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Indennità perequativa: CCNL protegge lo stipendio

Una università ha contestato il diritto di due suoi dipendenti a mantenere una indennità perequativa a seguito di un nuovo inquadramento contrattuale. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che la clausola di salvaguardia presente nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) protegge i diritti economici già acquisiti dai lavoratori. La Corte ha chiarito che, anche in presenza di un nuovo accordo sull’inquadramento, l’indennità non viene meno ma si trasforma in un assegno personale riassorbibile, garantendo così la stabilità retributiva.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità perequativa: la clausola di salvaguardia del CCNL protegge lo stipendio

Introduzione: Il Contesto del Caso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, è intervenuta su una questione cruciale nel diritto del lavoro pubblico: la tutela dei diritti economici acquisiti dai lavoratori in caso di modifiche contrattuali e riorganizzazioni aziendali. Il caso riguarda due tecnici universitari, in servizio presso un’azienda ospedaliera, che si sono visti minacciare la continuità di una indennità perequativa ottenuta anni prima tramite una sentenza passata in giudicato. Con l’istituzione di una nuova Azienda Ospedaliero Universitaria e un successivo accordo di reinquadramento, il datore di lavoro sosteneva che tale indennità non fosse più dovuta. La vicenda mette in luce il conflitto tra la necessità di applicare nuove tabelle retributive e il principio di protezione dei diritti maturati.

La Clausola di Salvaguardia e l’Indennità Perequativa

Il fulcro della decisione ruota attorno all’articolo 28, comma 6, del CCNL di comparto. Questa norma, definita “clausola di salvaguardia”, stabilisce che, nel passaggio al nuovo sistema di inquadramento, “sono fatte salve… le posizioni giuridiche ed economiche, comunque conseguite, del personale già in servizio”. L’obiettivo di tale clausola è evidente: evitare che le riorganizzazioni e le riforme contrattuali si traducano in un peggioramento economico per i dipendenti.

La Corte chiarisce che questa tutela si applica pienamente all’indennità perequativa in questione. Sebbene un nuovo accordo avesse definito un differente inquadramento professionale per i lavoratori, ciò non implicava una rinuncia automatica al trattamento economico più favorevole precedentemente goduto. La salvaguardia opera per mantenere intatto il livello retributivo, anche se la nuova posizione prevedrebbe, a parità di condizioni, uno stipendio inferiore.

Come opera la tutela?

La Corte spiega il meccanismo tecnico attraverso cui si realizza questa protezione: il mantenimento del trattamento economico avviene tramite il riconoscimento di un “assegno ad personam riassorbibile”. Questo strumento garantisce al lavoratore una somma pari alla differenza tra la vecchia e la nuova retribuzione. Tale assegno è destinato a ridursi progressivamente, venendo “assorbito” dai futuri aumenti contrattuali, fino al suo completo azzeramento. In questo modo, si concilia la salvaguardia del reddito del singolo lavoratore con l’esigenza di allineare nel tempo il suo trattamento a quello previsto dalle nuove tabelle per tutti gli altri dipendenti.

L’Interpretazione dell’Accordo del 2006

L’università ricorrente sosteneva che l’accordo del 2006, con cui i lavoratori accettavano il nuovo inquadramento, avesse un effetto novativo, ovvero estinguesse il rapporto precedente e con esso tutti i diritti collegati, inclusa l’indennità. La Cassazione, tuttavia, respinge questa tesi. Sulla scia di quanto già deciso dalla Corte d’Appello, afferma che l’accordo riguardava esclusivamente la definizione del nuovo ruolo professionale, resasi necessaria a fronte della riorganizzazione aziendale.

In assenza di una chiara ed esplicita rinuncia da parte dei lavoratori al loro diritto economico, non è possibile presumere che l’accettazione del nuovo inquadramento comportasse anche la dismissione di una parte così rilevante della loro retribuzione. La Corte sottolinea che una rinuncia a un diritto deve essere inequivocabile e non può essere dedotta implicitamente da un accordo che regola altri aspetti del rapporto di lavoro.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte fonda la sua decisione sul rigetto dei motivi di ricorso presentati dall’università, ritenendoli inammissibili o infondati. Il ragionamento dei giudici si articola su alcuni punti chiave. Innanzitutto, l’interpretazione del contratto e degli accordi tra le parti è un’attività di merito che, se logicamente motivata come nel caso della Corte d’Appello, non può essere messa in discussione in sede di legittimità. La Corte del rinvio ha correttamente valorizzato l’assenza di qualsiasi traccia di un accordo dismissivo della retribuzione, concentrandosi sull’oggetto specifico dell’intesa del 2006, ovvero il solo inquadramento professionale.

In secondo luogo, la Cassazione ribadisce la centralità della clausola di salvaguardia del CCNL. Questa norma rappresenta il quadro giuridico entro cui ogni accordo successivo deve essere interpretato. L’esistenza di tale clausola rendeva superfluo un accordo specifico sulla parte economica, poiché la tutela era già garantita a livello di contrattazione collettiva. La funzione dell’accordo del 2006 era quindi quella di regolare il nuovo assetto organizzativo, non di rinegoziare diritti economici già consolidati e protetti.

Infine, la Corte inquadra la tutela economica nella regola generale del mantenimento del trattamento acquisito tramite un assegno ad personam riassorbibile, citando numerosi precedenti conformi. Questo approccio evita disparità di trattamento e garantisce il rispetto del principio di irriducibilità della retribuzione durante la transizione tra diversi regimi contrattuali.

Conclusioni

La pronuncia ha importanti implicazioni pratiche per il pubblico impiego. Essa rafforza il principio secondo cui i diritti economici acquisiti dai lavoratori godono di una forte protezione, specialmente quando sono previste clausole di salvaguardia nei contratti collettivi. Un nuovo inquadramento o una riorganizzazione aziendale non possono, di per sé, comportare una riduzione dello stipendio. Qualsiasi rinuncia a un diritto retributivo deve essere espressa in modo chiaro e inequivocabile e non può essere presunta. La sentenza conferma che lo strumento dell’assegno ad personam riassorbibile è il meccanismo standard per bilanciare la tutela dei diritti acquisiti con le esigenze di omogeneizzazione dei trattamenti economici nel lungo periodo.

Un nuovo accordo sull’inquadramento professionale annulla automaticamente un’indennità economica precedentemente riconosciuta da un giudice?
No. Secondo la Corte, un accordo sul nuovo inquadramento non comporta automaticamente la rinuncia a un trattamento economico acquisito, specialmente se il contratto collettivo (CCNL) contiene una clausola di salvaguardia che protegge tali diritti.

Cosa significa “clausola di salvaguardia” in un CCNL nel contesto di una riorganizzazione?
È una disposizione che garantisce al lavoratore il mantenimento delle posizioni giuridiche ed economiche già conseguite prima del cambiamento. In questo caso, ha permesso di conservare l’indennità perequativa, evitando una riduzione dello stipendio a seguito del nuovo inquadramento.

Come viene protetto lo stipendio se il nuovo inquadramento prevede una retribuzione inferiore?
La protezione avviene generalmente attraverso il riconoscimento di un “assegno ad personam riassorbibile”. Si tratta di un importo aggiuntivo che copre la differenza retributiva, destinato a diminuire e ad essere assorbito dai futuri aumenti contrattuali, fino a quando il nuovo stipendio non raggiunge il livello precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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