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Indennità di perequazione: no a retribuzione di posizione

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’indennità di perequazione per i dipendenti universitari in servizio presso aziende ospedaliere non include automaticamente la retribuzione di posizione. Tale emolumento è legato all’effettivo svolgimento di un incarico dirigenziale, che i ricorrenti non ricoprivano. La Corte ha così confermato un orientamento consolidato, distinguendo tra trattamento economico fondamentale e componenti accessorie legate a specifiche funzioni.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità di perequazione: non include la retribuzione di posizione senza incarico

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 18967 del 2024, affronta una questione cruciale per il personale universitario che presta servizio presso le aziende ospedaliere: i limiti e la composizione della cosiddetta indennità di perequazione. Questo emolumento, nato per equiparare il trattamento economico del personale universitario a quello del personale sanitario, non si estende automaticamente a tutte le voci retributive, come la retribuzione di posizione, se non vi è un effettivo conferimento di un incarico dirigenziale. Analizziamo la decisione della Suprema Corte.

I fatti di causa

Un gruppo di collaboratori tecnici di un’università, in servizio presso un’azienda ospedaliera universitaria, aveva ottenuto in un precedente giudizio il riconoscimento del diritto all’equiparazione economica con i dirigenti sanitari non medici. A seguito dell’inadempimento dell’amministrazione nel corrispondere le somme maturate successivamente, i lavoratori avevano avviato un nuovo contenzioso per la quantificazione dell’indennità integrativa per il periodo successivo al 31 dicembre 2003.

Il Tribunale aveva accolto la domanda, escludendo però le somme dovute a titolo di “retribuzione di posizione minima unificata”. La Corte d’Appello aveva confermato questa decisione, rigettando sia l’appello principale dei lavoratori che quello incidentale dell’Università. I lavoratori hanno quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la retribuzione di posizione minima unificata, a seguito delle evoluzioni contrattuali, dovesse essere considerata parte integrante del trattamento fondamentale, e quindi dovuta a prescindere dallo svolgimento di un incarico dirigenziale. L’ateneo, a sua volta, ha proposto ricorso incidentale eccependo la prescrizione dei crediti.

I limiti dell’indennità di perequazione

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 761/1979, norma che ha introdotto l’indennità di perequazione. La finalità di questa norma è quella di garantire parità di trattamento economico a parità di funzioni, mansioni e anzianità tra personale universitario e personale ospedaliero.

La Corte di Cassazione, richiamando un consolidato orientamento delle Sezioni Unite (sentenze n. 9279/2016 e n. 8521/2012), ha ribadito un principio fondamentale: l’equiparazione non è assoluta e automatica per ogni voce retributiva. Essa trova un limite logico e giuridico in quelle componenti del trattamento economico che non derivano dal semplice inquadramento contrattuale, ma sono strettamente correlate all’effettivo conferimento di incarichi specifici, come quelli dirigenziali.

La retribuzione di posizione, sia nella sua parte fissa che in quella variabile, rientra in questa categoria. È un emolumento che remunera la responsabilità e la complessità associate a un incarico dirigenziale. Pertanto, non può essere riconosciuta al personale universitario che, pur equiparato economicamente, non ricopre formalmente e sostanzialmente tale incarico.

L’evoluzione contrattuale non cambia la natura della retribuzione

I ricorrenti sostenevano che le successive riforme contrattuali avessero trasformato la retribuzione di posizione minima unificata in una componente del trattamento fondamentale. La Suprema Corte ha respinto questa tesi, affermando che l’evoluzione della disciplina contrattuale non può alterare la ratio della norma perequativa. La distinzione tra trattamento fondamentale (legato alla qualifica) e trattamento accessorio (legato all’incarico) rimane valida. Riconoscere la retribuzione di posizione senza un incarico significherebbe andare oltre lo scopo dell’equiparazione, creando un’ingiustificata locupletazione.

La questione della prescrizione

La Corte ha rigettato anche il ricorso incidentale dell’Università relativo alla prescrizione. La giurisprudenza costante afferma che la proposizione di una domanda giudiziale per l’accertamento di un diritto (in questo caso, il diritto all’equiparazione) ha un’efficacia interruttiva della prescrizione che si estende a tutti i diritti che ne sono conseguenza diretta e logica, come le differenze retributive maturate nel tempo.

L’effetto interruttivo perdura per tutta la durata del processo, fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce quel diritto. Di conseguenza, il termine di prescrizione per i crediti retributivi successivi non poteva decorrere fino a quando la prima sentenza non è diventata definitiva. Solo da quel momento la prescrizione ha potuto iniziare nuovamente a correre. Su questa base, il ricorso dell’Università è stato ritenuto infondato.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha motivato il rigetto del ricorso principale dei lavoratori ribadendo che l’intento perequativo dell’art. 31 del d.P.R. n. 761/1979 si scontra con un limite invalicabile: non si possono estendere automaticamente emolumenti che presuppongono l’effettivo svolgimento di un incarico direttivo. La giurisprudenza delle Sezioni Unite è chiara nel precisare che nell’indennità di perequazione non possono essere inclusi automaticamente gli emolumenti collegati al conferimento di un incarico. La retribuzione di posizione è strettamente connessa alla funzione dirigenziale e alla graduazione delle funzioni, all’assegnazione di obiettivi e alla valutazione dei risultati; elementi estranei alla posizione dei ricorrenti, quali collaboratori tecnici universitari. Anche un’interpretazione fornita dall’ARAN, citata dai ricorrenti, è stata ritenuta non pertinente, poiché si riferiva ai dirigenti sanitari del Servizio Sanitario Nazionale e non al personale universitario “strutturato” in esso ai soli fini economici. Per quanto riguarda il ricorso incidentale, la Corte ha spiegato che la domanda iniziale volta ad accertare il diritto all’equiparazione aveva interrotto la prescrizione per tutti i crediti conseguenti, i quali sono rimasti “congelati” fino alla definizione del giudizio principale.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma un principio di equilibrio fondamentale: l’equiparazione economica non significa identità di status giuridico ed economico. L’indennità di perequazione serve a colmare un divario salariale a parità di funzioni, ma non può creare un diritto a ricevere compensi per responsabilità e ruoli che non si ricoprono. La decisione ribadisce la distinzione tra la retribuzione legata alla qualifica e quella legata all’incarico, un pilastro del diritto del lavoro pubblico. Infine, la pronuncia sulla prescrizione chiarisce l’ampio effetto interruttivo della domanda giudiziale, tutelando i diritti dei lavoratori che discendono da un accertamento giudiziale complesso e protratto nel tempo.

L’indennità di perequazione per il personale universitario in ospedale include tutte le voci retributive del personale sanitario equivalente?
No, l’indennità di perequazione non si estende automaticamente a tutte le componenti retributive. Sono esclusi quegli emolumenti che sono strettamente legati all’effettivo conferimento e svolgimento di uno specifico incarico, come quello dirigenziale.

La retribuzione di posizione minima unificata è dovuta anche senza un incarico dirigenziale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la retribuzione di posizione, anche nella sua parte fissa, è un emolumento connesso allo svolgimento della funzione dirigenziale. Pertanto, non spetta al personale che, pur equiparato economicamente, non ricopre tale incarico.

Una causa per l’accertamento di un diritto interrompe la prescrizione per i crediti futuri basati su quel diritto?
Sì, la proposizione di una domanda giudiziale per l’accertamento di un diritto (diritto stipite) interrompe la prescrizione per tutti i diritti che ne sono una conseguenza logico-giuridica. L’effetto interruttivo si protrae fino a quando la sentenza che accerta il diritto non diventa definitiva (passaggio in giudicato).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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