Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4390 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 4390 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30375/2018 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELL’RAGIONE_SOCIALE in persona del Ministro p.t., PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE p.t.
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1090/2018 depositata il 16/04/2018, RG NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Napoli ha accolto in parte l’appello proposto da NOME COGNOME, e in parziale riforma dell’impugnata sentenza ha dichiarato il diritto della stessa a percepire la retribuzione per lavoro straordinario a partire dal mese di maggio 2009, nella misura corrispondente alla categoria F7, e per l’effetto ha condannato il RAGIONE_SOCIALE dell’interno al pagamento delle differenze retributive relative allo straordinario svolto dalla lavoratrice a far data da maggio 2009, nella misura corrispondete alla categoria F7, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme rivalutate, dalla data di maturazione del diritto al saldo effettivo.
Il giudice d’appello rigettava la domanda della lavoratrice volta a ottenere l’indennità di amministrazione stabilita per i dipendenti della RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) dall’art. 85 del CCNL 17 maggio 2004 del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, prospettandone il carattere non accessorio, in quanto corrisposta mensilmente e con carattere di continuità.
La ricorrente, dipendente della PCM dal maggio 2009, era stata comandata presso la Prefettura di Avellino.
Da tale data, quindi, il trattamento economico fondamentale era rimasto a carico della RAGIONE_SOCIALE,
mentre il trattamento economico accessorio era stato posto a carico del RAGIONE_SOCIALE, e per tale trattamento era stata applicata la disciplina dettata per il RAGIONE_SOCIALE ministeri.
La Corte d’Appello ha affermato che la suddetta indennità costituisce trattamento accessorio, in quanto soggetto a decurtazione in caso di assenze, esclusa dalle voci retributive che compongono la tredicesima mensilità, ed inoltre computabile ai fini pensionistici in quota B e non in quota A.
La natura accessoria di tale indennità faceva sì che, in caso di comando, come nella specie, la stessa spettasse, se e nella misura in cui fosse stata prevista per i dipendenti del RAGIONE_SOCIALE presso il quale il dipendente è comandato.
Pertanto, l’indennità di amministrazione TARGA_VEICOLO non poteva essere riconosciuta alla lavoratrice.
Per la cassazione della sentenza di appello, nella parte in cui è stato negato il diritto alla percezione dell’indennità di presidenza (già di amministrazione), prevista per i dipendenti della RAGIONE_SOCIALE dall’art. 85 del CCNL, ricorre la lavoratrice prospettando quattro motivi di ricorso.
Le Amministrazioni non si sono costituite.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 56 dPR n. 3 del 1957, del comma 5 -bis dell’art. 9 del d.lgs. n. 303 del 1999, RAGIONE_SOCIALE artt. 70 e 71 del d.lgs. n. 165 del 2001, del CCNL quadro 20062009, dell’art. 100 CCNL PCM 2002 -2005, dell’art. 85 del CCNL 2002 -2005. Art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Assume la ricorrente che, in ragione della richiamata disciplina dell’istituto del distacco, il lavoratore continua ad essere dipendente dell’Ente di appartenenza e il servizio in posizione di comando è
equiparato al servizio prestato presso l’Amministrazione di apparenza ai fini giuridici e di carriera.
Dunque, ad avviso della ricorrente va mantenuto il trattamento economico fondamentale, in cui si inscrive l’indennità di amministrazione e trova applicazione la contrattazione collettiva dell’Amministrazione di appartenenza e dunque il CCNL RAGIONE_SOCIALE PCM e la relativa indennità di amministrazione.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 5 -ter, del d.lgs. n. 303 del 1999, dell’art. 85 del CCNL del 17 maggio 2004 del CNNL RAGIONE_SOCIALE PCM 2002-2005. Art. 360, n.3, cod. proc. civ.
Ricorda la lavoratrice che l’art. 9, comma 5 -ter , cit., sia pure per fattispecie inversa, prevede, tra l’altro che il personale del comparto Ministeri chiamato a prestare servizio in posizione di comando o di fuori ruolo presso la RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, mantiene il trattamento economico fondamentale delle amministrazioni di appartenenza, compresa l’indennità di amministrazione.
L’art. 85 del CCNL RAGIONE_SOCIALE prevede l’indennità di presidenza che costituisce un compenso annuo, fisso e retributivo che riveste carattere di generalità e continuità, e dalla previsione contrattuale non si evincono distinzioni tra trattamento fondamentale ed accessorio. Una diversa soluzione darebbe luogo a reformatio in pejus .
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 57 e 74, comma 9, del CCNL Comparo PCM 2002-2005. Art. 360, n. 3, cod. proc. civ. Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in discussione tra le parti. Art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
L’art. 57, comma 9, del CCNL PCM, stabilisce che l’assegnazione temporanea non pregiudica la posizione del
dipendente agli effetti della maturazione dell’anzianità lavorativa, dei trattamenti di fine lavoro e di pensione. Tale questione era stata devoluta al giudice di appello ma non era stata trattata, così come quella della struttura della retribuzione.
Preliminarmente va rilevata l’inammissibilità delle censure di omesso esame.
È applicabile alla fattispecie l’art. 360 n. 5, cod. proc. civ., nel testo modificato dalla legge 7 agosto 2012 n.134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge.
Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, ‘in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, non
ravvisabili nella specie, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’, sicché quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.
Va anche rilevato che l”omesso esame’ va riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio’ ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’ che, pertanto, risultano irrilevanti, come nella specie con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (si v., ex multis , Cass., n. 2268 del 2022).
Le restanti censure contenute nel primo, secondo e terzo motivo di ricorso devono essere trattate congiuntamente in ragione della loro connessione.
Le stesse non sono fondate.
L’art. 56 del dPR n. 3 del 1957 prevede: ‘L’impiegato di ruolo può essere comandato a prestare servizio presso altra amministrazione statale o presso enti pubblici, esclusi quelli sottoposti alla vigilanza dell’amministrazione cui l’impiegato appartiene.
Il comando è disposto, a tempo determinato e in via eccezionale, per riconosciute esigenze di servizio o quando sia richiesta una speciale competenza. (…)’
Nel comando, dunque, fermo restando il rapporto organico che continua ad intercorrere tra il dipendente e l’ente di appartenenza, si modifica il rapporto di servizio, atteso che il dipendente pubblico è inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale, che gerarchico-disciplinare, nell’amministrazione di destinazione, a favore della quale presta la propria opera ( ex multis , Cass. 13482 del 2018, n. 32123 del 2022).
La nozione di comando sopra esposta descrive il fenomeno per cui il pubblico impiegato, titolare di un posto di ruolo presso una Pubblica Amministrazione, viene temporaneamente a prestare servizio presso altra Amministrazione o presso altro ente pubblico e importa, da un lato, l’obbligo di prestare servizio presso un ufficio od un ente diverso da quello di appartenenza e, dall’altro, la dispensa dagli obblighi di servizio verso l’Amministrazione di origine.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che nel comando che determina una dissociazione fra titolarità del rapporto d’ufficio, che resta immutata, ed esercizio dei poteri di gestione – si modifica il c.d. rapporto di servizio, atteso che il dipendente è inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nell’amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera (Cass., Sez. L, n. 13482 del 29 maggio 2018). In linea generale non vi è alcuna alterazione del rapporto di lavoro, ma, comunque, si verifica una rilevante modificazione in senso oggettivo dello stesso, perché il dipendente è destinato a prestare servizio, in via ordinaria e abituale, presso un’organizzazione diversa da quella di appartenenza.
Esso è caratterizzato, nell’ipotesi tipica, dalla natura provvedimentale dell’atto che lo ha disposto, di competenza del soggetto nella cui organizzazione il dipendente viene inserito, e non del soggetto datore di lavoro, dall’interesse del quale prescinde .
Per l’esattezza, nel pubblico impiego privatizzato le esigenze che rilevano, con riguardo al comando, sono quelle dell’Amministrazione di destinazione (Cass., Sez. L, n. 12100 del 16 maggio 2017) che, pertanto, assume i poteri di gestione del rapporto di l avoro in forza dell’imperatività del provvedimento: ne deriva che non possono gravare sul datore di lavoro di provenienza gli oneri economici direttamente connessi all’attività prestata presso l’amministrazione di destinazione, titolare dell’interesse prim ario al
comando, salva una diversa e specifica previsione di legge che diversamente disponga (Cass., Sez. L, n. 17842 dell’8 settembre 2005; Cass., 25238 del 2014, e giurisprudenza ivi richiamata).
Il collocamento nella posizione di comando va considerato un istituto di carattere straordinario. La possibilità di disporre il comando di un impiegato presso altra Amministrazione statale o presso enti pubblici è prevista in via eccezionale e di fronte ad esigenze che ne giustifichino l’adozione.
In conclusione, questa Corte ha stabilito che caratteristiche del comando sono le seguenti: a) coinvolgimento di Pubbliche amministrazioni differenti; b) rispondenza a ll’interesse della Pubblica amministrazione presso la quale il lavoratore è comandato; c) effettuazione sulla base di provvedimento amministrativo della P.A. beneficiaria (vedi, di recente: Cass. n. 1471 del 2024).
Nel pubblico impiego, per attribuire voci di salario accessorio anche al personale in posizione di comando (o distacco), occorre rinvenirne la legittimazione nella negoziazione collettiva di settore applicabile al rapporto di lavoro propria dell’ente distaccante, in quanto il dipendente comandato o distaccato non viene inquadrato nell’Amministrazione di destinazione e il suo rapporto di lavoro originario non viene meno, né muta per effetto del distacco o del comando la sua regolamentazione a livello legale e/o contrattuale (si v., C.d.S., sentenza n. 9188 del 2022).
Questa Corte ha già affermato che l’indennità di amministrazione è una voce della retribuzione accessoria corrisposta, seppure con importi diversi, da tutte le amministrazioni del comparto Ministeri senza essere condizionata dalla realizzazione di obiettivi, che è fissa nell’ammontare in relazione a ciascuna posizione di inquadramento, ha carattere continuativo per dodici mensilità (Cass., n. 7715 del 2023, n. 36437 del 2022).
L’art. 85 del CCNL PCM prevede che ‘Con decorrenza 1° gennaio 2002 è istituita l’indennità di RAGIONE_SOCIALE, corrisposta per dodici mensilità, con carattere di generalità e continuità. Essa assorbe l’indennità di amministrazione prevista dai CCNNLL del 16 febbraio 1999 e del 21 febbraio 2001 di cui conserva le medesime caratteristiche’.
L’art. 57, punto 11, CCNL PCM stabilisce che ‘L’amministrazione che utilizza il personale in assegnazione temporanea ove dotata di autonomia finanziaria rimborsa alla RAGIONE_SOCIALE l’onere relativo al trattamento fondamentale. Negli altri casi detto trattamen to rimane a carico dell’amministrazione di appartenenza. Il trattamento accessorio è comunque a carico dell’amministrazione di destinazione’.
In ragione del richiamato quadro normativo, della contrattazione collettiva e giurisprudenziale, correttamente la Corte d’Appello ha escluso che dovesse essere corrisposta alla lavoratrice, in posizione di comando presso la Prefettura di Avellino, l’ind ennità di presidenza PCM, in quanto voce accessoria della retribuzione.
Con il quarto motivo di ricorso è prospettata violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 503 del 1992, della legge n. 335 del 1995, dell’art. 15 della legge n. 724 del 1994, dell’art. 85 del CCNL PCM. Art. 360. n.3, Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in discussione tra le parti. Art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
La ricorrente ricorda le riforme del sistema pensionistico e rileva che dal 1° gennaio 1996 tutti gli emolumenti corrisposti al lavoratore (tranne quelli di cui all’art. 12 legge 153 del 1969) sia che attengano al trattamento fondamentale che a quello accessorio, concorrono a formare la base contributiva. L’indennità di amministrazione rientra nella base pensionabile, di talché non ha rilievo la distinzione tra trattamento fondamentale e trattamento accessorio.
Elementi a sostegno di tale prospettazione emergevano dalla giurisdizione contabile, e da dalla nota dell’Amministrazione del tesoro richiamata da quest’ultima, ma non erano stati valorizzati dal giudice di appello.
11. Il motivo è inammissibile.
Va considerato che la ratio decidenti della sentenza di appello, come si è sopra osservato, è costituita dal carattere di retribuzione accessoria della indennità di presidenza, di talché l’affermazione che ‘è inoltre computabile ai fini pensionistici in quota B e non in quota B’ costituisce un mero obiter e sono inammissibili per difetto di interesse le censure relative alla base pensionabile e al calcolo della pensione (cfr., Cass., n. 30354 del 2017).
Il ricorso deve essere rigettato.
Nulla spese in mancanza della costituzione delle Amministrazioni.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 gennaio