Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8413 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8413 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 31/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5324-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2324/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/10/2020 R.G.N. 3088/2017;
Oggetto
Indennità di mobilità -contributi CIGS e settore terziario
R.G.N. 5324/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 15/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’a ppello di Roma ha respinto il gravame proposto da INPS avverso la sentenza di primo grado dichiarativa del diritto di COGNOME NOME a percepire l’indennità di mobilità richiesta, a seguito di licenziamento collettivo da RAGIONE_SOCIALE, con domanda dell’11/9/2014, da corri sponderle mediante versamento della differenza tra quanto dovuto a tale titolo negato in sede amministrativa per non avere l’azienda datrice versato la relativa aliquota contributiva di cui all’art. 16 L.223/91- e quanto provvisoriamente riconosciutole in sede amministrativa a titolo di indennità di disoccupazione ASPI.
La Corte territoriale, richiamata una propria precedente sentenza resa in un’identica controversia, ha ritenuto di estendere il trattamento salariale integrativo di CIGS, come previsto dall’art. 3 co.1 della Legge n. 92/2012 nel regime transitorio ratione temporis applicabile, anche ad imprese commerciali con oltre 50 dipendenti, ivi rientrando la società già datrice di lavoro della richiedente, benché non avesse versato la relativa aliquota contributiva in quanto esercente attività di ‘servizi alle imprese’, a fronte di una non contestata iscrizione della lavoratrice nelle liste di mobilità.
L’INPS ricorre per la cassazione della sentenza affidandosi a tre motivi, a cui COGNOME NOME resiste con controricorso.
All’udienza camerale del 15 novembre 2024 la Corte si è riservata di decidere.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo il ricorrente istituto censura, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, inerente alla circostanza che la società datrice, RAGIONE_SOCIALE non fosse tenuta a versare il contributo di solidarietà non essendo destinataria della normativa in materia di cassa integrazione guadagni straordinaria, non era cioè compresa fra le imprese, diverse dalle edili, incluse nella disciplina della legge n.223/1991; da un estratto contributivo prodotto sin dal primo grado risultava che alla società era stato attribuito un codice 70708 e che versava altri contributi, diversi da quello specifico di indennità di mobilità. Si tratterebbe, pertanto, di un error in procedendo su una circostanza che, ove esaminata, avrebbe condotto ad un esito diverso del giudizio.
Con il secondo motivo di impugnazione l’INPS deduce la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, co . 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 4, 5, 7, 12 e 16 della L. n. 223/1991, dell’art. 7, co.7, del D.L. n.148/1993 conv. in L. n.236/19 93, e dell’art. 3 co.1 L.n. 92/2012, dovendo ritenersi dal combinato disposto delle norme di cui alla L. n.223/1991 che l’indennità di mobilità spetti solo ai lavoratori delle imprese ammesse al trattamento di integrazione salariale che non siano in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi, e che la norma transitoria del comma 3bis dell’art. 12 L. 223/ 19 91, introdotta dall’art.3 della L.n.92/2012, non sia riferibile a tutte le imprese esercenti attività commerciali ricadenti nel settore terziario ma soltanto a quelle specificamente previste alle lett. a), b) c) -imprese commerciali con più di 50 dipendenti, agenzie di viaggi e turismo, imprese di vigilanza con più di 15 dipendenti-, nel cui
ambito non rientra l’attività di servizi all’impresa, esercitata da RAGIONE_SOCIALE
Con il terzo motivo l’INPS deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. con riferimento agli artt. 115, 116, 414, 416, 434, 436 c.p.c., per avere l’impugnata sentenza riconosciuto l’azionato diritto sull’errato presupposto della mancata contestazione degli elementi di fatto posti a fondamento della domanda, laddove non soltanto la richiedente non aveva fornito la prova della ricorrenza dei presupposti di legge per accedere alla indennità di mobilità, ma per contro l’istituto aveva invece dimostrato che la società datrice non rientrava nel campo di applicazione della CIGS in ragione del settore terziario esercitato.
Nel controricorso l’interessata segnala che la prima doglianza non riguarderebbe l’omesso esame di un fatto storico decisivo bensì l’omessa valutazione di un elemento istruttorio (il documento indicato come all. n. 1 della memoria di costituzione della resistente in primo grado concernente il codice statistico contributivo attribuito da INPS RAGIONE_SOCIALE) da cui sarebbe derivata la violazione di legge denunciata con il secondo motivo di ricorso; il primo motivo sarebbe dunque inammissibile perché non farebbe riferimento ad un accadimento fenomenico estraneo alla dinamica processuale ed incidente sulla fattispecie del diritto azionato, ma ad un omesso esame del materiale istruttorio, riservato al giudice di merito.
Il secondo motivo sarebbe infondato poiché la Corte d’appello avrebbe illustrato in modo preciso le ragioni per le quali sia estensibile, per norma transitoria, l’applicazione della CIGS alla datrice in ragione del settore di attività desunto dal CCNL
(Commercio/Terziario) e del numero di dipendenti impiegati (superiore a 50 unità).
Il terzo motivo poi sarebbe inammissibile ed infondato perché non v’era stata un’indebita inversione dell’onere probatorio né era stato denunciato un vizio procedurale ai sensi dell’art. 360 n.4 c.p.c.
Il ricorso va accolto per quanto di ragione; i motivi possono essere congiuntamente trattati per evidente connessione dell’unica ratio che li avvolge, concernente l’ applicazione o meno della disciplina transitoria di cui all’art. 12 comma 3 -bis della L. n.223/19 91 introdotta dall’art. 3 L. n.92/2012.
Premesso che la preliminare critica sull’omesso esame circa un fatto decisivo non ricade nel profilo di inammissibilità del quarto comma dell’art. 360 c.p.c. avendo le pronunce dei due gradi di merito parzialmente argomentato in modo differente le ragioni di accoglimento dell’istanza della richiedente (dalla lettura del controricorso si apprende che, secondo la pronuncia del tribunale, non può gravare sul lavoratore l’inadempiuto versamento contributivo del datore, mentre per la sentenza di appello la società datrice sarebbe destinataria della norma estensiva della CIGS in virtù della applicazione del CCNL settore Commercio/Terziario e del requisito dimensionale superiore a 50 dipendenti), il fulcro della soluzione della controversia concerne il tipo di attività svolta dalla società ed il suo settore di operatività: da essi discende la possibilità di estendere la disciplina CIGS prevista per le imprese elencate al citato art. 12 comma 3-bis, nel testo medio tempore vigente (integrazione dell’art. 3 L. n.92/2012, poi abrogato con d.lgs. 14/9/2015 n.148
recante disposizioni di riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro).
I richiami normativi di cui alla L. n. 223/1991, enunciati nel secondo motivo di ricorso, illustrano correttamente la disciplina di riferimento: l’art. 4 stabilisce che l’impresa ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora non ritenga di garantire l’impiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative, ha facoltà di avviare la procedura di licenziamento, e l’art. 7 stabilisce che i lavoratori collocati in mobilità ai sensi del predetto art. 4, in possesso dei requisiti di cui al successivo art. 16 (disoccupazione derivante da licenziamento per riduzione di personale da parte di imprese rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento di cassa integrazione salariale che possano far valere un’anzianità aziendale di almeno dodici mesi) , hanno diritto a un’indennità per la durata e nella misura ivi dettagliata. Ne discende che l’indennità di mobilità spetta solo ai lavoratori delle imprese ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale, e fra le imprese destinatarie di tale trattamento e tenute ai relativi obblighi si annoverano, dal gennaio 2013 (donde l’estensione dell’art. 12 comma 3 -bis), anche le imprese esercenti attività commerciali con più di cinquanta dipendenti.
Da un lato non v’è automatismo nella attribuzione della indennità di mobilità in favore dei lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, dall’altro v’è un’estensione limitata delle imprese destinatarie di CIGS a quelle che esercitano attività commerciali che occupino più di 50 dipendenti.
L’attribuzione del trattamento nel regime transitorio non è impedita, quindi, dal mancato adempimento contributivo
datoriale, ma dalla non ricorrenza dell’esercizio di un’impresa commerciale.
Sul punto è mancato l’accertamento di merito. L’estratto telematico, da cui risulta il tipo di attività svolta, costituisce un dato formale di immediato inquadramento, il cui contenuto è riportato nel ricorso con sufficiente specificità: si tratta del codice ATECO riferito a ‘Servizi alle RAGIONE_SOCIALE‘, più agevolmente riferibile al settore terziario non già al settore commercio, e la stessa tipologia del contratto collettivo applicato nei rapporti con i propri dipendenti (CCNL Commercio/Terziario) non propende univocamente per la natura commerciale dell’attività svolta. Tuttavia, dalla pronuncia impugnata non risulta che sia stata dedotta la concreta attività del datore; per quanto risulti dalla sentenza impugnata, nel ricorso introduttivo della lite l’attore aveva dedotto la sua iscrizione alle liste di mobilità ed il possesso di anzianità rilevante nonché, per altro verso, l’integrazione del requisito dimensionale datoriale richiesto per fruire della prestazione per cui è causa, ma nulla era stato dedotto ci rca l’attività esercitata dall’impresa datrice di lavoro.
La necessità di un accertamento di fatto è stata ravvisata anche nell’identico caso di altra vicenda indennitaria inerente ad altro dipendente della stessa società, già sottoposta al vaglio di questa Corte (si veda ord. n. 20363/2023): anche nella presente vicenda -ed il rilievo non è eccentrico rispetto al terzo motivo di ricorso-‘ la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto non contestata la ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi della pretesa, incluso implicitamente quello inerente la riconducibilità del datore di lavoro -in ragione della sua attività- nel novero delle imprese rientranti nel campo di applicazione della cassa integrazione guadagni straordinari e
della mobilità; la corte territoriale ha finito così per attribuire una prestazione che giuridicamente potrebbe non spettare in ragione del settore di attività del datore ‘ .
Ne discende che il mancato versamento dei contributi per la mobilità assume rilievo non per il fatto in sé dell’inadempimento di un obbligo contributivo (evento manifestativo conseguente), quanto per affermare l’assenza di riconducibilità del datore all’area di appli cazione delle prestazioni di CIGS e di mobilità (presupposto a monte dei requisiti del soggetto ammesso). In sintesi, il lavoratore iscritto nelle liste di mobilità, destinatario della procedura collettiva di cui alla L. n.223/1991, non fruisce automaticamente, e per ciò solo, dell’indennità di mobilità ma occorre verificare il requisito economico e dimensionale del datore di lavoro, indipendentemente dall’adempimento del suo obbligo contributivo, discendente, ratione temporis, dalla diretta riferibilità nei suoi confronti della disciplina transitoria di cui all’abrogato art. 12 co.3 -bis L. n.223/1991.
La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata e la causa va rinviata alla stessa corte d’appello in diversa composizione, al fine di accertare la riconducibilità del datore di lavoro -in ragione del tipo di attività esercitataall’area di applicazione delle prestazioni di CIGS e di mobilità, ed anche per le spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del presente grado di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale del 15 novembre