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Indennità di vigilanza: necessario l’inquadramento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7411/2025, ha accolto il ricorso di un ente provinciale, stabilendo un principio fondamentale in materia di indennità di vigilanza per i dipendenti pubblici. La Corte ha chiarito che, per avere diritto a tale indennità, non è sufficiente svolgere di fatto mansioni di vigilanza, ma è indispensabile l’inquadramento formale del lavoratore nella specifica “Area di vigilanza” prevista dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL). La sentenza ribalta le decisioni dei giudici di merito che avevano concesso l’indennità a due addetti alla manutenzione stradale basandosi unicamente sulle attività da loro svolte.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità di vigilanza: non basta svolgere le mansioni, serve l’inquadramento

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 7411 del 2025, ha messo un punto fermo su una questione cruciale per molti dipendenti degli enti locali: quali sono i requisiti per ottenere l’indennità di vigilanza? La risposta della Suprema Corte è netta: lo svolgimento di fatto delle attività di controllo non è sufficiente. È necessario un presupposto formale e imprescindibile: l’inquadramento del dipendente nella specifica “Area di vigilanza” come definita dalla contrattazione collettiva.

I fatti del caso

La vicenda nasce dalla richiesta di due dipendenti di un ente provinciale, addetti alla manutenzione della rete viaria. I lavoratori avevano chiesto e ottenuto, sia in primo grado che in appello, il riconoscimento di un’indennità di vigilanza per il periodo tra il 2010 e il 2017. Le corti di merito avevano ritenuto che, poiché tra le loro mansioni rientrava il controllo sul rispetto del codice della strada e la segnalazione di infrazioni, essi svolgessero di fatto un’attività di vigilanza meritevole dell’indennità prevista dall’art. 37 del CCNL del 1995.

L’ente provinciale, non condividendo questa interpretazione, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i due dipendenti, inquadrati come “collaboratori assistenti-sorveglianti stradali”, non appartenevano formalmente all’Area della Vigilanza, requisito che l’amministrazione riteneva essenziale.

L’importanza dell’inquadramento per l’indennità di vigilanza

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’ente, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. I giudici hanno chiarito che l’interpretazione dei giudici di merito era errata, poiché si era concentrata esclusivamente sulle mansioni svolte, trascurando il requisito fondamentale dell’inquadramento.

Secondo la Suprema Corte, l’articolo 37 del CCNL del 1995 è chiaro nel destinare l’indennità “a tutto il personale dell’area di vigilanza”. L’appartenenza a quest’area non è un dettaglio, ma un “presupposto indefettibile” per il riconoscimento del diritto.

Le motivazioni

La Corte ha specificato che la nozione di “area di vigilanza” è definita con precisione dalla dichiarazione congiunta n. 5 allegata al CCNL del 31.3.1999. Questa area comprende il personale che svolge attività di prevenzione, controllo e repressione in materie specifiche come la polizia locale, urbana, ittica, venatoria, ecc. Non è sufficiente, quindi, che un lavoratore svolga compiti che genericamente possono essere definiti di “vigilanza”. È necessario che il suo profilo professionale sia formalmente inserito in quella specifica area contrattuale.

I giudici di legittimità hanno criticato la sentenza d’appello proprio perché non aveva verificato questo aspetto cruciale. Aveva dato per sufficiente lo svolgimento delle funzioni, senza accertare se i dipendenti fossero effettivamente inquadrati nell’Area di vigilanza. Questo errore di diritto ha portato all’annullamento della decisione.

Le conclusioni

Questa ordinanza stabilisce un principio di grande importanza pratica: nel pubblico impiego, il diritto a percepire specifiche indennità non deriva automaticamente dalle mansioni concretamente svolte, ma è strettamente legato all’inquadramento formale previsto dalla contrattazione collettiva. Per ottenere l’indennità di vigilanza, non basta agire “come se” si fosse un agente di vigilanza; è indispensabile esserlo anche sulla carta, con un corretto inquadramento nel profilo e nell’area professionale corrispondenti. La decisione riafferma la centralità della classificazione del personale come definita dai CCNL per la determinazione dei trattamenti economici accessori.

È sufficiente svolgere di fatto mansioni di vigilanza per avere diritto alla relativa indennità?
No. Secondo la Corte di Cassazione, lo svolgimento concreto delle mansioni non è sufficiente. È necessario un presupposto formale e indefettibile: l’inquadramento del dipendente nell’apposita “Area di vigilanza”.

Cosa si intende per “Area di vigilanza” ai fini del riconoscimento dell’indennità?
L'”Area di vigilanza”, come definita dalla dichiarazione congiunta n. 5 al CCNL del 31.3.1999, si riferisce al personale che svolge attività di prevenzione, controllo e repressione in materie specifiche come polizia locale, urbana, ittica, rurale, ambientale e altre funzioni demandate dalla legge.

Qual è stato l’errore commesso dalla Corte d’Appello secondo la Cassazione?
L’errore è stato quello di ritenere sufficiente, per il riconoscimento dell’indennità, la prova dello svolgimento di funzioni di vigilanza, senza effettuare l’accertamento, necessario e prioritario, sull’effettivo inquadramento dei dipendenti nella specifica Area di vigilanza prevista dal contratto collettivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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