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Indennità di trasferta: quando è soggetta a contributi

Una società cooperativa erogava ai propri dipendenti somme qualificate come “indennità di trasferta” per eludere il versamento dei contributi previdenziali. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La Corte ha stabilito che il datore di lavoro non aveva fornito alcuna prova concreta delle effettive trasferte effettuate dai lavoratori. In assenza di tale prova, le somme sono considerate parte della retribuzione ordinaria e quindi pienamente soggette a contribuzione. La condotta è stata qualificata come evasione contributiva e non come semplice omissione.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità di trasferta e Contributi: La Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova

L’erogazione di un’indennità di trasferta ai dipendenti è una pratica comune, ma nasconde insidie dal punto di vista contributivo. Quando questa indennità è realmente esente e quando, invece, deve essere considerata a tutti gli effetti parte della retribuzione? Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione torna sul tema, delineando con chiarezza i confini tra legittima compensazione per il disagio del lavoratore e tentativo di evasione contributiva, ponendo l’accento sul fondamentale onere della prova a carico del datore di lavoro.

I Fatti del Caso: Indennità Fittizie e Accertamento Previdenziale

Una società cooperativa operante nel settore della sicurezza si è vista notificare un verbale di accertamento per un’omissione contributiva di oltre 230.000 euro. L’addebito riguardava somme corrisposte ai lavoratori a titolo di “indennità varie esenti”, che secondo l’ente previdenziale mascheravano in realtà una parte della normale retribuzione. La società sosteneva che tali importi fossero legittime indennità di trasferta, destinate a compensare i continui spostamenti dei dipendenti.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto le difese dell’azienda. I giudici di merito hanno evidenziato come la società non avesse fornito alcuna prova documentale idonea a dimostrare il nesso causale tra le indennità erogate e le specifiche trasferte effettuate dai singoli lavoratori. L’attività lavorativa, per sua natura itinerante, non poteva di per sé giustificare l’esenzione contributiva senza una prova concreta degli spostamenti al di fuori della sede abituale di lavoro.

La Decisione della Corte: La Prova delle Trasferte è Fondamentale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i principali motivi di ricorso presentati dalla società, confermando la decisione della Corte d’Appello. La questione centrale, secondo gli Ermellini, non risiedeva nell’interpretazione delle norme sui contratti collettivi o sulle percentuali di imponibilità, ma in un aspetto preliminare e fondamentale: la mancata prova dei fatti. Il datore di lavoro, per beneficiare del regime di esenzione, ha l’onere di dimostrare in modo inequivocabile che le somme erogate sono effettivamente collegate a spostamenti reali, temporanei e occasionali dei dipendenti.

Le motivazioni della Cassazione sull’indennità di trasferta

L’ordinanza si sofferma su tre punti principali, corrispondenti ai motivi di ricorso dell’azienda, rigettandoli tutti.

L’inammissibilità del Primo e Secondo Motivo: La Prova Prima di Tutto

La società ricorrente sosteneva di aver diritto all’esenzione (totale o parziale) per l’indennità di trasferta in base a un cambio di contratto collettivo, che avrebbe ampliato la nozione di “sede di lavoro”. La Cassazione ha ritenuto questo argomento irrilevante. La Corte ha chiarito che nessuna delibera assembleare o modifica contrattuale può sostituire la prova fattuale. Il datore di lavoro avrebbe dovuto produrre documentazione specifica (fogli di viaggio, note spese, ordini di servizio) per ogni singolo lavoratore, attestante le giornate, i luoghi e i chilometri percorsi. In assenza di questa prova, le somme erogate non possono che essere considerate retribuzione imponibile.

Il Rigetto del Terzo Motivo: Differenza tra Omissione ed Evasione Contributiva

L’azienda chiedeva che la sua condotta venisse qualificata come “omissione” contributiva (sanzionata in modo più lieve) anziché come “evasione”. La Corte ha respinto anche questa tesi, richiamando un suo precedente orientamento. Si ha evasione quando il datore di lavoro nasconde intenzionalmente rapporti di lavoro o retribuzioni imponibili per non pagare i contributi. Si ha, invece, omissione quando l’irregolarità è palese e rilevabile dalle stesse denunce obbligatorie. Nel caso di specie, qualificare una parte di retribuzione come “indennità esente” senza alcun presupposto reale è stato considerato un atto doloso finalizzato a sottrarsi al pagamento, configurando quindi la più grave ipotesi di evasione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Datori di Lavoro

Questa pronuncia ribadisce un principio cruciale per tutti i datori di lavoro: la forma non può prevalere sulla sostanza. Per poter legittimamente erogare un’indennità di trasferta esente da contribuzione, non è sufficiente nominarla come tale in busta paga. È indispensabile mantenere e conservare una documentazione analitica e rigorosa che provi, per ogni singolo spostamento, la sua effettività e la sua natura eccezionale rispetto alla normale sede di lavoro. In caso contrario, il rischio è quello di subire un accertamento con pesanti sanzioni per evasione contributiva, con l’impossibilità di difendersi in giudizio senza prove concrete e puntuali.

Quando un’indennità corrisposta a un lavoratore può essere considerata una vera indennità di trasferta esente da contributi?
Solo quando è legata a uno spostamento effettivo e temporaneo del lavoratore al di fuori della sua sede di lavoro abituale. Non può essere considerata tale se l’attività lavorativa stessa consiste intrinsecamente in spostamenti continui e non predeterminati, poiché in tal caso l’indennità diventa una componente stabile della retribuzione.

Su chi ricade l’onere di dimostrare che un’indennità è legata a una trasferta effettiva?
L’onere della prova ricade interamente sul datore di lavoro. Egli deve fornire documentazione idonea a dimostrare il nesso causale tra le somme erogate e le specifiche trasferte effettuate, come fogli di viaggio, note spese o ordini di servizio che attestino luoghi, date e chilometri percorsi.

Qual è la differenza tra omissione ed evasione contributiva secondo la Corte?
Si ha evasione contributiva quando il datore di lavoro occulta intenzionalmente rapporti di lavoro o elementi della retribuzione per non versare i contributi (come nel caso di specie, mascherando la retribuzione da indennità esente). Si ha, invece, una più lieve omissione contributiva quando il mancato pagamento è rilevabile direttamente dalle denunce o registrazioni obbligatorie già presentate dall’azienda.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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