Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21694 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21694 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1829/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE PISA, rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOME
COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 502/2019 depositata il 5.11.2019, NRG 431/2018; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2/7/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME, tecnici dell’Università di Pisa in servizio assistenziale presso l’Azienda Ospedaliera, hanno agito chiedendo il riconoscimento del diritto all’indennità perequativa secondo il sistema di cui al d.p.r. 761 del 1979, sulla base di sentenza del T.A.R. del 2003 resa tra le parti e passata in giudicato ed insistendo per la conferma anche per il futuro di quanto a tale titolo percepito fino all’ottobre 2006;
2.
è intervenuta sul punto una prima pronuncia della Corte di Appello di Firenze, confermativa di quanto deciso dal Tribunale di Pisa, con la quale la domanda dei ricorrenti è stata accolta sul presupposto dell’ultrattività del giudicato, in quanto riguardante un rapporto di durata e dell’operatività della clausola di salvaguardia di cui all’art. 28, co. 6, del CCNL 2006-2009, nel contesto del reinquadramento disposto da quest’ultima contrattazione;
questa SRAGIONE_SOCIALE. ha tuttavia accolto il ricorso per cassazione proposto dall’Università cassando la sentenza di appello su due punti;
la S.C., pur confermando che la clausola di salvaguardia di cui all’art. 28, co. 6, del CCNL 2002 -2005 poteva valere al mantenimento dei trattamenti goduti prima del reinquadramento disposto da tale contratto collettivo, evidenziava tuttavia come l’ultrattività del giudicato fosse destinata a cedere a fronte di eventi sopravvenuti che incidessero sull’assetto del rapporto ;
essa riteneva quindi che dovesse essere valutato quale fosse l’effetto in proposito dispiegato dalle nuove tabelle di cui al sopravvenuto CCNL e dal regolamento contrattuale intercorso nel 2006, potendo in ipotesi ciò comportare il superamento del giudicato pregresso, il tutto peraltro in presenza della clausola di salvezza di cui all’art. 28, co. 6, cit. del CCNL di comparto;
3.
rinviata la causa alla Corte d’Appello di Firenze, quest’ultima ha confermato l’ accoglimento delle pretese azionate, riconoscendo il
diritto dei ricorrenti a percepire, dal dicembre 2006 in avanti, l’indennità di perequazione nella misura in cui essa era stata percepita fino al novembre di quello stesso anno;
la Corte territoriale, nello storico di lite, dava atto che i ricorrenti erano tecnici dipendenti dell’Università, ma in servizio presso l’Azienda Ospedaliera Pisana, già inquadrati nella settima qualifica funzionale, cui il T.A.R. aveva riconosciuto il diritto alla perequazione, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 761 del 1999 al personale inquadrato al IX livello in ambito di S.S.N. ed in effetti le retribuzioni erano state pagate tenendo conto di quella misura dell’indennità fino al novembre 2006;
in conseguenza dell’istituzione della nuova Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana (di seguito AOU) -proseguiva il giudice del rinvio – i ricorrenti erano stati inseriti negli organici di essa ed inquadrati nella fascia ottava, cui corrispondeva la posizione economica D del SSN, il che aveva però comportato una riduzione retributiva;
la Corte territoriale evidenziava quindi come la proposta dell’ottobre 2006 fosse stata formulata sul presupposto dell’impossibilità di impiegare la figura professionale dei ricorrenti nell’ambito della dirigenza, in cui era stato trasfuso il livello IX ed alla quale essi erano stati parificati per effetto della sentenza del T.A.R.;
pertanto , fermo lo svolgimento delle medesime mansioni, l’accordo negoziale, secondo la Corte del rinvio, era stato assunto sul consapevole richiamo all’art. 28 del CCNL 2005 ed aveva riguardato solo il nuovo inquadramento professionale;
a tale accordo, pertanto, avendo avuto ad oggetto solo elementi accessori del rapporto, non poteva attribuirsi effetto novativo ed era altresì da escludere che da esso, a fronte della clausola di salvaguardia di cui all’art. 28, co. 6, del CCNL, potesse trarsi l’esistenza di un accordo sul trattamento economico già conseguito,
tanto più necessario per il fatto che, nella prospettazione datoriale, l’effetto ultimo sarebbe stato quello di una riduzione della retribuzione, cui il lavoratore avrebbe dovuto fornire una adesione esplicita ed inequivocabile;
4.
l’Università di Pisa ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi, cui i lavoratori hanno opposto difese con controricorso;
sono in atti memorie di ambo le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.
il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1230, 1231, 1321 e 1372 c.c. e si incentra sul rilievo per cui la sentenza impugnata si sarebbe dilungata nell’apprezzamento di una portata novativa nell’accordo del 2006 -che comunque la ricorrente ribadiva – quando la S.C. non aveva richiesto ciò, limitando l’oggetto del rinvio alla verifica degli effetti dell’accordo intercorso sulle obbligazioni negoziali;
il motivo è inconferente, in quanto la Corte del rinvio al di là della qualificazione in termini non novativi del negozio in questione, ha esaminato lo stesso proprio sul piano economico che qui rileva per negare l’esistenza di un accordo o di una qualche clausola destinati a comportare la riduzione della retribuzione;
2.
il secondo motivo adduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1230, 1362 e 1363 c.c., nonché dell’art. 28 del CCNL e con esso si assume che l’interpretazione data dal giudice del rinvio rispetto all’accordo tra le parti si ponesse in contrasto con il significato letterale e l’intenzione delle parti e muovesse da un’inesatta ricognizione della disciplina collettiva;
ciò in quanto l’accettazione dell’inquadramento secondo la tabella di cui all’art. 28 era alternativa e non concorreva con l’inquadramento esistente sulla base dei pregressi criteri di perequazione di cui al D.M. 9.11.1982;
il motivo è inammissibile perché esso non coglie la ratio decidendi ; la Corte territoriale non ha per nulla negato l’alternatività esistente tra l’inquadramento di cui all’art. 28 e quello di cui al previgente D.M., ma ha lo anzi valorizzato, nel senso che oggetto dell’accordo è stato da essa ritenuto proprio la definizione del nuovo inquadramento, in difformità dal trattamento dirigenziale che avrebbe potuto comportare la pregressa perequazione;
la Corte d’Appello ha però ritenuto che, fermo il nuovo inquadramento, non si potesse riconoscere alcuna rinuncia al (solo) trattamento economico precedentemente riconosciuto, anche per effetto della clausola di salvaguardia di cui all’art. 28, co. 6, del CCNL, che è altra cosa;
in definitiva, la deduzione in questo senso di un errore interpretativo è mal posta, perché quell’alternatività tra gli inquadramenti non è stata negata dalla Corte del rinvio, che però l’ha ritenuta non decisiva coerentemente con l’assetto giuridico generale della fattispecie, su cui si tornerà – sotto il profilo dei trattamenti economici della fase transitoria di passaggio dall’uno all’altro sistema;
3.
il terzo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1230, 1362 e 1363 c.c., nonché dell’art. 28 del CCNL e sostiene che la Corte del rinvio avrebbe omesso una lettura complessiva delle clausole che componevano l’accordo ed in particolare della terza, relativa all’inquadramento economico ed al raccordo con l’art. 28;
nel motivo si sostiene, sul presupposto che l’accordo costituisse una effettiva novazione anche per l’intervenire di un soggetto ,
ovverosia la nuova AUO, dapprima non esistente -che l’accettazione dei diritti ed obblighi conseguenti al nuovo inquadramento e derivanti dall’art. 28 del CCNL, di cui a ll’accordo, portava a riferire quest’ultimo all’ an ed al quantum della nuova obbligazione indennitaria;
il motivo è anch’esso inammissibile;
va intanto osservato come costituisce presupposto logico della stessa pronuncia rescindente di questa S.C. quello per cui esisteva un giudicato, munito di effetti verso le parti in causa, secondo cui il diritto alla perequazione aveva a base quanto stabilito dal T.A.R. nel 2003;
non vi era altrimenti alcuna ragione per argomentare sulla cessazione degli effetti del giudicato quale conseguenza dell’introduzione del nuovo sistema di cui all’art. 28 del CCNL del 2002-2005, come anche sugli effetti potenzialmente impeditivi, rispetto all’ultrattività di quel giudicato, derivanti dall’accordo del 2006;
così come non può più esservi discussione -stante la reiezione del corrispondente motivo del primo ricorso per cassazione -sul fatto che l’art. 28, co. 6 contenesse la salvaguardia delle posizioni economiche comunque conseguite prima dell’introduzione del nuovo sistema di perequazione;
su tale base logica, è chiaro che a giustificare l’accordo bastava la regolazione pattizia del nuovo inquadramento, a fronte della difficoltà -palesata nello storico di lite della sentenza qui impugnata – di mantenere un rango dirigenziale a posizioni che non potevano essere tali nell’organigramma della nuova AUO;
l’affermazione che l’accordo dovesse quindi necessariamente regolare anche gli effetti retributivi, in senso immediatamente riduttivo per i lavoratori, esprime -nel quadro così complessivamente ricostruito -un diverso convincimento del significato di merito del negozio, secondo un’impostazione che è
impropria rispetto al giudizio di cassazione (Cass. 3 luglio 2024, n. 18214; Cass. 15 novembre 2017, n. 27136);
4.
quanto appena detto consente di ritenere inammissibile anche il quarto motivo, con cui si denuncia la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., oltre che ancora dell’art. 28 del CCNL, sul presupposto che l’essersi accertata l’equivalenza economica impostata con quell’accordo comportasse di conseguenza l’accettazione anche del corrispondente trattamento, senza spazi per il mantenimento di altri diritti;
la Corte del rinvio ha ritenuto diversamente, ponendo in relazione i diritti pregressi con il disposto dell’art. 28, co. 6 ed evidenziando la mancanza di tracce in ordine ad un accordo dismissivo di parte della retribuzione fino ad allora percepita;
ancora una volta si tratta di diverse ricostruzioni del significato di quell’accordo e dunque del merito, sviluppata dalla Corte territoriale in modo non implausibile attraverso la valorizzazione di un ben preciso passaggio della contrattazione collettiva -quel comma 6 -e che non possono essere ritualmente aggredite, in sede di legittimità, adducendo una violazione di legge che non vi è in quanto tale;
5.
sulla medesima linea è inammissibile anche il quinto motivo, perché esso parimenti traduce in violazione di legge -in relazione all’art. 1230 , 1362 e 1363 c.c. – quello che è soltanto un diverso modo di intendere quell’accordo, ovverosia l’avere il giudice ritenuto che esso non si estendesse fino a comportare la rinuncia a quella parte di retribuzione;
è infatti evidente che, se anche si dovesse giungere, come propugna il motivo, ad una qualificazione in termini novativi, ciò non esclude per nulla che l’effetto non si estenda alla dismissione della perequazione retributiva per come maturata fino ad allora e
ciò è quanto ritenuto, con effetto comunque assorbente di ogni altra questione, dalla Corte del rinvio nel proprio -si è già detto non implausibile -giudizio di merito sul senso di quell’accordo; 6.
secondo il sesto motivo vi sarebbe stata invece violazione degli artt. 1367 e 1369 c.c. perché l’accordo, inteso nei termini di cui alla sentenza qui impugnata sarebbero privo di ricaduta alcuna;
il motivo è infondato;
è in proposito evidente che la definizione del nuovo inquadramento, a fronte delle già menzionate difficoltà sorte rispetto alla posizione dei ricorrenti, al sopravvenire di un nuovo soggetto e di nuove regole, giustifica ampiamente che l’accordo riguardasse solo la definizione di quell’inquadramento, di lì in poi;
6.1
va qui poi chiarito un punto, rimasto in ombra negli atti di causa, ma palese nella giurisprudenza di questa S.C.;
in effetti, come si è già detto e come ha detto anche la SRAGIONE_SOCIALE. nella sentenza rescindente, l’effetto dell’art. 28, co. 6, del CCNL è quello di mantenere in capo al lavoratore il trattamento esistente prima del passaggio al nuovo sistema di inquadramento del CCNL 20022005, evitando conseguenze riduttive sulla retribuzione;
ciò attraverso il mantenimento ad personam nonostante il minore livello retributivo che sarebbe derivato dalle nuove tabelle, del pregresso trattamento economico;
mantenimento destinato ad operare -come riconoscono in memoria gli stessi controricorrenti – attraverso un differenziale riassorbibile e destinato quindi a cessare, mano a mano che il trattamento dovuto secondo il nuovo inquadramento si incrementi e colmi quella divergenza;
il tema è stato in questi termini riepilogato da Cass. 23 giugno 2025 n. 16819, con richiamo anche agli altri precedenti in materia;
citando testualmente da quest’ultima pronuncia, va anche qui affermato che « come ritenuto da Cass. 19 marzo 2018, n. 6794 … «il richiamato art. 28, dopo avere previsto una nuova tabella delle corrispondenze fra il personale dipendente dalle Università e quello in servizio presso le Aziende sanitarie, stabilisce, al comma 6, che «sono fatte salve…, le posizioni giuridiche ed economiche, comunque conseguite, del personale già in servizio nelle A.O.U. alla data di entrata in vigore del presente CCNL» ed al comma 7 aggiunge che « i benefici economici derivanti dall’applicazione dell’art. 51, comma 4, ultimo capoverso del CCNL 9.8.2000 e art. 5, comma 3, del CCNL 13.5.2003, sono conservati ad personam, salvo eventuale successivo riassorbimento»;
l’equiparazione, infatti, «non è stata posta nel nulla dall’adozione delle nuove corrispondenze …, perché la disposizione contrattuale è chiara nel prevedere la conservazione dei diritti già acquisiti e nello stabilire che le posizioni economiche maturate, se più favorevoli rispetto a quelle previste dalla nuova tabella, vengono garantite attraverso l’erogazione di un assegno ad personam riassorbibile nei futuri miglioramenti contrattuali»;
analogo principio è stato sancito da Cass. 10 luglio 2024, n. 18962, secondo cui «in tema di equiparazione tra le qualifiche del personale universitario non medico e quelle dei dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale, le nuove tabelle di corrispondenza previste dall’art. 28 del c.c.n.l. del comparto universitario relativo al quadriennio 2002-2005 non si applicano, per effetto della clausola di salvaguardia di cui al comma 6 della medesima disposizione contrattuale, al personale già in servizio alla data di entrata in vigore del predetto c.c.n.l., con conseguente diritto alla conservazione delle posizioni giuridiche ed economiche secondo le perequazioni in essere, ivi compresa l’indennità perequativa (“Indennità De Maria”) ex art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 »;
in ragione di ciò, è erroneo il diniego già in astratto del diritto all’emolumento perequativo rivendicato, atteso che alla data di entrata in vigore del CCNL 27.1.2005 il rapporto di impiego con il ricorrente era da tempo costituito e quindi quel diritto, al contrario, astrattamente spettava, salvo riassorbimento »;
qui è sufficiente soltanto aggiungere che, sebbene il comma 6 non faccia espresso riferimento al riassorbimento del migliore trattamento pregresso, tale è la regola generale -a meno di esplicita affermazione normativa sulla non riassorbibilità – che deve ritenersi sussistere rispetto agli assegni ad personam attribuiti al fine di rispettare il divieto di reformatio in peius del trattamento economico acquisito (v. in tema di mobilità, Cass. 31 luglio 2017, n. 19039 e i molteplici precedenti conformi ivi citati);
ciò sul presupposto che, altrimenti, si creerebbero le basi per assicurare definitività ad un trattamento differenziato destinato a creare discriminazioni (v. per il ragionamento in tal senso, Cass. 7 marzo 1998, n. 2575, sempre in tema di mobilità) ed a porsi in contrasto con il principio generale di parità cui (ora) all’art. 45 del d. lgs. n. 165 del 2001;
è dunque in questa cornice giuridica di fondo che va inserita l’interpretazione data dalla Corte del rinvio a quell’accordo ed è palese che, in tale prospettiva, si qualifica il senso della ivi ritenuta mancata rinuncia dei lavoratori a quei diritti, come anche l’effetto limitativo di una espansione sine die di essi, attraverso la definizione pattizia di un inquadramento destinato nel tempo ad assorbire gli effetti di quei trattamenti superiori fino a quel momento praticati;
il che costituisce la sintesi della risposta al duplice tema sottoposto dalla sentenza rescindente al giudice del rinvio, ovverosia gli effetti sull’assetto preesistente del nuovo sistema di cui all’art. 28 e dell’accordo negoziale intercorso;
7.
l’ultimo motivo di ricorso adduce infine la violazione degli artt. da 1362 a 1371 c.c., sul presupposto che la Corte territoriale non avrebbe rispettato « alcuno dei criteri dell’ermeneutica negoziale »; si è già detto che ciò non è e comunque la manifesta genericità della deduzione rende la censura palesemente inammissibile; 8. al rigetto del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del grado;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 4.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 2.7.2025.