Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9877 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9877 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/04/2024
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE ha respinto la domanda di NOME COGNOME, Direttore facente funzioni della RAGIONE_SOCIALE, volta ad ottenere il pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute (171 giorni, per un importo lordo di € 43.397, 11)
La Corte di Appello di L’RAGIONE_SOCIALE, in accoglimento dell’appello principale proposto RAGIONE_SOCIALE ha riformato tale sentenza ed ha respinto l’appello incidentale proposto dal COGNOME, condannandolo al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
La Corte territoriale ha osservato che secondo l’interpretazione dell’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95/2012, fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 95/2016, è possibile la monetizzazione delle ferie residuate alla cessazione dell’attività lavorativa, qualora il loro mancato godimento sia dipeso da causa non imputabile al lavoratore.
Ciò premesso, ha escluso che le problematiche afferenti alla carenza di personale (rappresentate dal COGNOME alla direzione aziendale, come dimostrato attraverso la documentazione prodotta e la prova testimoniale esperita) costituiscano necessità aziendali eccezionali ostative alla fruizione delle ferie; ha in particolare rilevato che non avevano impedito al personale del reparto di fruire delle ferie, atteso che il COGNOME aveva autonomamente ridotto i posti letto.
Ha inoltre evidenziato che il COGNOME non aveva esplicitato le ragioni per le quali una simile soluzione non potesse valere anche per lui, essendo contrattualmente prevista, nei periodi di sua assenza, la sostituzione del dirigente responsabile con altro dirigente da lui designato.
In considerazione della turnazione disposta dal responsabile anche per le ferie (turnazione nella quale il responsabile può essere inserito senza particolare danno per il reparto che dirige), ha escluso che la posizione apicale del COGNOME costituisse un impedimento al godimento delle ferie.
Ha ritenuto che la mancata domanda di fruizione delle ferie non possa costituire espressione della volontà di non voler usufruire delle ferie ed ha evidenziato che nelle sue istanze (aventi ad oggetto l’incremento del personale), il COGNOME non aveva nemmeno adombrato che tale carenza gli rendesse impossibile la fruizione delle ferie annuali.
Il giudice di appello ha dunque escluso la prova dell’assoluta impossibilità di godere delle ferie da parte del COGNOME, in quanto egli poteva adottare in piena autonomia soluzioni che contemperassero l’esigenza di mantenere i livelli essenziali di assistenza e di garantire il recupero delle energie psicofisiche del personale; ha aggiunto che quando il COGNOME era stato posto in congedo obbligatorio il reparto da lui diretto era rimasto operativo e che poteva programmare il godimento di tutte le ferie residue prima della cessazione del rapporto di lavoro, in quanto era andato in pensionamento volontario.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, assistito da memoria.
La RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
DIRITTO
Con l’unico motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost. nonché degli artt. 112, 113, 115 e 116 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 2109 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3. cod. proc. civ.
Richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 95/2016, evidenziando che il lavoratore ha diritto alla monetizzazione delle ferie qualora il mancato godimento delle medesime non sia a lui imputabile, e lamenta l’erronea ricognizione, da parte della Corte territoriale, della fattispecie astratta contenta nell’art. 21 del CCNL del Comparto Sanità 1994 -1997.
Sottolinea la peculiarità dell’attività sanitaria, in quanto i medici non possono interrompere un intervento rinviandolo ad altra data; rimarca inoltre il ruolo centrale del Dirigente dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Complessa, a cui fanno capo responsabilità civili e penali.
Evidenzia il carattere pacifico delle seguenti circostanze: a) il COGNOME è stato nominato dirigente facente funzioni per due lustri senza che la RAGIONE_SOCIALE ne avesse formalizzato il ruolo; b) l’RAGIONE_SOCIALE era sotto organico di cinque unità su nove; c) la RAGIONE_SOCIALE aveva tentato di sopperire a tale criticità mediante la stipula di contratti a termine della durata di un mese rinnovati, su sollecitazione del COGNOME, qualche giorno prima della scadenza.
Sostiene che la carenza di organico si desume dalle risultanze della prova documentale e testimoniale e lamenta che la Corte territoriale ha escluso che l’assenza di cinque dirigenti su nove abbia comportato problemi per l’RAGIONE_SOCIALE diretta dal ricorrente, senza considerare la condotta della RAGIONE_SOCIALE, inadempiente ai propri obblighi per oltre un decennio.
Il ricorso è fondato, dovendosi fare applicazione dei principi espressi in fattispecie sostanzialmente sovrapponibili da questa Corte (Cass. 6.6.2022, n. 18140; Cass. 27.11.2023, n. 32830), principi che vengono richiamati in questa sede anche ex art. 118 att. cod. proc. civ.
Si è in particolare affermato che il dirigente il quale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non abbia fruito delle ferie, ha diritto a un’indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto in questione prima di tale cessazione, mediante un’adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo (Cass. n. 13613/2020).
Sul tema dispiega decisiva influenza la normativa eurounitaria in particolare, secondo la Grande Sezione della Corte di Giustizia UE 6 novembre 2018, MaxPlanck «l’articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fo ndamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in applic azione della quale, se il lavoratore
non ha chiesto, prima della data di cessazione del rapporto di lavoro, di poter esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite, detto lavoratore perde, al termine di tale periodo -automaticamente e senza previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro, segnatamente con un’informazione adeguata da parte di quest’ultimo, in condizione di esercitare questo diritto- i giorni di ferie annuali retribuite cui aveva diritto ai sensi del diritto dell’Unione alla data di tale cessazione e, correlativamente, il proprio diritto a un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite e non godute» . D ‘altra parte, la suindicata direttiva estende i propri effetti in tema di ferie anche ai dirigenti (v. art. 17 Direttiva 2003/88/CE, che, nel consentire agli Stati membri un diverso trattamento rispetto ai diritti dei dirigenti, esclude dalle norme derogabili l’art. 7, riguardante ap punto le ferie) e deve dunque definirsi come operino, rispetto ad essi, i principi fissati in sede eurounitaria, essendosi espressamente affermato, nel contesto della pronuncia citata, la necessità che il giudice nazionale operi «prendendo in considerazione il diritto interno nel suo complesso e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti d a quest’ultimo», onde «pervenire a un’interpretazione di tale diritto che sia in grado di garantire la piena effettività del diritto dell’Unione» .
La Corte di Giustizia individua nel proprio ragionamento tre cardini del giudizio di diritto demandato al giudice nazionale, al fine di assicurare che il lavoratore sia stato messo effettivamente nelle condizioni di esercitare il proprio diritto alle ferie, consistenti:
a) nella necessità che il lavoratore sia invitato «se necessario formalmente» a fruire delle ferie e «nel contempo informandolo -in modo accurato e in tempo utile che se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento» (punto 45);
nella necessità di «evitare una situazione in cui l’onere di assicurarsi dell’esercizio effettivo del diritto alle ferie annuali retribuite sia interamente posto a carico del lavoratore» (punto 43);
c) infine, sul piano processuale, nel prevedere che «l”onere della prova, in proposito, incombe al datore di lavoro , sicché la perdita del diritto del lavoratore non può aversi ove il datore «non sia in grado di dimostrare di aver
esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto».
Può essere che, rispetto ad un dirigente, per la normale posizione di minor debolezza e maggiore conoscenza dei dati giuridici, le predette condizioni possano trovare in concreto applicazioni di minor rigore, sotto il profilo dell’intensità informativa o d el grado di diligenza richiesta al datore di lavoro, ma certamente essi permangono a governare l’istituto dell’attribuzione, perdita o monetizzazione delle ferie.
In proposito, la Corte costituzionale con sentenza del 6 maggio 2016, n. 95, ha ritenuto che la legge (art. 5, comma 8, d.l. n. 95/2012, conv. in legge n. 135/2012) non fosse costituzionalmente illegittima, dovendosi interpretare nel senso che la perdita del diritto alla monetizzazione non può aversi allorquando il mancato godimento delle ferie sia incolpevole, non solo perché dovuto ad eventi imprevedibili non dovuti alla volontà del lavoratore, ma anche quando ad essere chiamata in causa sia la «capacità organizzativa del datore di lavoro», nel senso che quest’ultima va esercitata in modo da assicurare che le ferie siano effettivamente godute nel corso del rapporto, quale diritto garantito dalla Carta fondamentale (art. 36, comma 3), dalle fonti internazionali (Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle europee (art. 31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE del Consiglio), sicché non potrebbe vanificarsi «senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso da causa non imputabile al lavoratore», tra cui rientra quanto deriva dall’inadempimento del datore di lavoro ai propri obblighi organizzativi in materia, i quali non possono che essere ravvisati, per coerenza complessiva dell’ordinamento, nell’assetto sostanziale e processuale quale compiutamente delineato dalla Corte di Giustizia nei termini già sopra evidenziati.
Va inoltre evidenziato che la Corte di Giustizia UE in data 18 gennaio 2024, in C218/2022 ha affermato che l’art. 7 della direttiva 203/88/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003, e l’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che, per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze del datore di lavoro pubblico, prevede il divieto di versare al lavoratore un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite maturati sia nell’ultimo anno di impiego, sia negli anni precedenti, e non goduti alla data di cessazione del rapporto di lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto di lavoro e non abbia dimostrato di non avere goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà.
Nel caso di specie è indimostrato che il COGNOME fosse un dirigente apicale (infatti la Corte territoriale, pur avendolo qualificato come tale, ha dato atto delle richieste di implementazione del personale, dal medesimo rivolte alla Direzione dell’Azienda).
Questa Corte ha comunque precisato che il potere di autodeterminazione delle ferie del dirigente di struttura complessa non è assoluto, come risulta dal comma 8 dell’art. 21 del c.c.n.l. 5.12.1996 (v. sul punto Cass., Sez. L, n. 13613/2020), e non esonera comunque il datore di lavoro dall’obbligo di assicurarsi concretamente che il lavoratore sia posto in grado di fruire delle ferie, donde la non decisività del dedotto profilo in ordine all’esistenza, nella specie, di un potere di autodeterminazione delle ferie in capo al dirigente di struttura complessa (Cass. n. 32380/2023 cit.), in quanto la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato, in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire -che, nel caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato (Cass. n. 21780/2022).
La sentenza impugnata non è conforme a tali principi, in quanto a fronte di un accumulo considerevole di ferie non godute (170 giorni), di un’accertata
situazione di carenza di personale, ed in assenza di un formale invito al lavoratore a fruire delle ferie, ha ritenuto dirimenti i poteri organizzativi del lavoratore, così vanificando il diritto alla monetizzazione.
L’assetto sostanziale della fattispecie, secondo l’indirizzo della Corte di Giustizia, deve invece muovere dalla verifica di che cosa sia stato fatto dal datore di lavoro perché quelle ferie fossero godute e quali fossero i rapporti tra quell’endemica insu fficienza di organico, evidentemente non imputabile al lavoratore, e la necessità di assicurare la prosecuzione del servizio, il tutto infine con una regola ultima di giudizio, individuata sempre dalla Corte di Giustizia, che, nei casi incerti, pone l ‘onere probatorio a carico del datore di lavoro e non del lavoratore.
La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di L’RAGIONE_SOCIALE in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 19.3.2024.