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Indennità rischio radiologico: la prova per il personale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9382/2024, ha chiarito i presupposti per il riconoscimento dell’indennità rischio radiologico al personale sanitario non appartenente ai reparti di radiologia. L’ordinanza stabilisce che non è sufficiente provare lo svolgimento abituale dell’attività in ‘zona controllata’, ma è necessario dimostrare un’esposizione al rischio effettiva, continua e non occasionale, analoga a quella dei tecnici di radiologia. La Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d’Appello, che aveva respinto la domanda di una lavoratrice in assenza di prove concrete sul superamento delle soglie di rischio, sottolineando che l’onere della prova grava interamente sul lavoratore.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità Rischio Radiologico: Non Basta la “Zona Controllata”

Il diritto all’indennità rischio radiologico per il personale sanitario che non opera specificamente nei reparti di radiologia è un tema complesso e dibattuto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, stabilendo che la semplice presenza in una “zona controllata” non è sufficiente per ottenere questo beneficio. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Una lavoratrice di un’azienda sanitaria locale, non impiegata come medico o tecnico di radiologia, ha richiesto il riconoscimento dell’indennità di rischio radiologico, sostenendo di essere esposta a radiazioni ionizzanti durante lo svolgimento delle sue mansioni.

In primo grado, il Tribunale le aveva dato ragione. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, accogliendo il ricorso dell’azienda sanitaria. Secondo i giudici di secondo grado, la lavoratrice non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare un’esposizione al rischio continua e di entità tale da giustificare l’indennità. La lavoratrice ha quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazione per contestare la sentenza d’appello.

Indennità Rischio Radiologico: La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della lavoratrice, confermando la linea interpretativa della Corte d’Appello. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: esiste una netta distinzione tra il personale medico e tecnico di radiologia e tutto il resto del personale sanitario.

Per i primi, la legge prevede una presunzione assoluta (iuris et de iure) di esposizione al rischio, che dà diritto automatico all’indennità. Per tutti gli altri lavoratori, invece, tale automatismo non sussiste. Essi devono provare in modo concreto e oggettivo di essere sottoposti a un rischio effettivo e non meramente ipotetico.

Le Motivazioni: La Distinzione Chiave e l’Onere della Prova

Il cuore della decisione risiede nella motivazione con cui la Corte ha spiegato la differenza tra le due categorie di lavoratori.

Per il personale non specializzato in radiologia, l’onere della prova di un’esposizione qualificata ricade interamente sul lavoratore. Non basta dimostrare di lavorare in una “zona controllata”, ovvero un’area classificata a rischio radiologico. È necessario andare oltre e provare, attraverso una verifica oggettiva, che sussistono le condizioni per un’esposizione non occasionale né temporanea, ma continua e di intensità paragonabile a quella del personale di radiologia.

Questo significa che il lavoratore deve dimostrare la “concreta possibilità di assorbimento annuale di dosi radioattive” superiori a determinate soglie normative. Nel caso specifico, la Corte d’Appello, basandosi su una consulenza tecnica, aveva concluso che tale prova non era stata raggiunta. La Cassazione ha ritenuto questa valutazione di fatto, essendo correttamente motivata, non sindacabile in sede di legittimità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso. Le implicazioni pratiche sono significative:
1. Onere probatorio aggravato: I lavoratori sanitari (infermieri, ausiliari, amministrativi, etc.) che richiedono l’indennità rischio radiologico devono essere pronti a fornire prove tecniche e documentali solide (come misurazioni dosimetriche personali) che attestino un’esposizione continua e significativa.
2. Ruolo delle aziende sanitarie: Le aziende sanitarie possono legittimamente negare l’indennità se il lavoratore non fornisce tale prova specifica, anche qualora operi in aree classificate come “zone controllate”.
3. Importanza della valutazione del rischio: La decisione sottolinea l’importanza di una corretta e puntuale valutazione del rischio radiologico per tutto il personale, al fine di identificare oggettivamente le posizioni che hanno diritto alla specifica indennità ambientale.

A un lavoratore della sanità, non medico o tecnico di radiologia, spetta automaticamente l’indennità di rischio radiologico se lavora in ‘zona controllata’?
No, non spetta automaticamente. La Corte di Cassazione ha chiarito che, a differenza del personale di radiologia che gode di una presunzione assoluta di rischio, gli altri lavoratori devono fornire la prova di un’esposizione effettiva, non occasionale e continua, tale da comportare un rischio analogo a quello del personale specializzato.

Su chi ricade l’onere di provare il diritto all’indennità per il personale non di radiologia?
L’onere della prova ricade interamente sul lavoratore che richiede l’indennità. Egli deve dimostrare non solo la presenza in zona controllata, ma anche la sussistenza di un rischio concreto e apprezzabile, come la concreta possibilità di assorbimento di dosi radioattive che superino le soglie normativamente stabilite.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove, come una consulenza tecnica (CTU), per decidere se un lavoratore era esposto a rischio?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare le prove nel merito. Il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, ovvero verifica la corretta applicazione della legge da parte dei giudici dei gradi precedenti. L’accertamento dei fatti, come la valutazione dell’effettiva esposizione al rischio basata su una CTU, è di competenza esclusiva del giudice di merito e non è sindacabile in sede di Cassazione se la motivazione è adeguata e priva di vizi logici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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