Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4250 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 4250 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9124/2024 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con cui elett. domicilia PEC: avvEMAIL
-ricorrente-
contro
AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI COSENZA, rappresentata e difesa dall’ avv. NOME COGNOME con cui elett. domicilia PEC: EMAIL
—
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 1050/2023 depositata il 3/10/2023, RG 1265/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso innanzi al Tribunale di Castrovillari NOME COGNOME infermiere, agiva nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, al fine di ottenerne la condanna al pagamento dell’indennità di vestizione maturata da l 2009 al 2019 pari ad euro 9.528,52.
Il Tribunale ha accolto la sua domanda nei limiti della prescrizione quinquennale, e ha liquidato in euro 4.767,32 la differenza retributiva spettante.
L’ASP Cosenza proponeva appello che la Corte d’ Appello di Catanzaro, nel contraddittorio delle parti, accoglieva, rigettando la domanda proposta dal ricorrente di primo grado.
La Corte territoriale rilevava innanzitutto che il Tribunale non aveva accordato al ricorrente la ‘ indennità di divisa ‘ che in ricorso pareva essere stata rivendicata quale autonoma voce retributiva e della quale, però, il contratto collettivo di comparto non faceva menzione neppure nella sua formulazione più recente.
Evidenziava che l’art. 27, commi 11 e 12, del CCNL del 21.5.2018 non contempla, a carico del datore di lavoro, alcuna obbligazione di dare avente ad oggetto una specifica voce economica (della quale, infatti, non indica la misura), ma gli impone di riconoscere agli operatori sanitari, al massimo, ‘ 15 minuti complessivi ‘ per le operazioni di ‘ vestizione, svestizione e passaggio di consegne purché risultanti dalle timbrature effettuate ‘ e cioè di fare in modo che nell’orario di lavoro retribuito sia ricompres o anche il tempo
necessario per quelle operazioni e, a tal fine, chiarisce che questo tempo deve risultare dalle ‘ timbrature ‘ dei cartellini del personale. Riteneva che la circostanza che il ricorrente avesse eseguito le quotidiane operazioni di vestizione e svestizione della divisa fuori dall’orario di lavoro risultante dalle timbrature non era stata allegata e, come tale, non poteva considerarsi incontestata e dunque pacifica, siccome aveva invece ritenuto il Tribunale.
Detta circostanza, inoltre, non aveva formato oggetto della richiesta di prova testimoniale, articolata in ricorso, perché ai testimoni non si era chiesto di confermare che il ricorrente fosse stato costretto a indossare la divisa prima di timbrare in entrata e a svestirla solo dopo aver timbrato in uscita.
Riteneva quindi indimostrato che siffatte operazioni propedeutiche e strumentali alla prestazione lavorativa fossero state eseguite fuori dall’orario di lavoro che è retribuito in quanto registrato dalle apposite timbrature.
Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, assistiti da memoria.
L’ASP Cosenza ha resistito con controriorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione ed errata applicazione dell’art. 27, commi 12 e 13 CCNL Sanità 2016 -2018 applicabile ratione temporis ai fatti di causa.
Esso sostiene che la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che sussistesse a suo carico un obbligo di timbratura per il tempo di lavoro preordinato al cambio divisa qualora aggiuntivo rispetto all’ordinario turno di servizio che, sempre in modo erra to, aveva considerato straordinario.
Inoltre, lamenta la mancata ammissione della prova testimoniale articolata al fine di dimostrare l’effettivo cambio divisa al di fuori del turno di servizio.
1.1. La doglianza è infondata.
Innanzitutto, si osserva che la corte territoriale non ha affermato la natura di lavoro straordinario del tempo necessario per indossare e dismettere la divisa di lavoro della controricorrente, ma ha preso atto che questa è stata la ricostruzione operata sul punto dal Tribunale di Castrovillari.
Al riguardo, questo Collegio ribadisce che le operazioni di vestizione e svestizione del personale sanitario rientrano nell’orario di lavoro se il tipo di indumenti da indossare è imposto da superiori esigenze di sicurezza e igiene attinenti alla gestione del servizio prestato e all’incolumità del personale addetto, sicché – anche nel silenzio della contrattazione collettiva – il tempo impiegato per tali operazioni dà diritto a retribuzione (Cass., Sez. L, n. 18612 dell’8 luglio 2024).
Si sottolinea, poi, che il giudice di appello non ha neppure ritenuto che sussistesse a carico della dipendente un obbligo di timbratura per il tempo di lavoro preordinato al cambio divisa qualora aggiuntivo rispetto a quello di lavoro, ma ha semplicemente rilevato che la disposizione contrattuale collettiva imponeva al datore l’obbligo di fare in modo che nell’orario di lavoro retribuito fosse ricompreso anche il tempo necessario per quelle operazioni, limitandosi ad affermare che questo tempo doveva risultare dalle ‘ timbrature ‘ dei cartellini del personale.
Tale considerazione è corretta, ove si esamini il contenuto testuale dell’art. 27 del CCNL 2016 -2018 nella parte che qui rileva: « 12. Nelle unità operative che garantiscono la continuità assistenziale sulle 24 ore, ove sia necessario un passaggio di consegne, agli operatori sanitari sono riconosciuti fino ad un massimo di 15 minuti complessivi tra vestizione, svestizione e passaggi di consegne, purché risultanti dalle timbrature effettuate,
fatti salvi gli accordi di miglior favore in essere. 13. Sono definibili dalle Aziende ed Enti le regolamentazioni di dettaglio attuative delle disposizioni contenute nel presente articolo ».
Il tempo di vestizione, dunque, deve risultare, di regola, dalla timbratura, essendo definibili dalle Aziende e dagli Enti solo le regolamentazioni di dettaglio.
In aggiunta a ciò, si evidenzia che la corte territoriale ha fondato la sua decisione sull’accertamento, non contestato in questa sede e, quindi, da reputare ormai definitivo, che ‘la circostanza che il ricorrente abbia eseguito le quotidiane operazioni di vestizione e svestizione della divisa fuori dall’orario di lavoro risultante dalle timbrature non era stata allegata e, come tale, non può considerarsi incontestata e dunque pacifica’.
Si tratta di una verifica che preclude l’accoglimento della domanda del dipendente, in quanto, per costante giurisprudenza, in caso di richiesta di pagamento della c.d. indennità di divisa, occorre stabilire se esistesse l’obbligo – nascente da disposizione del datore di lavoro -di indossare gli indumenti di lavoro fin dall’orario di inizio del turno, oppure, fosse consentito ai singoli di indossarli in un momento successivo all’inizio della prestazione (Cass., SU, n. 11828 del 2013, pagina 7 della motivazione, non massimata).
Si è ritenuto, infatti, che l’attività consistente nell’indossare e dismettere la divisa aziendale rientra nella categoria del tempo di lavoro retribuibile nel caso in cui si svolga in locali aziendali prefissati, ed in tempi delimitati non solo – ad esempio – dal passaggio in successivi tornelli azionabili con il badge (posti all’ingresso dello stabilimento e all’ingresso del reparto), ma anche dal limite stabilito dalla parte aziendale prima dell’inizio del turno, secondo obblighi e divieti sanzionati disciplinarmente, stabiliti dal datore di lavoro e riferibili all’interesse aziendale, senza alcuno spazio di discrezionalità per i dipendenti (in motivazione, ex plurimis ,
Cass., Sez. L, n. 7397 del 13 aprile 2015; Cass., Sez. L, n. 7396 del 13 aprile 2015).
In particolare, si è evidenziato che il lavoratore avrebbe diritto alla retribuzione per il cambio d’abito soltanto qualora dimostri che la vestizione e la svestizione avvenivano prima e dopo l’orario di lavoro ordinario, di tal che al tempo necessario possa essere riconosciuta un’autonoma retribuzione (Cass., Sez. L, n. 11049 del 10 giugno 2020).
Nella specie, la corte territoriale ha pure precisato che la P.A. controricorrente aveva espressamente disconosciuto che il ricorrente avesse svolto l’attività in questione al di fuori dell’orario lavorativo ordinario e che, comunque, non risultava dimostrato (e per vero nemmeno è dedotto) che l’azienda avesse imposto al lavoratore di cambiarsi d’abito prima di timbrare il cartellino, all’inizio del turno di lavoro, e di dismettere la divisa solo dopo aver nuovamente timbrato alla fine del turno.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, atteso che la corte territoriale non avrebbe considerato l’inesistenza di un obbligo di timbratura ai fini retributivi del tempo aggiuntivo rispetto al turno di servizio per il cambio divisa e l’inconfigurabilità del tempo divisa aggiuntivo rispetto al turno di servizio come lavoro di tipo straordinario.
2.1. Il motivo è inammissibile, atteso che non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, come individuata esaminando il primo motivo di ricorso.
Peraltro, le circostanze indicate dal ricorrente non rappresentano dei fatti, ma delle questioni di diritto, non prospettabili in cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.
3. Il ricorso è rigettato in applicazione del seguente principio di diritto:
‘In tema di pubblico impiego contrattualizzato, l’infermiere , che deduca di avere reso una prestazione lavorativa eccedente l’orario ordinario di lavoro, come risultante dalle apposite timbrature in entrata e in uscita, sostenendo che, in assenza di istruzioni sul punto del datore, avrebbe indossato e dismesso la divisa rispettivamente prima e dopo dette timbrature, e che chieda, per questa ragione, il pagamento di una somma aggiuntiva rispetto alla retribuzione altrimenti spettante, è tenuto ad allegare e a dimostrare di avere effettuato le operazioni di vestizione e svestizione in questione anteriormente e successivamente a tali timbrature’.
4. Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.000,00 per compenso professionale ed euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
A i sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro