e non soltanto ipotetico;
la Corte d’Appello disattendeva infine il motivo di ricorso con il quale i medici avevano contestato la decisione del Gruppo di Valutazione del rischio radiologico, sulla cui base l’ente aveva revocato l’attribuzione dell’indennità, che i lavoratori lamentavano fosse stata assunta nonostante difettasse nella composizione della Commissione la prescritta componente sindacale;
la Corte territoriale evidenziava in proposito come l’art. 120 del d.p.r. 384 del 1990, cui risaliva da ultimo una tale previsione in ordine alla composizione della Commissione, era stato disapplicato, anche ai sensi dell’art. 69 del d. lgs. n. 165 del 2001, dall’art. 29 del CCNL integrativo del 8.6.2000, sicché non si era verificata alcuna violazione della normativa di settore;
2.
i medici hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, resistiti da controricorso del Policlinico;
sono in atti memorie di ambo le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.
il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della legge n. 460/1988, del d.P.R. n. 384/1990, del d.lgs. n. 230/1995 e del CCNL 10 febbraio 2004;
i ricorrenti richiamano l’art. 1 della legge n. 460 del 1988, regolativo dell’indennità di rischio radiologico, l’art. 54 del d.p.r. n. 384, al cui quinto comma sono previsti i criteri in base ai quali deve
essere valutata la continuità o l’occasionalità dell’esposizione a rischio, nonché l’art. 5 della legge n. 724 del 1994 secondo cui il congedo ordinario aggiuntivo è dovuto non solo ai tecnici e medici di radiologia, ma anche a quanti svolgono abitualmente la specifica attività professionale in zona controllata ed infine il d.lgs. n. 230 del 1995 e il CCNL del 2004, con cui l’indennità di rischio radiologico è stata trasformata in indennità professionale specifica; nel ricorso si evidenzia poi come, in esito all’interpretazione fornita da Corte Costituzionale 20 luglio 1992, n. 343, l’indennità di rischio di cui alla legge n. 460 del 1988 sia dovuta non solo al personale tecnico e medico di radiologia, ma anche al personale che, in relazione all’esposizione al rischio radiologico in misura continua e prevalente, risulti effettivamente sottoposto al medesimo rischio connesso all’esercizio non occasionale né temporaneo delle proprie mansioni;
i ricorrenti richiamano quindi giurisprudenza di questa S.C. e in particolare Cass. 24 febbraio 2011, n. 4525, riguardante chirurghi ortopedici, che aveva ritenuto congruamente motivata la sentenza all’epoca impugnata la quale aveva valorizzato, ai fini dell’esposizione a rischio, la circostanza dell’impossibilità da parte del chirurgo di adottare misure protettive;
essi contestano poi la valutazione delle risultanze istruttorie svolta dalla Corte di merito e deducono che la spettanza o meno della indennità non è necessariamente correlata ai valori di esposizione di cui al d.lgs. n. 230/1995, introdotti al solo fine di effettuare la pianificazione della radioprotezione, o alla prova di un assorbimento annuo delle radiazioni in misura pari a quella prevista per il personale classificato nella categoria A (art. 4 del d. lgs. n. 230 del 1995), essendo sufficiente dimostrare lo svolgimento abituale dell’attività professionale in zona controllata;
i lavoratori aggiungono quindi che la Corte distrettuale si è discostata dalla mole dei dati istruttori forniti, nonché dalle
conclusioni del c.t.u., senza una valida e convincente ragione giuridica e sostengono che era stata data ampia prova dello svolgimento quotidiano di interventi chirurgici in zona controllata; il secondo motivo è rubricato, in una prima parte, come denuncia di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 n. 5 c.p.c. ed esso è sviluppato richiamando gli accertamenti svolti dal c.t.u., tra cui l’osservazione e descrizione dell’attività operatoria, con le modalità di distanza dal fascio di radiazioni ed i tempi di esposizione da esso individuati, oltre ai dati forniti dal c.t.p., rimarcando come la Corte d’Appello non solo non abbia fatto menzione di tali elementi fattuali, ma addirittura sia arrivata erroneamente a disconoscere che i ricorrenti avessero mai messo in discussione i dati raccolti dal
Policlinico;
in una seconda parte, il motivo è impostato sostenendo che la sentenza sarebbe munita di una motivazione apparente, in violazione (art. 360 n. 4 c.p.c.) dell’art. 132 del c.p.c.;
in particolare, ciò è argomentato evidenziando come non sia stata presa posizione sulle ragioni medico-legali illustrate nella c.t.u. e siano state invece valorizzate le prese di posizione unilaterali del Policlinico, affermando poi la sentenza impugnata, senza fornire adeguato riscontro tecnicoscientifico, l’inutilità dell’intervento chirurgico osservato dal c.t.u. e incentrando la decisione sui ‘tempi di brillanza’ i quali, più che fornire un’indicazione sulla permanenza nella zona controllata, avrebbero dovuto essere semmai utilizzati per il calcolo della dose annua efficace;
2.
i motivi possono essere esaminati congiuntamente e vanno disattesi;
3.
la Corte territoriale, come si è detto nello storico di lite, dopo avere individuato i profili di prova che -alternativamente -avrebbero potuto portare all’accoglimento della domanda dei ricorrenti, ha
escluso che fosse stata data dimostrazione del loro effettivo verificarsi nella misura necessaria, sotto il profilo quali-quantitativo dell’esposizione;
quanto al primo possibile parametro, ovverosia l’effettiva esposizione in misura non diversa da quella propria del personale di radiologia, la Corte territoriale ne ha escluso la ricorrenza sulla base dei dati dei dosimetri personali, tali da risultare inferiori ai limiti previsti per gli individui della popolazione;
quanto allo svolgimento abituale dell’attività professionale in zona ‘controllata’ o l’assorbimento annuo delle radiazioni che la stessa comporta, la Corte d’Appello ha ritenuto che tali tempi andassero collegati ai momenti di ‘brillanza’ nel corso dell’attività operatoria, ovverosia ai momenti di azionamento degli apparecchi per l’emissione dei raggi ionizzanti e che rilevasse quale zona controllata la posizione individuabile entro un metro e mezzo dal centro del fascio;
su tali basi, i dati del programma aziendale dimostravano, sulla base dei turni in sala operatoria, un’esposizione ai raggi di circa un minuto settimanale, pur dovendosi anche tenere conto, in senso ulteriormente riduttivo, che solo in talune situazioni il sanitario era tenuto a permanere in prossimità dell’apparecchio per necessità di cura del paziente, mentre in altre circostanze era consentito anche l’allontanamento al di fuori della sala nel momento di brillanza;
3.1
quanto sopra esprime il positivo convincimento maturato dalla Corte territoriale, cui si aggiungono nella sentenza plurime considerazioni sui dati istruttori e tale asse decisorio è palesemente tale da non potersi parlare di motivazione apparente;
quest’ultima ricorre infatti solo in presenza di un « vizio logico della motivazione … lacuna o … aporia » che siano tali da escludere la « plausibilità del percorso » logico (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n.
8053), mentre gli snodi argomentativi sopra riportati sono in sé tali da risultare intrinsecamente coerenti;
essi muovono infatti da criteri giuridici, cui si è associata la verifica in ordine alla ricorrenza o meno in fatto, attraverso la valorizzazione di elementi dell’istruttoria che condivisibile o meno che sia il loro apprezzamento -non possono dirsi abnormi, tali non potendosi dire, perché si tratta di fattori propri del settore di indagine, i dati dosimetrici o gli altri dati provenienti dal Policlinico e da quest’ultimo rilevati nell’ambito della propria attività, pur trattandosi di elementi provenienti da una delle parti;
3.2
quanto alla deduzione -di cui sempre al secondo motivo -del vizio di omesso esame di fatto decisivo, va evidenziato come, sempre secondo i principi consolidati di Cass., S.U., n. 8053/2014 cit., l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, sicché va esclusa qualunque rilevanza al semplice difetto di “sufficienza” della motivazione e l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
il motivo ha viceversa proprio la consistenza della critica in generale a svariati ragionamenti e valutazioni sul piano probatorio svolti dal giudice, in cui non si identificano specifici fatti non
esaminati, ma si censura piuttosto l’esito complessivo di articolati apprezzamenti istruttori;
4.
