Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10052 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10052 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
Il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione proposta da Roma Capitale avverso il decreto n. 3470/2015 con cui il Tribunale di Roma le aveva ingiunto il pagamento, in favore di NOME COGNOME, della somma di € 15.402,68 oltre accessori, a titolo di maggiorazioni maturate nel periodo dal 5.7.2007 al 30.6.2012.
NOME COGNOME, dipendente di Roma Capitale con la qualifica di istruttore di polizia municipale ed in forza presso il Comando I Gruppo aveva dedotto di avere svolto il proprio servizio in regime di settimana corta con orario articolato su base settimanale di 7 ore e 12 minuti a giorni alternati dal lunedi al venerdi dal 1.7.2007 e di essere stato inserito nella squadra ‘D’ di lavoro al fine di garantire la copertura del servizio nelle giornate del sabato, della domenica e nei giorni festivi infrasettimanali; aveva pertanto rivendicato il suo diritto a percepire le indennità e i compensi aggiuntivi previsti, ad integrazione della retribuzione ordinaria, dall’art. 52 del CCNL Enti Locali del 14.9.2000 .
La Corte di Appello di Roma, in accoglimento del gravame proposto da Roma Capitale, ha revocato il decreto ingiuntivo ed ha condannato l’ente appellante al pagamento della somma di € 9.744,30 oltre interessi legali dalla maturazione al saldo, in favore di NOME COGNOME.
La Corte territoriale, premesso che sull’eccezione di prescrizione dei crediti retributivi si era formato il giudicato interno, ha ritenuto pacifico o comunque incontestato che lo COGNOME nel periodo oggetto di controversia avesse espletato la sua atti vità lavorativa in regime di ‘settimana corta’ con orario articolato su base settimanale di 7 ore e 12 minuti a giorni alternati dal lunedi al venerdi,
svolgendo altresì turni serali e/o notturni e che, al fine di garantire la copertura del servizio nelle giornate di abato, della domenica e dei giorni festivi infrasettimanali, era stato inserito nella squadra ‘D’ di lavoro osservando i turni indicati nel documento di cui al n. 4 allegato al ricorso monitorio.
Il giudice di appello ha escluso che le indennità previste dall’art. 52, comma 2, lett. c) del CCNL Enti Locali del 14.9.2000 (richiamato dall’art. 22, comma 5, delle ‘code contrattuali’ ) possano essere cumulate con altre somme corrisposte per le medesime causali, consistenti nella prestazione dell’attività secondo turni prestabiliti; le ha invece ritenute cumulabili con indennità previste da altre fonti contrattuali non abrogate o non incompatibili con successive fonti, e riconosciute con funzioni diverse da quelle di compensare il disagio derivante dall’obbligo di osservare orari articolati essenzialmente secondo tre turni giornalieri.
Ha considerato alla stregua di un valido adempimento la corresponsione allo COGNOME delle somme di cui a ll’art. 223 CCDI 2005, integralmente corrispondente all’art. 22, comma 5, delle ‘code contrattuali’, e all’art. 224 del medesimo CCDI, relativa allo svolgimento di attività in orario notturno, festivo, e festivo notturno seppure non articolato in turni, essendo tali indennità destinate a compensare lo stesso disagio derivato al lavoratore dallo svolgimento di attività lavorativa in orario notturno, festivo e festivo notturno mediante turni di servizio.
Ha invece escluso che il pagamento di somme a titolo di maggiorazione ex art. 33 CCNL Enti Locali 1994-1997 e di DGC del 12.4.1996 costituisse idoneo adempimento dei crediti retributivi azionati dallo COGNOME in sede monitoria, in quanto le suddette indennità per il servizio notturno festivo (a titolo di incentivo finalizzato all’innalzamento del livello di efficienza e di efficacia dei servizi istituzionali) non erano state attribuite a tutto il personale assoggettato a turni, ma solo a coloro che fossero addetti a particolari servizi di vigilanza che dovessero prestare servizi notturni e festivi.
Ha pertanto ritenuto che dall’importo oggetto di ingiunzione, non specificamente contestato dall’Amministrazione appellante, dovessero essere detratte esclusivamente le somme erogate a titolo di indennità ai sensi degli artt. 223 CCDI (pacificamente corrispondente alla voce stipendiale 1524) e 224 CCDI
(pacificamente corrispondente alla voce stipendiale 1522), determinabili sulla base dei dati contenuti nella CTU espletata nel giudizio di appello e dunque pari rispettivamente ad€ 79,37 e ad € 5579,01, per un totale di € 5658,38.
Avverso tale sentenza Roma Capitale ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con l’unico motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 22 del CCNL Enti Locali del 14.9.2000 e dell’art. 33 del CCNL del 6.7.1995, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Riportate le disposizioni dell’art. 22 del CCNL Enti Locali del 14.9.2000 e dell’art. 33 del CCNL del 6.7.1995, evidenzia che la DGC 4576 del 30.12.1995 aveva recepito il CCD del 29.12.1995, relativo alla remunerazione oraria del servizio svolto in orario notturno e l’incentivazione festiva del personale della Vigilanza Urbana che presta servizio esterno ed il servizio logistico diretto, il servizio di vigilanza alla Casa Comunale e ai Mercati all’ingrosso e del Personale dei Musei Scavi Monumenti e Gallerie.
Sostiene che le incentivazioni per articolazione oraria notturna e festiva di cui alla delibera 4576/1995 non sono cumulabili con l’indennità di cui all’art. 22 comma 5 del CCNL Enti Locali del 14.9.2000, in quanto volte ad indennizzare la stessa tipologia di disagio.
Deduce che l’indennità prevista dall’art. 33 del CCNL del 6.7.2006 è stata concepita a titolo di incentivo al fine di innalzare i livelli di efficienza e di efficacia dei servizi istituzionali, compensando il lavoro festivo e notturno del personale addetto ai predetti servizi particolari di vigilanza, e si sovrappone pertanto a quella prevista dall’art. 22 del CCNL.
Argomenta che il disagio del lavoratore turnista e del lavoratore non turnista chiamati a lavorare nello stesso orario è il medesimo, e che pertanto non sussistono ragioni per retribuire con doppia indennità il lavoratore turnista e con una sola indennità il lavoratore non turnista, evidenziando che la natura del
compenso non muta in ragione del fatto che sia stato riconosciuto anche ai lavoratori non turnisti chiamati a lavorare nelle medesime fasce.
Aggiunge che in occasione della verifica amministrativo-contabile operata sugli oneri dei contratti collettivi nazionali e decentrati dal 4.1.2013 al 15.1.2014, il Servizio Ispettivo del MEF -Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato -ha stigmatizzato il cumulo operato dall’Amministrazione tra l’articolazione festiva e notturna corrispondente alle indennità pagate con i codici 1580 e 1582 in discussione, nonché la maggiorazione oraria per turnazione notturna o festiva corrispondente alle indennità di cui ai codici 1552 e 1524.
Richiama la giurisprudenza di legittimità, che in ordine alla questione delle prestazioni lavorative svolte da dipendenti della Polizia Municipale secondo turni nell’ambito del normale orario di lavoro, ha escluso la cumulabilità della maggiorazione dovuta ai sensi dell’art. 22 del CCNL Enti Locali del 14.9.2000 con compensi volti ad indennizzare la stessa tipologia di disagio.
Il ricorso è inammissibile , in quanto nel prospettare la violazione dell’art. 33 del CCNL del 6.7.1995 e nel sostenere che tale disposizione ha la stessa ratio dell’art. 22 del CCNL comma 5 del CCNL Enti Locali del 14.9.2000, non si confronta con il decisum .
La sentenza impugnata ha infatti evidenziato che l’art. 33 del CCNL Enti Locali riguarda il fondo per la produttività collettiva e per il miglioramento dei servizi e che la DGC 4576 del 30.12.1995, in attuazione della suddetta disposizione collettiva, con provvedimento in vigore fino al 15.12.1996 salvo ulteriori proroghe, aveva previsto la corresponsione di somme orarie a titolo di ‘incentivazione per articolazione completa festiva’ e ‘incentivazione per articolazione completa notturna’, nel più ampio contesto della realizzazione di un p rogetto finalizzato all’innalzamento del livello di efficienza e di efficacia dei servizi istituzionali affidati al corpo di polizia municipale mediante l’articolazione
Ha inoltre osservato che le indennità previste dall’art. 22, comma 5, del CCNL Enti Locali del 14.9.2000 sono finalizzate a compensare la maggiore penosità del lavoro svolto in turno antimeridiano, pomeridiano, notturno, festivo o festivo notturno e per tale ragione ha ritenuto che le indennità previste dall’art. 52, comma 2, lett. c) del CCNL Enti Locali del 14.9.2000, richiamato dall’art. 22,
comma 5, del medesimo CCNL, siano cumulabili con le somme corrisposte a titolo di maggiorazione ex art. 33 CCNL Enti Locali 1994-1997 e di DGC 4576 del 30.12.1995, non attribuite a tutto il personale assoggettato a turni, ma solo a coloro che fossero addetti a particolari servizi di vigilanza che dovessero prestare servizi notturni e festivi.
Inoltre il ricorso, nel sostenere che le incentivazioni di cui alla delibera n. 4576 della Giunta Comunale del 30.12.1995 (che ha recepito il CCD del 29.12.1995) non sono cumulabili con l’indennità prevista dall’art. 22, comma 5, del CCNL, sollecita un’interpretazione diretta della suddetta delibera.
Deve in proposito rammentarsi il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
La giurisprudenza di questa Corte è peraltro consolidata nell’affermare che, ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., come modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006, la denuncia della violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro è ammessa solo con riferimento a quelli di carattere nazionale, per i quali è previsto il particolare regime di pubblicità di cui all’art. 47, comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001, mentre i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione dell’amministrazione interessata, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, nei limiti fissati dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. nel testo applicabile
ratione temporis (cfr. fra le tante Cass. n. 5565/2004; Cass. n. 20599/2006; Cass. n. 28859/2008; Cass. n. 6748/2010; Cass. n. 15934/2013; Cass. n. 4921/2016, Cass. n. 16705/2018; Cass. n. 33312/2018; Cass. n. 20917/2019; Cass. n.7568/2020; Cass. n. 25626/2020 e Cass. n. 3829/2021).
A detti contratti non si estende, inoltre, il particolare regime di pubblicità di cui all’art. 47, ottavo comma, del d.lgs. n. 165 del 2001, sicché, venendo in rilievo gli oneri di specificazione e di allegazione di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., il ricorrente è tenuto a depositarli, a fornire precise indicazioni sulle modalità e sui tempi della produzione nel giudizio di merito, a trascrivere nel ricorso le clausole che si assumono erroneamente interpretate dalla Corte territoriale (Cass. nn. 7981, 7216, 6038, 2709, 95 del 2018; Cass. n. 3829/2021).
Una volta esclusa l’applicabilità ai contratti integrativi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., opera il principio, parimenti consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ.
Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. n. 17168/2012; Cass. n. 9054/2013; Cass. n. 10271/2016 e Cass. n. 3829/2021).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 4000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore degli Avvocati La Gioia e Castelli;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte