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Indennità di vigilanza: spetta senza servizio attivo?

Un agente di polizia municipale, temporaneamente trasferito al servizio archivio per motivi disciplinari, si è visto negare dal Comune la quota di integrazione previdenziale derivante dalle sanzioni stradali e l’indennità di vigilanza. La Corte di Cassazione, ribaltando la decisione d’appello, ha stabilito che tali emolumenti sono strettamente legati all’effettivo svolgimento delle mansioni di polizia e vigilanza. La mera appartenenza formale al corpo di polizia municipale non è sufficiente per aver diritto a queste specifiche indennità, che presuppongono un’attività concreta nel settore di competenza. Il caso chiarisce il principio di effettività della prestazione lavorativa per il riconoscimento di determinate componenti retributive nel pubblico impiego.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità di Vigilanza e Proventi Multe: Contano le Mansioni Svolte, non l’Inquadramento

Un agente di polizia municipale, pur rimanendo formalmente inquadrato nel corpo, se viene trasferito a svolgere mansioni completamente diverse, come quelle di archivista, perde il diritto sia a una quota dei proventi delle multe sia all’indennità di vigilanza. Questo è il principio chiave affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 7444/2025. La decisione sottolinea come, per determinate voci retributive, ciò che conta è l’effettivo svolgimento delle funzioni specifiche, e non la mera appartenenza formale a una certa area professionale.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un dipendente di un Comune, agente di polizia municipale con contratto a tempo indeterminato. Dopo una sospensione cautelare per motivi disciplinari, l’agente era stato temporaneamente assegnato al Servizio Archivio. Nonostante il trasferimento, il suo inquadramento formale era rimasto quello di appartenente all’area di vigilanza del Corpo di Polizia Municipale.

A seguito di questa nuova assegnazione, il Comune aveva interrotto l’erogazione di due specifici emolumenti:
1. La quota di integrazione previdenziale derivante dai proventi delle sanzioni stradali, prevista dall’art. 208 del Codice della Strada.
2. L’indennità di vigilanza, disciplinata dall’art. 37 del CCNL Enti Pubblici del 1995.

L’agente aveva fatto ricorso, sostenendo di averne ancora diritto in virtù del suo inquadramento. Mentre il Tribunale di primo grado aveva respinto la sua domanda, la Corte d’Appello gli aveva dato ragione, ritenendo sufficiente l’appartenenza formale al corpo di polizia. Il Comune ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’Indennità di Vigilanza

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Comune, cassando la sentenza d’appello e stabilendo un principio opposto: per queste indennità, è necessario l’esercizio concreto delle funzioni di vigilanza. L’analisi della Corte si è concentrata separatamente sulle due voci retributive.

L’Analisi sulla Quota Previdenziale (Art. 208 Codice della Strada)

L’art. 208 del Codice della Strada prevede che una parte dei proventi delle multe possa essere destinata, con delibera della giunta comunale, a finalità di assistenza e previdenza per il personale. La Corte ha sottolineato che la norma stessa collega questi proventi alle violazioni “accertate” dai funzionari e agenti dei comuni. L’uso del termine “accertamento” implica, secondo la Cassazione, il compimento di una concreta attività di vigilanza e non una mera qualifica formale. Richiamando una precedente sentenza della Corte Costituzionale (n. 426/2000), i giudici hanno ribadito che queste somme sono destinate a beneficio dei “soggetti accertatori”. Di conseguenza, chi non svolge più tale attività, come l’agente trasferito all’archivio, non ha diritto a beneficiarne.

L’Analisi sull’Indennità di Vigilanza (CCNL Enti Locali)

Il secondo punto, cruciale per comprendere la portata della decisione, riguarda l’indennità di vigilanza. L’art. 37 del CCNL di riferimento distingue due misure:
* Una, in misura piena, per il personale che esercita le funzioni di polizia giudiziaria, stradale e di pubblica sicurezza (ai sensi dell’art. 5 della legge n. 65/1986).
* Una, in misura ridotta, per il “restante personale dell’area di vigilanza non svolgente” tali funzioni.

La Corte d’Appello aveva ritenuto che l’agente rientrasse in questa seconda categoria. La Cassazione, invece, ha offerto un’interpretazione più restrittiva. Ha chiarito che anche il personale che percepisce l’indennità ridotta deve comunque svolgere, in concreto, altre funzioni proprie dell’area di vigilanza. Non spetta, quindi, a chi, pur essendo formalmente inquadrato in quell’area, svolge mansioni del tutto estranee ad essa. La terminologia usata nel contratto, che fa riferimento all'”esercizio” e allo “svolgimento” di funzioni, implica un ruolo attivo e concreto, non una mera appartenenza burocratica.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte fonda la sua decisione su un’interpretazione sia letterale che sistematica delle norme. Il principio cardine è quello di effettività: la ragione giustificatrice di queste indennità non risiede nello status del dipendente, ma nella specificità e, talvolta, nella gravosità delle mansioni che egli concretamente svolge. Per la quota derivante dalle multe, la logica è quella di incentivare e sostenere chi è direttamente impegnato nel migliorare la sicurezza stradale. Per l’indennità di vigilanza, la logica è compensare le particolari responsabilità e compiti associati alle funzioni di sorveglianza e polizia locale, anche quelle non di vertice.

La Corte ha specificato che un’interpretazione diversa creerebbe una disparità ingiustificata, attribuendo un beneficio economico a un lavoratore che, di fatto, svolgeva le stesse mansioni di un qualsiasi altro impiegato d’archivio, senza essere esposto ai rischi o alle responsabilità tipiche del personale di vigilanza.

Conclusioni

L’ordinanza della Corte di Cassazione stabilisce un punto fermo di grande rilevanza per il pubblico impiego. Per il riconoscimento di indennità specifiche, come la quota sui proventi delle multe e l’indennità di vigilanza, non è sufficiente l’inquadramento formale del dipendente. È invece dirimente l’effettivo svolgimento delle mansioni per le quali tali emolumenti sono stati istituiti. La decisione riafferma un principio di correlazione tra retribuzione accessoria e prestazione lavorativa concreta, limitando l’erogazione di tali somme solo a chi contribuisce attivamente alle funzioni che ne giustificano l’esistenza.

Un agente di polizia municipale trasferito ad altro ufficio ha diritto alla quota dei proventi delle multe?
No. Secondo la Corte di Cassazione, questo beneficio è strettamente collegato all’attività concreta di ‘accertamento’ delle violazioni del codice della strada. Pertanto, spetta solo a chi svolge effettivamente tale attività e non a chi, pur mantenendo la qualifica, è assegnato a mansioni diverse.

L’indennità di vigilanza spetta a chi è formalmente inquadrato nell’area di vigilanza ma non ne svolge le funzioni?
No. La Corte ha chiarito che l’indennità, anche nella sua misura ridotta, è destinata al personale che esercita in concreto attività di vigilanza. Non spetta a chi, pur formalmente inserito nell’area, svolge mansioni del tutto estranee a essa, come quelle di archivista.

Cosa prevale per l’erogazione di queste indennità: l’inquadramento formale o le mansioni effettivamente svolte?
Secondo questa ordinanza, prevalgono le mansioni effettivamente svolte. La Corte ha stabilito un ‘principio di effettività’, secondo cui queste specifiche componenti retributive sono legate all’esercizio concreto delle funzioni per le quali sono state previste, e non al solo status formale del dipendente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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