Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9382 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9382 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9965/2018 R.G. proposto
da
NOME , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE), in persona del Direttore Generale pro tempore ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio
Oggetto: Indennità di rischio radiologico – Personale diverso da medici e tecnici di radiologia – Riconoscimento Presupposti
R.G.N. 9965/2018
Ud. 08/03/2024 CC
dell’avvocato COGNOME NOME , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello Bari n. 2477/2017 depositata il 14/11/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 08/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 2477/2017, depositata in data 14 novembre 2017, la Corte d’appello di Bari, decidendo nella regolare costituzione dell’appellata NOME, ha accolto il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Trani n. 3653/2013 del 14 novembre 2013, e per l’effetto ha respinto la domanda della lavoratrice avente ad oggetto la condanna dell’appellante alla corresponsione dell’indennità di rischio radiologico.
La Corte territoriale, richiamati sia la disciplina progressivamente dettata dal legislatore in materia sia gli orientamenti espressi da questa Corte, ha affermato la necessità di tenere distinta la posizione del personale di radiologia -per il quale l ‘indennità nella misura piena è da riconoscersi in virtù di una presunzione iuris et de iure di esposizione a rischio radiologico -dalla posizione del restante personale.
Ha quindi osservato che, in questo secondo caso, l’accertamento dell’esposizione a rischio deve essere comunque effettuata ‘attraverso una verifica di tipo oggettivo che, muovendo da una ricognizione della effettiva presenza in zona controllata, si concluda con l’accertamento della concreta possibilità di assorbimento annuale di dosi radioattive,
in misura tale da poter qualificare siffatto personale come esposto a rischio radiologico’ .
Secondo la decisione impugnata, pertanto, nel caso del personale nei cui confronti non opera la presunzione ex lege di sussistenza del rischio radiologico, non è sufficiente accertare solo la professionalità dell’esposizione e la permanenza in zona controllata, ma occorre ulteriormente verificare ai sensi dell’art. 54, d.P.R. n. 384/1990, che ‘per le particolari modalità dell’esposizione, per la tipologia degli strumenti di prevenzione e per l’intensità delle radiazioni, sussiste nei fatti un rischio da radiazioni, inteso quale superamento delle dosi normativamente stabilite’ , essendo quindi necessario verificare la sussistenza di un’apprezzabile entità di dose assorbita.
La Corte territoriale, poi, dopo avere concluso, sulla scorta di tali premesse, che l’indagine peritale svolta nel giudizio di primo grado non aveva fornito gli elementi necessari per tale valutazione, ha invece ritenuto di far proprie le conclusioni raggiunte dalla consulenza disposta in sede di gravame, escludendo, sulla base di quest’ultima, che fosse stata raggiunta la prova -gravante sull’appellata di una esposizione a rischio radiologico in misura continua e permanente.
La Corte d’appello, infine, ha disatteso l’eccezione di nullità della consulenza sollevata dall’appellata, rilevando che la stessa era riferita ad una mera attività di acquisizione documentale senza che peraltro l’appellata avesse dedotto di aver subito un o specifico pregiudizio dalle ulteriori attività segnalate come irregolari, peraltro da ritenersi ininfluenti sugli esiti della consulenza medesima.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari ricorre NOME.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
Le parti hanno depositato entrambe memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione, degli artt. 58, d.P.R. n. 270/1987; 1, Legge n. 460/1988; 54, d.P.R. n.384/1990; 5, CCNL Comparto Sanità II biennio economico 2000-2001.
Il ricorso contesta l’interpretazione seguita dalla Corte territoriale, in quanto quest’ultima avrebbe omesso di considerare che, ai fini del riconoscimento del beneficio chiesto, la disciplina di legge richiede unicamente lo svolgimento abituale dell’atti vità professionale in zona controllata, presupposto che sarebbe stato provato dalla lavoratrice.
Deduce il ricorso che l’indennità di rischio radiologico presuppone la sussistenza del rischio effettivo di un’esposizione non occasionale, né temporanea, analoga a quella del personale di radiologia, sicché il lavoratore che richieda detta indennità ha l’ onere di provare in giudizio l’esposizione qualificata in base ai criteri tecnici previsti dal d.lgs. n. 230 del 1995, ovvero lo svolgimento abituale dell’attività professionale in zona controllata o l’assorbimento annuo delle radiazioni che la stessa comp orta, sussistendo un’equiparazione tra lo svolgimento abituale dell’attività professionale in zona controllata e l’assorbimento annuo delle radiazioni che la stessa comporta, con la conseguenza che la dimostrazione di detto svolgimento abituale dell’attivi tà professionale in zona controllata sarebbe requisito sufficiente per l’attribuzione dell’indennità e ciò ‘in conformità alla considerazione che l’indennità di rischio radiologico è una indennità ambientale e la stessa è connessa
al fatto che il sanitario si trovi a lavorare, abitualmente, in un ambiente in cui vi sia il ‘rischio’ che possano essere superate le dosi massime assimilabili per il pubblico’ .
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ‘per non aver valutato le risultanze delle prove testimoniali escusse nel corso del giudizio di primo grado, per non aver valutato le risultanze della CTU di primo grado’ , dalle quali emergerebbe invece la fondatezza della domanda della lavoratrice.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, testualmente, la ‘violazione e falsa applicazione, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.360 n.3 e 4 c.p.c., dell’art. 345 c.p.c., per acquisizione di nuovi documenti da parte del CTU, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., anche in relazione all’art.24 Cost., dell’art.194 c.p.c., dell’art. 90 disp.att. cod.proc.civ., con riferimento all’attività espletata dal CTU, con conseguente nullità della CTU e della sentenza della Corte di Appello di Bari’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la consulenza tecnica sulla quale la Corte territoriale ha basato la propria decisione era affetta da nullità, in quanto il CTU:
fatta eccezione per il primo sopralluogo, avrebbe svolto altri quattro sopralluoghi alla presenza di una sola parte odierna controricorrente, procedendo all’esame di documenti in assenza della difesa della ricorrente;
avrebbe delegato a dipendenti della controricorrente l’onere di fotocopiare documentazione poi utilizzata per la consulenza.
La ricorrente deduce che, in tal modo, non solo la consulenza si sarebbe venuta a basare su documenti nuovi non presenti in atti m a avrebbe supplito l’onere probatorio gravante sulla controricorrente.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La decisione impugnata si è conformata al costante orientamento espresso da questa Corte in una nutrita serie di pronunce, nelle quali è stata affermata la necessità di operare una distinzione tra il personale medico e tecnico di radiologia – per il quale opera la presunzione assoluta di rischio ex art. 1, Legge n. 460/1988 -ed il restante personale, per il quale la spettanza dell’indennità presuppone la sussistenza di un rischio effettivo, e non soltanto ipotetico, di esposizione non occasionale, né temporanea, analoga all’esposizione del personale di radiologia (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4795 del 26/03/2012; Cass. Sez. L, Sentenza n. 19819 del 28/08/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 17116 del 24/08/2015; Cass. Sez. L – Sentenza n. 12432 del 21/05/2018), sussistenza il cui onere probatorio grava sul lavoratore che chieda l’indennità stessa (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 14836 del 07/06/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 17116 del 24/08/2015).
Si deve, del resto, rammentare che la Corte costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, secondo e terzo comma, Legge n. 460/1988, in riferimento agli art. 3, 32 e 97 Cost. (Corte cost. 20/07/1992, n. 343), ha rilevato che la presunzione assoluta di rischio prevista dalla legge nei confronti dei medici e tecnici di radiologia non è tale da escludere la presenza di altri lavoratori cui si può applicare la stessa disciplina in relazione alla loro esposizione al rischio radiologico in misura continua e permanente, puntualizzando che ‘(…) Si tratta di posizioni del tutto peculiari proprie di lavoratori che, pur non appartenendo al settore radiologico, possono
in via eccezionale usufruire della disciplina dettata a protezione dei medici e dei tecnici di radiologia, in ragione di una accertata esposizione ad un rischio non minore, per continuità ed intensità, di quello normalmente sostenuto dal personale di radio logia’ .
La censura specifica che la ricorrente muove alla Corte territoriale -e cioè il non aver quest’ultima valorizzato il profilo dello svolgimento abituale di attività lavorativa in ‘zona controllata’ da parte della ricorrente, in tal modo discostandosi dal precedente di questa Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 17116 del 24/08/2015 -appare in realtà infondata, in quanto omette di tenere conto del fatto che la Corte territoriale -in conformità al precedente invocato – ha escluso proprio la circostanza che la ri corrente ‘svolgesse abitualmente’ la propria attività in zona controllata, negando quindi in fatto il ricorrere della specifica circostanza su cui il motivo di ricorso si viene a basare.
Detto accertamento di fatto risulta congruamente motivato e, pertanto, non è sindacabile in sede di legittimità (cfr. la già citata Cass. Sez. L, Sentenza n. 17116 del 24/08/2015 nonché Cass. Sez. L, Sentenza n. 17757 del 07/08/2014; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4525 del 24/02/2011), e ciò a maggior ragione ove si consideri che il ricorso, pur invocando irregolarità nell’espletamento della CTU, ha tuttavia omesso di formulare alcuna censura concreta nei confronti dell’affermazione contenuta nella decisione impugnata -del mancato superamento di valori di soglia di cui al D. Lgs. n. 230/1995.
Il rigetto del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento dei due motivi ulteriori, non senza osservare che il secondo motivo si traduce in un inammissibile sindacato della valutazione delle prove riservata al giudice del merito, e che le censure formulate con il terzo motivo sono prive del carattere di decisività, alla luce della già rilevata
mancata specifica contestazione del superamento dei parametri di cui al D. Lgs. n. 230/1995.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 8 marzo 2024.