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Indennità di sostituzione: no allo stipendio pieno

Una dirigente medico ha sostituito per anni un collega in comando, chiedendo la retribuzione piena. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27241/2024, ha stabilito che in questi casi spetta solo l’indennità di sostituzione prevista dal CCNL, e non la retribuzione superiore, anche se l’incarico si protrae oltre i termini previsti. La Corte ha chiarito che la sostituzione non configura lo svolgimento di mansioni superiori per la dirigenza sanitaria.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità di sostituzione: la Cassazione chiarisce quando non spetta lo stipendio pieno

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel pubblico impiego sanitario: la retribuzione spettante a un dirigente medico che sostituisce per un lungo periodo un collega. La pronuncia chiarisce che, anche in caso di sostituzioni prolungate, il dirigente ha diritto alla sola indennità di sostituzione prevista dal contratto collettivo, e non alla piena retribuzione del ruolo superiore. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I fatti del caso

Una dirigente medico di un’Azienda Sanitaria Locale veniva incaricata di dirigere un Distretto Sanitario dal 2006 al 2012. L’incarico le era stato conferito per sostituire la precedente direttrice, la quale era stata posta in “comando” presso un’altra azienda sanitaria fino al suo pensionamento. La dirigente sostituta, ritenendo che il suo incarico prolungato fosse equiparabile a una titolarità di fatto, citava in giudizio l’Azienda Sanitaria per ottenere il trattamento economico completo spettante a un direttore di struttura complessa.

Il Tribunale di primo grado respingeva la sua domanda. La Corte di Appello, invece, riformava la sentenza, condannando l’Azienda Sanitaria a pagare una cospicua somma a titolo di differenze retributive. Secondo i giudici d’appello, la lunga durata della sostituzione, senza che l’amministrazione avviasse le procedure per coprire il posto, giustificava il diritto alla retribuzione piena. L’Azienda Sanitaria, non condividendo questa interpretazione, ricorreva in Cassazione.

Il diritto alla sola indennità di sostituzione secondo la Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Azienda Sanitaria, ribaltando la decisione della Corte d’Appello. Il punto centrale della controversia era stabilire se la sostituzione di un dirigente in “comando” potesse essere assimilata a una reggenza per posto vacante, dando così diritto alla retribuzione superiore.

La Suprema Corte ha chiarito che l’istituto del “comando” rientra tra gli “altri impedimenti” previsti dall’art. 18 del CCNL di riferimento. Questa situazione è diversa dalla vacanza del posto, poiché il dirigente originario rimane titolare dell’incarico, sebbene temporaneamente assegnato ad altra sede. Di conseguenza, non si attivano i presupposti per una reggenza finalizzata alla copertura definitiva del ruolo.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha fondato la sua decisione su alcuni principi cardine del diritto del lavoro pubblico e della dirigenza sanitaria. In primo luogo, ha ribadito un orientamento ormai consolidato secondo cui, per la dirigenza sanitaria, la sostituzione avviene nell’ambito di un ruolo e livello unico. Pertanto, non si configura come svolgimento di “mansioni superiori” ai sensi dell’art. 2103 del codice civile, norma che non trova applicazione in questo contesto. La peculiarità della qualifica dirigenziale risiede nell’idoneità a ricoprire un incarico, non nello svolgimento di specifiche mansioni.

In secondo luogo, la disciplina contrattuale (CCNL) ha espressamente regolamentato la materia, prevedendo una specifica indennità di sostituzione come unico compenso economico per tale evenienza. Questa indennità è considerata adeguatamente remunerativa dalla stessa contrattazione collettiva. Il superamento dei termini massimi di sostituzione (sei o dodici mesi) ha una funzione “sollecitatoria”, ovvero serve a spingere l’amministrazione a bandire un concorso, ma il suo mancato rispetto non trasforma il diritto all’indennità in un diritto alla retribuzione piena.

Infine, la Corte ha richiamato il principio di onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti (art. 24, D.Lgs. 165/2001), secondo cui il trattamento economico remunera tutte le funzioni e i compiti attribuiti. Questo principio, unito alla previsione specifica del CCNL, esclude la possibilità di rivendicare ulteriori compensi non previsti.

Conclusioni

La sentenza della Corte di Cassazione stabilisce un principio chiaro: un dirigente medico che sostituisce un collega assente per “comando”, anche per un periodo molto lungo, ha diritto esclusivamente all’indennità di sostituzione e non al trattamento economico completo del dirigente sostituito. La pronuncia rafforza l’autonomia della contrattazione collettiva nel definire la retribuzione dei dirigenti e conferma la specificità del loro status, che non è assimilabile a quello degli altri dipendenti per quanto riguarda le mansioni superiori. La decisione offre quindi un importante punto di riferimento per le amministrazioni sanitarie e per i dirigenti, chiarendo i limiti e i diritti economici legati agli incarichi di sostituzione.

Un dirigente che sostituisce per anni un collega in comando ha diritto allo stipendio pieno?
No. Secondo la Corte di Cassazione, ha diritto solo alla specifica indennità di sostituzione prevista dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), anche se l’incarico si protrae a lungo.

Perché la sostituzione di un dirigente in comando non dà diritto alla retribuzione piena?
Perché il “comando” è considerato un “altro impedimento” temporaneo e non una “vacanza del posto”. Inoltre, per la dirigenza sanitaria, la sostituzione avviene nell’ambito del medesimo ruolo e livello unico, quindi non si configura come svolgimento di “mansioni superiori” che darebbero diritto a una retribuzione maggiore.

Il superamento del termine massimo di 6 o 12 mesi per la sostituzione cambia qualcosa?
No. La Corte ha chiarito che il superamento di questi termini ha solo una funzione sollecitatoria per l’amministrazione (cioè la spinge a coprire il posto), ma non legittima la richiesta del dirigente sostituto di ottenere l’intero trattamento economico del sostituito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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