sul piano giuridico, non può poi dirsi che vi sia stata violazione delle norme sostanziali che regolano la fattispecie, come denunciato nel primo motivo;
i profili di prova su cui si è incentrata la decisione sono infatti del tutto coerenti con i principi affermati da questa S.C., secondo cui « al di fuori del personale medico e tecnico di radiologia, per il quale soltanto opera la presunzione assoluta di cui all’art. 1, comma 2, della l. n. 460 del 1988, l’indennità di rischio radiologico presuppone la sussistenza del rischio effettivo di un’esposizione non occasionale, né temporanea, analoga a quella del personale di radiologia, sicché il lavoratore che richieda detta indennità, ed il congedo aggiuntivo, ha l’onere di provare in giudizio l`esposizione qualificata in base ai criteri tecnici previsti dal d.lgs. n. 230 del 1995, ovvero lo svolgimento abituale dell’attività professionale in zona controllata o l’assorbimento annuo delle radiazioni che la stessa comporta » (Cass. 24 agosto 2015, n. 17116; Cass. 7 giugno 2018, n. 14836);
5.
su tali premesse, le considerazioni contenute nei due motivi si traducono palesemente nella manifestazione di difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice agli elementi dell’istruttoria e quindi hanno la sostanza di una pretesa di revisione delle valutazioni e del convincimento, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148);
5.1
in particolare, è acquisita alla giurisprudenza di questa S.C. la possibilità per il giudice, che pur abbia nominato c.t.u., di disattenderne le argomentazioni o sostituirle con proprie diverse, purché siano rispettati i principi che governano la motivazione delle decisioni (Cass. 21 dicembre 2017, n. 30733; Cass. 7 agosto 2014, n. 17757);
nel caso di specie, basti rilevare come la Corte territoriale abbia inteso non utilizzare i dati raccolti nel sopralluogo svolto dal c.t.u. argomentando -non implausibilmente -che esso era stato programmato e coinvolgeva uno dei lavoratori, consapevole della presenza del c.t.u., ritenendosi a quel punto preferibile l’utilizzazione di dati dosimetrici che, pur provenendo dal Policlinico, derivavano dai apparecchiature personali e dalle rilevazioni ambientali strumentali condotte sui luoghi di esposizione e dai macchinari;
analogamente, la Corte territoriale ha motivatamente ritenuto che le valutazioni del c.t.u. dessero rilievo al numero delle occasioni di esposizione e non ai tempi ed alle quantità di esse, con ciò ponendosi in contrasto con i criteri di effettività del rischio e di specificità richiesti dalla S.C. per le valutazioni in questione;
essa ha quindi sviluppato un apprezzamento viceversa calibrato sulla concreta presenza nella zona controllata, in termini precisi e puntuali, come si è già sopra riepilogato in dettaglio al punto 3; 6.
il terzo motivo adduce la violazione ed errata applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 58, co. 4, del d.P.R. 1987, dell’art. 120 del d.P.R. 384/1990, dell’art. 69 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 29 del CCNL del 10.2.2004, insistendo nel sostenere che la revoca dell’attribuzione del beneficio economico doveva essere ritenuta illegittima perché del Gruppo di valutazione in materia non aveva fatto parte un rappresentante sindacale, come stabilito dalla richiamata normativa, in sé da aversi non superata dalla
contrattualizzazione del pubblico impiego, stante il fatto che il CCNL aveva di fatto mantenuto la pregressa impostazione;
6.1 il motivo è irrilevante, in quanto una volta accertata in sede giudiziale l’assenza dei necessari presupposti di esposizione a radiazioni ionizzanti, nessun diritto ad essi riconnesso potrebbe essere riconosciuto come conseguenza dell’errata costituzione del quale che sia la soluzione del tutto
Gruppo, destinata come tale a risultare -giuridica corretta rispetto alla composizione di esso -ininfluente;
7.
alla complessiva reiezione del ricorso per cassazione segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controparte, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 6.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro