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Indennità fine lavoro dottorandi: la Cassazione nega

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’indennità di fine lavoro, prevista per i collaboratori coordinati e continuativi, non spetta ai dottorandi di ricerca. L’attività di dottorato è regolata da una normativa speciale e non può essere assimilata a un rapporto di collaborazione a progetto, nonostante l’iscrizione alla Gestione Separata dell’ente previdenziale. La Corte ha quindi annullato la decisione di merito che aveva concesso il beneficio.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità Fine Lavoro Dottorandi: La Cassazione Esclude il Diritto

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto cruciale per il mondo accademico e del lavoro atipico, negando l’accesso all’indennità fine lavoro dottorandi. Questa prestazione, introdotta in via sperimentale per i collaboratori coordinati e continuativi, non può essere estesa ai percettori di borse di studio per dottorato di ricerca. La decisione ribalta un precedente orientamento di merito e traccia una netta linea di demarcazione tra le due figure professionali.

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale alla Corte d’Appello

Il caso nasce dalla richiesta di un dottorando di ricerca di ottenere dall’ente previdenziale l’indennità una tantum di fine lavoro. Inizialmente, il Tribunale aveva respinto la domanda, sostenendo che il beneficio fosse riservato esclusivamente ai collaboratori a progetto, come definiti dalla normativa specifica, categoria nella quale non rientra l’attività di dottorato.

Successivamente, la Corte d’Appello aveva riformato la decisione, accogliendo le ragioni del ricercatore. Secondo i giudici di secondo grado, l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata per i dottorandi doveva necessariamente comportare l’accesso alle tutele previdenziali correlate. La Corte territoriale aveva quindi assimilato l’attività di dottorato a una forma di collaborazione coordinata e continuativa, condannando l’ente previdenziale al pagamento di 4.000 euro.

Le Ragioni della Cassazione sull’Indennità Fine Lavoro Dottorandi

L’ente previdenziale ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha accolto il ricorso, annullando la decisione e rigettando definitivamente la domanda del dottorando. La Suprema Corte ha basato la sua decisione su un’analisi rigorosa delle normative di riferimento.

Dottorato vs. Collaborazione a Progetto: Due Mondi Distinti

Il punto centrale della motivazione risiede nella netta distinzione tra l’attività di dottorato di ricerca e i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto. La legge che ha introdotto l’indennità la circoscrive in modo inequivocabile a questi ultimi, definiti dall’art. 61 del D.Lgs. 276/2003.

Il dottorato, invece, è disciplinato da una normativa speciale (legge n. 210 del 1998) e persegue finalità prettamente formative e di ricerca accademica. Non si configura come un’attività stricto sensu riconducibile a uno specifico progetto gestito in coordinamento con un committente, come richiesto per le collaborazioni che beneficiano dell’indennità.

L’Iscrizione alla Gestione Separata Non Basta

La Corte di Cassazione ha smontato l’argomento principale della Corte d’Appello, chiarendo che la mera iscrizione alla Gestione Separata non è una condizione sufficiente per ottenere la prestazione. Al contrario, è il tipo di rapporto di lavoro (in questo caso, una collaborazione coordinata e continuativa) a costituire il presupposto primario che fa sorgere sia l’obbligo di iscrizione sia, di conseguenza, il diritto a determinate tutele. L’iscrizione da sola non può estendere i benefici oltre i confini tracciati dal legislatore.

L’Argomento della Normativa Successiva (DIS-COLL)

Un elemento decisivo nell’analisi della Corte è stato il riferimento a una legge successiva (legge n. 81 del 2017), che ha esteso esplicitamente l’indennità di disoccupazione (DIS-COLL) anche a dottorandi e assegnisti di ricerca. Secondo la Cassazione, il carattere innovativo di questa norma conferma che, in precedenza, tali figure non erano incluse nelle tutele previste per i collaboratori. Questo intervento legislativo specifico dimostra che il legislatore considerava i dottorandi una categoria a parte, che richiedeva una previsione ad hoc per accedere a simili prestazioni.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha fondato la sua decisione sul principio di stretta interpretazione della legge. La norma istitutiva dell’indennità di fine lavoro individua in modo selettivo e preciso i suoi destinatari nei soli collaboratori coordinati e continuativi a progetto. L’attività di dottorato, per sua natura e finalità, non rientra in questa categoria. La finalità del dottorato è la formazione avanzata e la ricerca, non la prestazione di un servizio coordinato per un committente. L’assimilazione tra le due figure operata dalla Corte d’Appello è stata ritenuta un errore di diritto, in quanto non supportata da alcun indice normativo o interpretativo persuasivo. La successiva introduzione della DIS-COLL per i dottorandi ha ulteriormente rafforzato questa interpretazione, agendo come una conferma a posteriori della distinzione tra le categorie.

Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di diritto chiaro: l’indennità di fine lavoro non spetta ai partecipanti a un dottorato di ricerca universitario. Questa decisione sottolinea l’importanza della specifica qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro per l’accesso alle tutele previdenziali. Per i dottorandi, le tutele contro la perdita involontaria del lavoro sono state introdotte solo successivamente e attraverso strumenti normativi specifici, come la DIS-COLL, e non possono essere rivendicate per analogia con altre figure contrattuali.

Un dottorando di ricerca ha diritto all’indennità di fine lavoro prevista per i collaboratori?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che questa indennità, disciplinata dalla legge n. 191 del 2009, non spetta ai partecipanti a un dottorato di ricerca, poiché è riservata specificamente ai collaboratori coordinati e continuativi a progetto.

L’iscrizione alla Gestione Separata garantisce automaticamente l’accesso a tutte le prestazioni previste per gli iscritti?
No. Secondo la sentenza, l’iscrizione alla Gestione Separata è una conseguenza del tipo di rapporto di lavoro, ma non è di per sé sufficiente a garantire l’accesso a tutte le prestazioni. Il presupposto fondamentale per ottenere un beneficio è rientrare nella specifica categoria di lavoratori a cui la legge lo destina.

Perché l’attività di dottorato non è considerata una collaborazione coordinata e continuativa?
L’attività di dottorato è regolata da una normativa speciale e ha come finalità principale la formazione accademica e la ricerca di alta qualificazione. Non è assimilabile a una collaborazione a progetto, che implica l’esecuzione di uno specifico programma o fasi di esso, determinato da un committente e gestito autonomamente dal collaboratore in funzione di un risultato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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