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Indennità personale distaccato: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di due dipendenti pubblici che chiedevano un’indennità per l’uso prolungato del computer mentre erano in servizio presso un altro ente. L’Ente datore di lavoro si opponeva, ma la Corte ha dichiarato il suo ricorso inammissibile. La decisione conferma il diritto all’indennità personale distaccato, sottolineando che non si possono introdurre nuove questioni in Cassazione e che la valutazione delle prove spetta ai giudici di merito.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità Personale Distaccato: la Cassazione Conferma il Diritto dei Lavoratori

L’ordinanza in commento offre importanti chiarimenti sul diritto all’indennità personale distaccato per i dipendenti pubblici che prestano servizio presso un’altra amministrazione. La Corte di Cassazione, con una decisione netta, ha respinto il ricorso di un ente regionale, confermando il diritto di due lavoratrici a percepire le indennità di rischio e disagio per l’uso prolungato del computer. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa: La Richiesta delle Lavoratrici

Due dipendenti di un Ente Regionale, pur essendo assunte da quest’ultimo, prestavano servizio presso un Comune. In virtù delle loro mansioni, che le vedevano addette all’uso del computer per almeno quattro ore al giorno, avevano richiesto il riconoscimento dell’indennità di rischio e di disagio, come previsto dalla contrattazione decentrata del loro ente di appartenenza.

Sia il tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione alle lavoratrici. I giudici di merito avevano accertato l’illegittimità dell’esclusione del personale distaccato da tali benefici e avevano ritenuto provata la condizione pregiudizievole per la salute (l’utilizzo effettivo e prolungato del videoterminale) che dava diritto alle indennità.

La Decisione della Corte d’Appello e il Ricorso in Cassazione

La Corte d’Appello aveva confermato la sentenza di primo grado, ribadendo che le indennità erano dovute. Contro questa decisione, l’Ente Regionale ha proposto ricorso per Cassazione, basandolo su tre motivi principali:

1. Carenza di legittimazione passiva: L’Ente sosteneva di non essere il soggetto tenuto al pagamento, tentando di qualificare il rapporto come ‘comando’ anziché ‘distacco’.
2. Violazione dell’onere della prova: Secondo l’Ente, le lavoratrici non avevano sufficientemente dimostrato le giornate di effettivo svolgimento della prestazione in condizioni di rischio.
3. Errata applicazione del principio di non contestazione: L’Ente riteneva di aver contestato le prove prodotte, in particolare un attestato del Comune e il calcolo delle indennità.

L’Analisi della Cassazione sull’Indennità Personale Distaccato

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando uno per uno i motivi presentati dall’Ente ricorrente. La decisione si fonda su consolidati principi processuali.

Primo Motivo: La Questione della Legittimazione Passiva

La Corte ha ritenuto inammissibile il primo motivo perché la questione sulla differenza tra ‘distacco’ e ‘comando’, e le relative conseguenze sulla legittimazione passiva, non era mai stata sollevata nei precedenti gradi di giudizio. Introdurre una ‘questione nuova’ in sede di legittimità è vietato, in quanto la Cassazione non può compiere nuovi accertamenti di fatto. Inoltre, la Corte ha ribadito un principio importante: a prescindere dalla qualificazione del rapporto (comando o distacco), il lavoratore ha sempre il diritto di agire nei confronti del proprio Ente datore di lavoro per ottenere il trattamento economico previsto dal contratto di provenienza.

Secondo e Terzo Motivo: L’Onere della Prova e la Non Contestazione

Anche gli altri due motivi sono stati giudicati inammissibili. La Cassazione ha chiarito che le censure dell’Ente si risolvevano in una mera contestazione della valutazione delle prove fatta dai giudici di merito (come l’attestazione del Comune sull’uso del computer). Tale valutazione è di competenza esclusiva del giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità, se non per vizi logici che qui non sussistevano.

Inoltre, la Corte ha specificato che la sentenza d’appello non si basava sulla genericità della contestazione, ma sul fatto che i calcoli erano stati elaborati sulla base dei dati presenti nelle buste paga fornite dallo stesso Ente Regionale. Di conseguenza, il motivo di ricorso non si confrontava nemmeno con la reale motivazione della sentenza impugnata.

Le motivazioni

La decisione della Cassazione si fonda su principi procedurali solidi. In primo luogo, il divieto di ‘nova’ in sede di legittimità: non è possibile introdurre per la prima volta in Cassazione questioni che implichino accertamenti di fatto e che non siano state discusse nei precedenti gradi di giudizio. In secondo luogo, il perimetro del giudizio di legittimità: la Suprema Corte non è un terzo grado di merito e non può riesaminare la valutazione delle prove operata dai giudici dei gradi inferiori, a meno di gravi vizi di motivazione. Infine, viene riaffermato il diritto sostanziale del lavoratore in comando o distacco a vedersi riconosciuto il trattamento economico previsto dalla disciplina collettiva dell’ente di appartenenza, potendo agire direttamente contro quest’ultimo per far valere i propri diritti.

Le conclusioni

L’ordinanza consolida la tutela del personale in assegnazione temporanea presso altre amministrazioni. Il lavoratore distaccato o comandato non perde i diritti economici legati alle mansioni svolte, anche se queste vengono prestate altrove. L’Ente datore di lavoro rimane l’interlocutore principale per le rivendicazioni retributive e non può sottrarsi ai propri obblighi contestando in modo generico le prove o sollevando tardivamente questioni procedurali. Questa decisione rappresenta una garanzia importante per i dipendenti pubblici, assicurando uniformità di trattamento e la piena esigibilità dei diritti contrattuali.

Un dipendente pubblico in distacco o comando ha diritto alle indennità previste dal contratto del proprio ente di appartenenza?
Sì, la Corte ha affermato che il lavoratore, indipendentemente dalla configurazione del rapporto come comando o distacco, ha un diritto di azione nei confronti dell’Ente titolare del rapporto di impiego per il trattamento economico previsto dalla disciplina collettiva di provenienza.

In Cassazione si possono sollevare questioni non discusse nei precedenti gradi di giudizio?
No, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo relativo alla qualificazione del rapporto come ‘comando’ anziché ‘distacco’ perché si trattava di una ‘questione nuova’, sollevata per la prima volta in sede di legittimità, che avrebbe richiesto accertamenti di fatto non consentiti in tale sede.

La contestazione delle prove da parte del datore di lavoro è sufficiente a bloccare la richiesta del dipendente in Cassazione?
No, se la contestazione si risolve in una mera confutazione della valutazione delle risultanze istruttorie (come un’attestazione sull’orario di lavoro) già compiuta dal giudice di merito. La Cassazione non può riesaminare nel merito la valutazione delle prove, che è di competenza esclusiva dei giudici dei gradi inferiori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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