Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10990 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10990 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 32038-2019 proposto da:
NOME NOMERAGIONE_SOCIALE in persona del Liquidatore e legale rappresentante pro tempore, domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N. 32038/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 25/02/2025
CC
avverso la sentenza n. 1046/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/06/2019 R.G.N. 571/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
R.G. 32038/19
Rilevato che:
Con sentenza del giorno 13.6.2019 n. 1046, la Corte d’appello di Milano respingeva il gravame proposto da NOME COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso la sentenza del Tribunale di Milano, che aveva rigettato l’opposizione di questi ultimi avverso il verbale di accertamento della DTL di Varese del 29.11.16 con il quale era stata contestato alla società l’omissione contributiva di complessivi € 233.339,05, a titolo di contributi, interessi e sanzioni per irregolarità risultanti dal libro unico del lavoro relativamente a somme corrisposte ai lavoratori a titolo di ‘indennità varie esenti’ e relativamente agli imponibili mensili esenti non adeguati al minimale, per i lavoratori che avevano prestato un orario maggiore o uguale a 173 ore.
Il tribunale aveva rigettato il ricorso perché con riguardo alle ‘indennità varie esenti’ il datore di lavoro, pur onerato del relativo onere probatorio, non aveva offerto alcuna documentazione idonea a dimostrare il nesso di causalità fra le attribuzioni patrimoniali così qualificate e le trasferte effettuate, né poteva considerarsi esente da oneri contributivi una ‘indennità di disagio e/o trasporto per i continui spostamenti’, fuori dei presupposti previsti ex lege. In buona sostanza, il tribunale ha ritenuto che non può configurarsi alcuna trasferta quando si accerti che lo svolgimento dell’attività lavorativa, pur in luoghi diversi e sempre variabili, non può ritenersi correlata
a una trasferta vera e propria ma solo al tipo e alle caratteristiche dell’attività d’impresa nella cui organizzazione il lavoratore è inserito, dimodoché tale indennità non può che costituire una componente della normale retribuzione, destinata a compensare le particolari modalità, convenzionalmente stabilite, della prestazione lavorativa.
La Corte d’appello ha confermato, in buona sostanza, la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, Giudici NOME e dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ricorrono per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, mentre l’Inps resiste con controricorso.
Il collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della decisione in camera di consiglio.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 51 comma 5 del TUIR, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 c.p.c., perché erroneamente, la Corte del merito aveva ritenuto che la società appellante non avesse prodotto idonea prova documentale, volta a dimostrare gli spostamenti effettuati dai singoli lavoratori, nell’espletamento della loro attività lavorativa in relazione alle specifiche giornate, agli specifici luoghi di lavoro raggiunti e ai chilometri percorsi, quando invece, tale prova documentale idonea a dimostrare gli spostamenti effettuati dai singoli lavoratori era costituita dal verbale di assemblea ordinaria della società appellante del 26.11.22, dal quale risulta che la RAGIONE_SOCIALE aveva deciso di applicare, ai propri soci lavoratori, il CCNL per i ‘dipendenti di agenzie di sicurezza
sussidiaria non armata e degli istituti investigativi’ in sostituzione del precedente CCNL del ‘portierato’, ed alla luce del Regolamento interno, per luogo di lavoro ordinario, con il nuovo CCNL, avrebbe dovuto intendersi l’impianto o stabilimento di dest inazione per l’espletamento delle mansioni che non disti più di 50 km (mentre prima era stabilito 10 km) dalla sede di lavoro, mansioni che erano concordate all’atto di ammissione del socio.
Con il secondo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 51 comma 6 del TUIR, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 c.p.c., perché, in subordine, si doveva tenere conto della norma di cui in rubrica, per cui le indennità di trasferta oggetto di richiesta contributiva avrebbero dovuto concorrere a formare il reddito (e, quindi, la base imponibile contributiva), nella misura del (solo) 50% del loro ammontare.
Con il terzo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 116 comma 8 della legge n. 388/2000, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 c.p.c., perché erroneamente, la Corte d’appello ave va ritenuto di applicare le sanzioni secondo il regime dell’evasione e non secondo il regime dell’omissione contributiva.
Il primo e secondo motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, sono inammissibili, in quanto non si confrontano con la statuizione espressa dalla Corte d’appello in merito al mancato assolvimento dell’onere probatorio posto a carico dei ricor renti, ai fini dell’applicazione della disciplina dettata dall’art. 51 TUIR, fondata sulla mancanza della prova dell’effettività degli spostamenti effettuati dai lavoratori, a nulla rilevando le delibere dell’assemblea ordinaria dei soci sull’applicazione di un diverso CCNL. Il motivo è, in ogni caso,
inammissibile, in quanto attiene alle valutazioni istruttorie ed alla valutazione dei fatti di causa, di competenza esclusiva del giudice del merito.
Il terzo motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte ‘In tema di evasione ed omissione contributiva previdenziale ex art. 116 della l. n. 388 del 2000, ricorre la prima ipotesi quando il datore di lavoro ometta di denunciare all’INPS rapporti lavorativi in essere e relative retribuzioni corrisposte, mentre va ravvisata la seconda, più lieve, qualora l’ammontare dei contributi, di cui sia stato omesso o ritardato il pagamento, sia rilevabile dalle denunce o registrazioni obbligatorie.’ (Cass. n. 5281/17)
Nella specie, i giudici del merito avevano accertato che gli appellanti non avevano allegato e provato circostanze idonee a superare la presunzione di essersi voluti sottrarre al pagamento della contribuzione dovuta, esponendo l’effettuazione di trasferte (esenti da contribuzione) che in effetti celavano lo svolgimento di attività lavorativa ordinaria.
Al rigetto del ricorso, consegue la condanna alle spese di lite, secondo quanto indicato in ricorso.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, rispetto a quello già versato a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido a pagare all’Inps le spese di lite che liquida nell’importo di € 5.500,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25.2.25.