LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Indennità professionale: limiti e criteri di calcolo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5583/2024, ha respinto il ricorso di un ricercatore che richiedeva un’indennità di responsabilità professionale calcolata su base più favorevole rispetto a quanto previsto dalla legge. La Corte ha stabilito che i limiti massimi fissati da una norma primaria (nel caso specifico, il 15% dello stipendio tabellare iniziale) non possono essere derogati da fonti di livello inferiore come accordi decentrati o circolari interne, anche se queste prevedono un criterio di calcolo differente. La decisione ribadisce la gerarchia delle fonti nel pubblico impiego e i presupposti necessari per l’erogazione dei trattamenti economici accessori.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità di responsabilità professionale: la Cassazione fissa i paletti su calcolo e limiti

L’ordinanza n. 5583/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui criteri di quantificazione dell’indennità di responsabilità professionale nel pubblico impiego, in particolare nel settore della ricerca. La pronuncia stabilisce un principio cardine: i limiti massimi di un’indennità fissati da una fonte normativa primaria, come un Decreto del Presidente della Repubblica, non possono essere superati o modificati da fonti di rango inferiore, quali accordi sindacali decentrati o disposizioni interne dell’ente.

I fatti del caso

Un ricercatore di un noto Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale citava in giudizio il proprio datore di lavoro per ottenere il pagamento di due diverse indennità: l’indennità di struttura (prevista dall’art. 22 del D.P.R. 171/1991) e l’indennità di responsabilità professionale (ex art. 10 CCNL EPR 1994-1997).

Il Tribunale, in primo grado, accoglieva parzialmente la domanda, riconoscendo solo l’indennità professionale per un determinato periodo. La Corte d’Appello, riformando la decisione, limitava ulteriormente il periodo e l’importo dovuto, rigettando completamente la richiesta relativa all’indennità di struttura per mancanza di prova dei presupposti.

Il lavoratore ricorreva quindi in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato nel calcolo dell’indennità, non tenendo conto di accordi decentrati e disposizioni interne all’ente che, a suo dire, avrebbero modificato la base di calcolo dell’emolumento, passando dallo “stipendio tabellare iniziale” allo “stipendio in godimento”, con un conseguente aumento dell’importo.

La decisione della Corte di Cassazione e l’indennità professionale

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il ragionamento dei giudici si è concentrato sulla gerarchia delle fonti e sulla natura del trattamento economico richiesto.

Il rinvio normativo e i limiti inderogabili

La questione centrale ruotava attorno all’interpretazione del rapporto tra due norme. Il contratto collettivo (CCNL), nel prevedere l’indennità professionale, rinviava per la sua disciplina all’art. 22 del D.P.R. n. 171/1991, relativo all’indennità di struttura. Quest’ultima norma stabilisce chiaramente un limite massimo per l’indennità, fissato al 15% dello stipendio tabellare iniziale del livello di appartenenza.

La Cassazione ha chiarito che tale rinvio si estende non solo all’ambito di applicazione ma anche ai criteri di determinazione, incluso il limite massimo. Questo limite, essendo fissato da una norma di rango primario (DPR), non è derogabile da fonti subordinate.

Il ruolo della contrattazione decentrata e delle fonti inferiori

Il ricorrente basava la sua pretesa su accordi decentrati e disposizioni direttoriali che avrebbero disposto un calcolo più favorevole. La Corte ha smontato questa argomentazione, affermando che provvedimenti amministrativi e accordi di secondo livello non hanno la forza di modificare o disapplicare una previsione di legge. L’indennità di responsabilità professionale, in quanto trattamento accessorio, necessita di due condizioni per essere erogata: l’intervento della contrattazione collettiva integrativa decentrata e un correlato stanziamento economico. Sebbene queste condizioni si fossero verificate a partire dal 2005, l’entità del trattamento non poteva comunque superare il limite legale del 15% dello stipendio iniziale.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sul principio della gerarchia delle fonti del diritto. Nel pubblico impiego, la legge (o un atto avente forza di legge come un DPR) prevale sulla contrattazione collettiva, sia nazionale che, a maggior ragione, decentrata. Quest’ultima può operare solo negli spazi lasciati liberi dalla legge e nel rispetto dei vincoli da essa posti. Il limite del 15% dello stipendio tabellare iniziale è un vincolo di questo tipo, posto a tutela della finanza pubblica e non superabile da accordi locali.

I giudici hanno inoltre sottolineato che la tesi del ricorrente era priva di un passaggio logico vincolante: non è stato dimostrato perché una presunta scelta dell’amministrazione di liquidare un’altra indennità in modo difforme dalla legge (definita peraltro un lapsus calami dalla stessa difesa dell’ente) dovrebbe creare un obbligo a fare lo stesso per l’indennità richiesta. La corretta interpretazione, al contrario, impone di rispettare il limite normativo, la cui esistenza impedisce il sorgere di un diritto del lavoratore a un importo superiore.

Le conclusioni

L’ordinanza della Cassazione ribadisce un principio fondamentale per i lavoratori del pubblico impiego: i diritti derivanti da trattamenti economici accessori sono subordinati al rispetto dei limiti imposti dalle fonti normative primarie. Le pattuizioni della contrattazione decentrata sono valide ed efficaci solo se si muovono all’interno della cornice disegnata dalla legge, senza poterla scavalcare. Per i dipendenti, ciò significa che la quantificazione delle indennità deve sempre fare i conti con i tetti massimi legali, e non è possibile invocare accordi integrativi o prassi interne per ottenere importi superiori a quelli consentiti dalla normativa di riferimento.

Un accordo sindacale decentrato può modificare la base di calcolo di un’indennità se una legge stabilisce un criterio diverso?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che un accordo decentrato, essendo una fonte di rango inferiore, non può derogare ai limiti e ai criteri di calcolo stabiliti da una fonte normativa primaria (come un Decreto del Presidente della Repubblica). Il limite legale prevale sempre.

Quali sono i presupposti per ottenere il pagamento di un’indennità accessoria come quella di responsabilità professionale?
Secondo la Corte, sono necessari due presupposti: l’intervento della contrattazione collettiva integrativa decentrata, che disciplina l’erogazione, e il relativo stanziamento di fondi economici. In assenza di questi, non sorge il diritto del lavoratore a percepire l’indennità.

Perché la Corte ha negato al ricercatore l’indennità di struttura prevista dall’art. 22 del D.P.R. 171/1991?
La Corte d’Appello, la cui decisione è stata confermata in Cassazione, ha respinto la domanda perché il lavoratore non ha provato di possedere i requisiti richiesti dalla norma. In particolare, non ha dimostrato di avere la responsabilità di vertice di una struttura organizzativa autonoma, né la connessa ampia iniziativa nella gestione delle attività e del personale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati