Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18967 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18967 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 31415/2019 proposto da:
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi da ll’AVV_NOTAIO e domiciliati per legge in Roma, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv ocatura generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente e ricorrente incidentale-
nonché
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata- avverso la SENTENZA della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, n. 163/2019, pubblicata il 23 aprile 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In seguito ad alcune sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE del 2011 passate in giudicato con l’RAGIONE_SOCIALE, era stato riconosciuto a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, dipendenti dell’RAGIONE_SOCIALE, in servizio presso la citata RAGIONE_SOCIALE, collaboratori tecnici in origine ex VII qualifica RAGIONE_SOCIALE, oggi categoria C, e, in seguito, ex VIII qualifica RAGIONE_SOCIALE, oggi categoria RAGIONE_SOCIALE D, il diritto all’equiparazione economica al dirigente RAGIONE_SOCIALE non medico ex art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979, oltre al pagamento delle differenze retributive maturate dal 1° luglio 1998 e sino alla data di deposito del ricorso.
In ragione dell’inadempimento delle amministrazioni per le somme successivamente maturate, gli interessati avevano proposto un secondo contenzioso, al fine della quantificazione dell’indennità integrativa ai sensi del citato art. 31 per il periodo successivo al 31 dicembre 2003.
Tale importo era stato determinato dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 2501/2016, con esclusione delle somme dovute a titolo di retribuzione di posizione minima unificata.
RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE hanno proposto separati appelli.
I lavoratori si sono costituiti e hanno proposto appello incidentale.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, riuniti i ricorsi, con sentenza n. 163/2019, ha rigettato tutti gli appelli.
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso e ha proposto ricorso incidentale sulla base di un motivo.
RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
I ricorrenti principali hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione de ll’art. 40 del CCNL dell’8 giugno 2000, dirigenza Area III e l’inefficacia della relativa norma a partire dal 31 dicembre 2003.
Con il secondo motivo contestano pure la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 1362 e 1363 c.c. e RAGIONE_SOCIALE artt. 40 CCNL 8 giugno 2000 e 44 e 45 del CCNL 2002-2005, dirigenza RAGIONE_SOCIALE III.
Con il terzo motivo si dolgono della violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE art. 3 e 6, comma 9, del CCNL 5 luglio 2006, biennio 2004-2005, dirigenza RAGIONE_SOCIALE III.
Con il quarto motivo contestano la violazione e falsa applicazione dell’art. 33, lett. a, dirigenza RAGIONE_SOCIALE III, dell’art. 44 CCNL 2005 dirigenza RAGIONE_SOCIALE III e dell’art. 3 del CCNL 2006.
Essi affermano che, a partire dal 31 dicembre 2003, la retribuzione di posizione minima unificata sarebbe stata parte integrante del trattamento fondamentale indipendentemente dallo svolgimento RAGIONE_SOCIALE incarichi dirigenziali, come sarebbe emerso dagli artt. 33 e 44 del CCNL 2002/2005 dirigenza RAGIONE_SOCIALE III e dall ‘art. 3 CCNL 5 luglio 2006.
Non sarebbe stato possibile giungere a una differente interpretazione in base agli artt. 44 e 45 CCNL 2002-2005, dirigenza RAGIONE_SOCIALE III, e tale tesi sarebbe stata suffragata dall’art. 3, comma 9, CCNL 5 luglio 2006.
In realtà, dal 1° gennaio 2004 la voce retributiva oggetto di causa avrebbe assunto una nuova denominazione (retribuzione di posizione minima unificata) e una nuova disciplina, non rilevando più il conferimento dell’incarico dirigenziale.
Le doglianze, che possono essere trattate congiuntamente, stante la stretta connessione, sono infondate.
Preliminarmente, occorre ricostruire, alla stregua dei precedenti giurisprudenziali di questa S.C., chiamata più volte ad affrontare analoghe questioni di diritto (in particolare, Sezioni Unite n. 9279 del 9 maggio 2016 e Sezioni Unite n. 8521 del 29 maggi o 2012), l’assetto normativo vigente in materia.
La legge n. 213 del 1971 ha stabilito all’art. 4 che al personale docente in servizio presso cliniche ed istituti universitari convenzionati con il RAGIONE_SOCIALE, gestiti dalle università, fosse attribuita un’indennità tale da equiparare il trattamento economico a quello in godimento del personale ospedaliero di pari funzioni, mansioni ed anzianità (c.d. indennità COGNOME).
L’art. 1 della legge n. 200 del 1974 ha esteso tale indennità al personale non medico (c.d. indennità piccola COGNOME).
L’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 (avente ad oggetto lo stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali) ha stabilito che ‘al personale universitario che presta servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e con le unità sanitarie locali, anche se gestiti direttamente dalle università, è corrisposta un’indennità, non utile ai fini previdenziali e assistenziali, nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzioni, mansioni e anzianità’ (comma 1); ha previsto, altresì, che il personale universitario assumesse diritti e doveri pari a quelli del personale di pari o corrispondente qualifica del ruolo regionale, secondo modalità stabilite negli schemi tipo di convenzione di cui all’art. 39 della legge n. 833 del 1978, e che, ‘ tenuto conto RAGIONE_SOCIALE obblighi derivanti dal suo particolare stato giuridico, nei predetti schemi sarà stab ilita in apposite tabelle l’equiparazione del personale universitario a quello delle unità sanitarie locali ai fini della corresponsione della indennità di cui al comma 1 ‘ (comma 4).
Il d.i. 9 novembre 1982, recante l’approvazione RAGIONE_SOCIALE schemi tipo di convenzione tra regione e università e tra università e unità sanitaria locale, ha disposto, poi, che, per il personale universitario non medico, la corrispondenza con quello in servizio presso le unità sanitarie locali avvenisse secondo le indicazioni contenute nell’allegata tabella D (art. 7).
Le prescrizioni dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 hanno conservato la loro vigenza anche successivamente alla privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico ed all’entrata in vigore del d.lgs. n. 165 del 2001, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro all e dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Difatti, l’art. 53 del CCNL 1994 -1997 per il personale dell’RAGIONE_SOCIALE ha confermato l’applicabilità dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 ‘fino alla ridefinizione dell’ordinamento come previsto dall’art. 50…’.
A detto art. 53 è stato successivamente aggiunto, in data 25 marzo 1997, un comma 3 in virtù del quale le parti si sono impegnate alla ridefinizione delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale di cui al comma 1 e
quello del personale del SSN, al fine di assicurare l’omogeneità dei trattamenti sul territorio RAGIONE_SOCIALE e l’inserimento delle nuove figure professionali; nelle more, le parti si sono date atto che venivano conservate le indennità di cui all’art. 31 del d.lgs. n. 761 del 1979.
Solo con il CCNL 2002-2005 (sottoscritto il 27 gennaio 2005) è stata elaborata una tabella unica nella quale il personale universitario in servizio presso le RAGIONE_SOCIALE è stato inquadrato per fasce, sulla base delle categorie professionali ed economiche in atto nel SSN (art. 28 tab. A).
Dalla data della sottoscrizione di questo contratto l’indennità di cui all’art. 31 è corrisposta sulla base delle nuove corrispondenze indicate dalla tabella.
Sulla base di queste disposizioni contrattuali, si è ritenuto che l’art. 53 cit. avesse congelato provvisoriamente i criteri di equiparazione in atto e che tale assetto fosse stato ribadito dall’art. 51 del CCNL 1998 -2001, con la conseguenza che l’art. 31 del d.P.R. n.761 del 1979 continuava ad applicarsi transitoriamente.
Ad avviso della giurisprudenza di questa Corte di cassazione è, dunque, direttamente all’art. 31 che deve farsi riferimento per determinare i parametri di attribuzione dell’indennità perequativa nei periodi precedenti il CCNL del 2005 ed è alla tabella all. D al decreto interministeriale 9 novembre 82, recante gli schemi tipo di convenzione, che deve farsi ulteriore riferimento per quel che riguarda il criterio di equiparazione.
Come affermato dalle sentenze delle Sezioni unite n. 8521 del 29 maggio 2012 e n. 9279 del 9 maggio 2016, tale equiparazione fra le qualifiche non ha carattere rigido, bensì dinamico e deve essere riferita anche ai mutamenti apportati all ‘ inquadramento del personale, universitario e RAGIONE_SOCIALE, dai contratti collettivi.
In sintesi, anche dopo la privatizzazione del pubblico impiego, l’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 ha conservato la sua efficacia per effetto della contrattazione collettiva sino all’entrata in vigore dell’art. 28 del CCNL 27 gennaio 2005 per il personale del comparto università (quadriennio 2002- 2005).
La fonte dell’equiparazione deve essere individuata nella tabella allegata al d.i. 9 novembre 1982, norma che pone in automatica correlazione – ai soli fini economici – le qualifiche RAGIONE_SOCIALE e quelle RAGIONE_SOCIALE, prescindendo dal concreto esercizio delle mansioni corrispondenti e dal possesso del titolo di studio necessario per il loro effettivo svolgimento. Il meccanismo di equiparazione delle retribuzioni tra il personale universitario e quello RAGIONE_SOCIALE ha carattere dinamico, tale per cui il mutamento di una delle originarie qualifiche che comporti effetti sulla retribuzione ripercuote automaticamente i suoi effetti anche sull’altra.
L’art. 28 del menzionato CCNL 27 gennaio 2005 dispone, al comma 6, che ‘Sono fatte salve, con il conseguente inserimento nella colonna A della precedente tabella, le posizioni giuridiche ed economiche, comunque conseguite, del personale già in servizio nelle A.O.U. alla data di entrata in vigore del presente C.C.N.L.’ e, al comma 7, che ‘I benefici economici derivanti dall’applicazione dell’art. 51, comma 4, ultimo capoverso del C.C.N.L. 9 agosto 2000 e art. 5, comma 3, del C.C.N.L. 13 maggio 2003, sono conservati «ad personam», salvo eventuale successivo riassorbimento’.
Ciò posto, si rileva che non è più contestato il diritto dei ricorrenti ad ottenere la c.d. indennità COGNOME nella misura occorrente per equiparare il loro trattamento economico complessivo a quello dei dirigenti sanitai di primo livello.
In ordine a siffatto trattamento, a loro spettante, occorre chiarire, però, che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 9279 del 9 maggio 2016, hanno avuto modo di precisare che, nell’ambito della indennità di perequazione , non possono essere inclusi automaticamente gli emolumenti che presuppongono o sono collegati all’effettivo conferimento di un incarico direttivo.
Le Sezioni Unite, riferendosi specificamente alla questione della inclusione nell’indennità di perequazione spettante al personale universitario non docente in servizio presso strutture sanitarie (‘indennità COGNOME‘) dell’indennità di posizione dei dirigenti del comparto sanità (oggetto della presente lite), nell’affermare che tale trattamento può essere riconosciuto soltanto se collegato all’effettivo conferimento di un incarico direttivo, hanno -tra l’altro – osservato
che l’art. 31, in precedenza citato, che vincola la corresponsione della c.d. indennità COGNOME all’equiparazione del personale universitario a quello del SSN, a parità di mansioni, funzioni e anzianità, contempla un presupposto che induce ad escludere l’applicazione di un’equiparazione automatica delle retribuzioni estesa anche ad indennità spettanti unicamente in relazione al conferimento di incarichi specifici. In altre parole, l’intento perequativo del trattamento economico del personale universitario rispetto a quello del personale RAGIONE_SOCIALE, che costituisce la ratio legis dell’art. 31 e che viene realizzato con la previsione di una indennità (appunto perequativa) che fa riferimento al trattamento complessivo spettante ai dipendenti del SSN e che si applica in modo sostanzialmente automatico trova un limite logico, oltre che giuridico, in quelle componenti del trattamento economico complessivo del personale RAGIONE_SOCIALE che non dipendono direttamente ed esclusivamente dall’inquadramento contrattuale, ma sono erogate in correlazione al conferimento di incarichi come quello dirigenziale.
Questo approccio è stato coerentemente ribadito anche in seguito dalla RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE., la quale ha ancora affermato che l’indennità c.d. COGNOME deve essere determinata, in caso di equiparazione tra l’originario VIII livello di cui alla legge n. 312 del 1980 (relat ivo ai dipendenti dell’RAGIONE_SOCIALE) e il IX livello, poi divenuto 1° livello dirigenziale (relativo ai dipendenti ospedalieri), senza includere automaticamente nel criterio di computo la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità, la quale può essere riconosciuta solo se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo (Cass., Sez. L, n. 7737 del 28 marzo 2018).
Pertanto, deve ritenersi che sia ormai consolidato l’indirizzo giurisprudenziale per il quale l’indennità di posizione dei dirigenti del comparto sanità può essere riconosciuta soltanto se vi è stato un effettivo conferimento di un incarico direttivo (Cass., SU, n. 9279 del 9 maggio 2016; Cass., Sez. L, n. 5142 del 27 febbraio 2024; Cass., Sez. L, n. 7737 del 28 marzo 2018). In particolare, è stato evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità che l’indennità c.d. COGNOME opera ai soli fini retributivi e senza che debbano confluire in modo automatico nell’indennità di perequazione tutte le voci che, secondo la previsione delle parti
collettive, compongono la «struttura della retribuzione della qualifica unica di dirigente». Infatti, a fronte dell’evoluzione RAGIONE_SOCIALE inquadramenti e RAGIONE_SOCIALE istituti contrattuali qui denunciati dal ricorrente, occorre tenere conto della ratio dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1971 che, in quanto finalizzata a perequare i dipendenti «a parità di mansioni, funzioni e anzianità», porta necessariamente a distinguere il trattamento tabellare dagli ulteriori emolumenti che, come l’indennità di posizione, parte fissa e variabile, risultano strettamente collegati al conferimento di un incarico direttivo», secondo le regole proprie del rapporto dirigenziale (graduazione delle funzioni, assegnazione obiettivi, valutazione dei risultati, etc.: in questo senso, Cass., Sez. L, n. 4982 del 2 marzo 2018, non massimata, sulla scia di Cass., SU, n. 9279 del 9 maggio 2016 e, poi, seguita da Cass., Sez. L, n. 7737 del 28 marzo 2018). La menzionata evoluzione della disciplina contrattuale dell’indennità di posizione e l’innegabil e distinzione fra trattamento fondamentale e trattamento accessorio riservato ai dirigenti non valgono a confutare i principi affermati dalla citata giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, fondati principalmente sulla necessità di tenere conto, nell’applicazione delle tabelle di comparazione, non solo del carattere dinamico e non statico delle stesse, ma anche delle finalità perseguite dalla norma perequativa, che, quanto alla individuazione delle singole voci, porta a distinguere quelle final izzate a compensare, a prescindere dall’incarico in concreto ricoperto, la professionalità propria del dipendente (rispetto alla quale la successiva evoluzione contrattuale non fa venir meno l’originario giudizio di equiparazione espresso nella tabella), da quelle strettamente connesse allo svolgimento della funzione dirigenziale, fra le quali si iscrive la retribuzione di posizione, pure nella parte fissa e non solo in quella varabile (Cass., Sez. L, n. 4982 del 2 marzo 2018, non massimata, e Cass., Sez. L, n. 28295 del 28 settembre 2022, in motivazione).
In aggiunta a quanto esposto, si osserva che questa sezione della S.C., con le ordinanze n. 21569 del 21 agosto 2019, n. 21568 del 21 agosto 2019 e n. 7826 del 29 marzo 2018, ha già rigettato, con riferimento al precedente giudizio di merito di cui sopra, analoga richiesta dei ricorrenti principali.
Per l’esattezza, ha negato spettasse loro anche la retribuzione minima di posizione (parte fissa e parte variabile) riconosciuta ai dirigenti del settore RAGIONE_SOCIALE, domandata sul rilievo che detta indennità costituisse una delle componenti strutturali del trattamento retributivo fondamentale dei dirigenti sanitari ex art. 35 del CCNL di comparto e non fosse legata all ‘ effettivo svolgimento dell ‘ incarico dirigenziale, ma al solo inquadramento nel ruolo. giustifica il rigetto.
Ciò perché l ‘ intento perequativo del trattamento economico del personale universitario rispetto a quello del personale RAGIONE_SOCIALE, che costituisce la ratio legis dell ‘ art. 31 e che viene realizzato con la previsione di una indennità (appunto perequativa) che fa riferimento al trattamento complessivo spettante ai dipendenti del SSN e che si applica in modo sostanzialmente automatico, trova un limite logico, oltre che giuridico, in quelle componenti del trattamento economico complessivo del personale RAGIONE_SOCIALE che non dipendono direttamente ed esclusivamente dall ‘ inquadramento contrattuale, ma sono erogate in correlazione al conferimento di incarichi come quello dirigenziale.
Nel fare questo ragionamento, le ordinanze appena citate hanno richiamato la menzionata sentenza delle Sezioni Unite n. 9279 del 9 maggio 2016, rappresentando come a questa si fosse ‘ uniformata la successiva giurisprudenza di questa Corte di cassazione (Cass. nn. 8357, 8356, 8355, 7826, 7825, 7824 del 2018, 20771/2018, 4631/2018, 20771/2018) ‘ .
Non meritano di essere condivise, quindi, le ragioni addotte dai ricorrenti a sostegno della loro ricostruzione.
In particolare, non ha pregio il contenuto delle note datate 29 aprile 2024 e depositate dai ricorrenti a sostegno della tesi per la quale la retribuzione di posizione minima unificata domandata nell’attuale giudizio sarebbe una voce del trattamento fondamentale, per tale motivo da erogare a prescindere dall’attribuzione di qualsivoglia incarico dirigenziale.
Il ricorrente menziona, in dette note, la clausola interpretativa ARAN/ OO.SS. del 12 gennaio 2021, resa ex art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001 in un procedimento analogo al presente, la quale precisa che la retribuzione di posizione minima, regolata dall’a rt. 33 del CCNL del 2005, quale parte del trattamento fondamentale, spetterebbe al dirigente a prescindere dall’incarico. Sarebbe stato chiarito, con riferimento alla posizione di un dirigente equiparato ex art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979, che ‘l’art. 3 3 comma 1, lett. a, n. 4, del CCNL dell’RAGIONE_SOCIALE III del 3.11.2005, parte normativa quadriennio 2002 -2005 parte economica biennio 2002-2003, con riferimento agli ex moduli funzionali DPR 384/1990, sanitari, va interpretata nel senso che la retribuzione di posizione minima unificata, che rientra nel trattamento fondamentale, è riconosciuta ed erogata anche al dirigente RAGIONE_SOCIALE ex modulo funzionale DPR 384/1990 che non sia titolare di alcun incarico, a condizione che i relativi oneri siano sostenuti a carico del pertinente fondo previsto dal contratto collettivo RAGIONE_SOCIALE‘.
Si tratta di una previsione che, però, non incide sulla presente decisione, atteso che, come già chiarito (Cass., Sez. L, n. 5142 del 27 febbraio 2024) essa si riferisce ai dirigenti sanitari del SSN la cui retribuzione di posizione minima sia a carico del pertinente fondo previsto dal contratto collettivo RAGIONE_SOCIALE.
Nella specie, invece, viene in questione la posizione di un dipendente dell’RAGIONE_SOCIALE solo ‘strutturato’ nel RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il quale non ricopre la qualifica di dirigente del detto RAGIONE_SOCIALE; inoltre, ai sensi dell’art . 31, comma 2, del d.P.R. n. 761 del 1979, le somme necessarie per la corresponsione dell’indennità di cui al comma 1 dell’appena citato art. 31 presente articolo sono a carico dei fondi assegnati alle regioni ai sensi dell’art. 51 della legge n. 833 del 1978 e sono versate, con le modalità previste dalle convenzioni, dalle Regioni alle RAGIONE_SOCIALE.
Le considerazioni dei ricorrenti non giustificano una modifica dell’indirizzo esposto, atteso che non si confrontano né con l’ontologica differenza esistente fra il collaboratore tecnico che non ha ab origine la qualifica di dirigente del SSN e i dirigenti sanitari né con la specificità della destinazione delle risorse attribuite alle Regioni e, poi, alle RAGIONE_SOCIALE.
2) Deve essere esaminato il ricorso incidentale dell’RAGIONE_SOCIALE la quale, con un unico motivo, ha contestato la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 2909, 2945 e 2948, n. 4, c.c. in quanto, nella specie, sarebbe intervenuta la prescrizione delle pretese avanzate dai ricorrenti principali per il periodo anteriore al quinquennio.
La doglianza va respinta.
Per costante giurisprudenza, la proposizione della domanda giudiziale ha efficacia interruttiva della prescrizione che si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi dell’art. 2945 c.c., con riguardo a tutti i diritti che si ricolleghino con stretto nesso di causalità a quel rapporto, senza che occorra che il loro titolare proponga, nello stesso o in altro giudizio, una specifica domanda diretta a farli valere, ed anche quando tale domanda non sia proponibile nel giudizio pendente, ove l’apprezzamento della consequenzialità logicogiuridica del diritto stipite, ai fini dell’individ uazione del rapporto logico-giuridico tra diritti, è rimesso al giudice di merito.
Conseguentemente, la domanda giudiziale di qualifica superiore interrompe la prescrizione del diritto alle differenze retributive consequenziali (Cass., Sez. L, n. 18570 del 4 settembre 2007).
Infatti, la proposizione di una domanda giudiziale determina l’interruzione della prescrizione con riguardo a tutti i diritti pretesi che si trovano in relazione di causalità, anche in via subordinata, con il rapporto unitario dedotto con l’istanza princip ale, assumendo rilievo l’unitarietà del fatto a cui sono ricollegate le varie domande, volte ad un’unitaria tutela, rispetto alla quale le singole azioni sono serventi (Cass., Sez. 3, n. 16120 del 7 giugno 2023). Pertanto, la prescrizione, interrotta con la proposizione della domanda giudiziale, non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio, estesa l’interruzione ai diritti che si trovano in relazione di causalità, anche in via subordinata, con il rapporto unitario dedotto con la domanda principale (Cass., Sez. L, n. 9542 del 9 aprile 2024).
Nella specie, risulta evidente che il riconoscimento del diritto all’equiparazione economica ex art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 nel ruolo dei dirigenti sanitari di
primo livello era il presupposto della condanna delle amministrazioni a corrispondere l’indennità integrativa in esame nella misura corretta per il periodo durante il quale i ricorrenti principali avevano prestato servizio.
Tale presupposto era lo stesso sia con riguardo alle pretese azionate con il primo giudizio sia in ordine a quelle maturate nel periodo successivo al 2003.
Il pagamento di queste ultime, in particolare, sarebbe addirittura già stato doveroso sulla base del semplice passaggio in giudicato del primo contenzioso davanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in quanto la successiva richiesta di tutela giudiziaria sarebbe servita solo ad ottenere una pronuncia di condanna in ragione dell’inadempimento a quello che era ormai un obbligo gravante sulle amministrazioni interessate.
Stando così le cose, deve ritenersi che, finché non è passato in giudicato l’accertamento del contenuto del rapporto controverso (il diritto all’equiparazione economica nei termini richiesti), dal quale discendevano tutti gli effetti economici desiderati dai lavoratori e a siffatto rapporto riconducibili con immediatezza (il pagamento dell’indennità per tutto il tempo in cui sarebbe spettata), la prescrizione dei diritti economici dei ricorrenti principali non poteva decorrere.
Una volta divenuto definitivo il menzionato accertamento, però, la medesima prescrizione poteva di nuovo essere computata, essendo venuto meno l’effetto interruttivo dell’originaria domanda giudiziale.
3) Il ricorso principale e quello incidentale sono rigettati.
Le spese di lite sono compensate ex art. 92 c.p.c., in ragione della reciproca soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 , si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera dei ricorrenti principali e dell’RAGIONE_SOCIALE, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
La Corte,
rigetta il ricorso principale e quello incidentale;
compensa le spese di lite;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza, a carico dei ricorrent i principali e dell’RAGIONE_SOCIALE , dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 10