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Indennità di mobilità: quando non è dovuta

Un lavoratore di un ente pubblico, a seguito di una riorganizzazione aziendale, chiedeva un’indennità di mobilità. La Corte di Cassazione ha respinto la sua domanda, chiarendo che tale indennità era strettamente legata all’esercizio di una specifica opzione di passaggio ad altra amministrazione, opzione che il lavoratore non aveva esercitato. La sentenza sottolinea come i benefici contrattuali non possano essere estesi oltre il loro scopo originario.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità di mobilità: Non spetta se non si esercita l’opzione specifica

Nell’ambito delle complesse riorganizzazioni aziendali, specialmente nel settore pubblico, i lavoratori possono trovarsi di fronte a scelte che ne influenzano la carriera e la retribuzione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto luce sui presupposti per ottenere l’indennità di mobilità, un beneficio economico pensato per agevolare le transizioni. La Corte ha stabilito un principio chiaro: se l’indennità è legata a una specifica scelta del lavoratore, come quella di passare a un’altra amministrazione, non può essere richiesta da chi, pur essendo coinvolto nella riorganizzazione, non ha esercitato tale opzione.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un dipendente di un ente pubblico trasformato per legge in Ente Pubblico Economico (EPE). A seguito di questa trasformazione, una normativa specifica (il D.Lgs. 173/2003) offriva al personale la possibilità di scegliere se rimanere nel comparto delle agenzie fiscali o passare ad un’altra pubblica amministrazione. Il lavoratore in questione non esercitò tale opzione.

Successivamente, l’ente avviò un piano di riorganizzazione che prevedeva la chiusura della sede in cui il dipendente prestava servizio e il suo trasferimento in un’altra città. Per evitare di trasferirsi e di allontanarsi dalla propria residenza, il lavoratore accettò un ‘distacco’ temporaneo presso un’altra agenzia pubblica situata nella sua stessa città. Al termine del periodo di distacco, rientrò nei ranghi dell’ente originario nella nuova sede, per poi essere trasferito definitivamente all’agenzia presso cui era stato distaccato.

Basandosi su un accordo sindacale del 2004, che prevedeva un trattamento economico incentivante per la mobilità interna, il lavoratore citò in giudizio l’ente per ottenere il pagamento di una indennità di mobilità speciale.

La Decisione dei Giudici di Merito

Mentre il Tribunale di primo grado respinse la domanda, la Corte d’Appello la accolse parzialmente, condannando l’ente a pagare al lavoratore una cospicua somma. Secondo i giudici d’appello, l’indennità era dovuta in quanto il lavoratore aveva di fatto accettato un trasferimento in una nuova sede, e il beneficio non era escluso dal mancato esercizio dell’opzione iniziale prevista dalla legge.

L’ente, non condividendo questa interpretazione, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse applicato erroneamente le norme contrattuali.

Le Motivazioni della Cassazione sull’indennità di mobilità

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’ente, ribaltando la decisione della Corte d’Appello. Il ragionamento dei giudici supremi è stato lineare e si è concentrato sulla finalità originaria dell’accordo sindacale del 2004.

La Corte ha chiarito che l’indennità di mobilità prevista da quell’accordo era stata istituita con uno scopo ben preciso: rendere più agevole e consapevole la gestione delle opzioni offerte ai dipendenti dal D.Lgs. n. 173 del 2003. In altre parole, l’incentivo era destinato a chi, a fronte della trasformazione dell’ente, sceglieva di passare ad un’altra amministrazione pubblica. Era un beneficio strettamente connesso all’esercizio di quel diritto di opzione.

Il lavoratore, non avendo mai esercitato tale opzione, non rientrava nella categoria di soggetti a cui l’indennità era rivolta. La sua successiva mobilità, gestita tramite distacco temporaneo per evitare un trasferimento, era una vicenda diversa, legata alla riorganizzazione interna dell’ente e non alla scelta di cambiare comparto amministrativo.

La Cassazione ha sottolineato che la Corte d’Appello ha commesso un errore applicando una previsione contrattuale a una fattispecie per la quale non era stata pensata. Anche le successive modifiche al contratto collettivo, che confermavano la validità dell’accordo del 2004, ne ribadivano la finalità originaria, legata esclusivamente alla fase di passaggio conseguente all’opzione prevista dalla legge del 2003.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, ha rigettato integralmente la domanda del lavoratore. Il principio che emerge è di fondamentale importanza: i benefici economici previsti da accordi sindacali devono essere interpretati rispettando la loro finalità originaria. Un’indennità di mobilità creata per incentivare una specifica scelta legale non può essere estesa per analogia a situazioni di mobilità diverse, anche se avvenute all’interno dello stesso processo di riorganizzazione aziendale. La mancata adesione all’opzione che costituisce il presupposto del beneficio ne impedisce l’erogazione.

A quali condizioni era legata l’indennità di mobilità speciale in questo caso?
L’indennità era strettamente legata all’esercizio dell’opzione, prevista dal D.Lgs. n. 173 del 2003, di optare per la permanenza nel comparto delle agenzie fiscali o per il passaggio ad altra pubblica amministrazione a seguito della trasformazione dell’ente di appartenenza in un Ente Pubblico Economico.

Perché al lavoratore è stata negata l’indennità pur essendo stato coinvolto in un processo di mobilità?
Al lavoratore è stata negata perché non aveva esercitato la specifica opzione legale a cui l’accordo sindacale collegava il beneficio economico. Il suo distacco temporaneo per evitare un trasferimento era una situazione fattuale diversa, non rientrante nell’ambito di applicazione dell’accordo.

Qual è il principio stabilito dalla Corte di Cassazione in questa ordinanza?
La Corte ha stabilito che un beneficio contrattuale, istituito per incentivare e agevolare una specifica scelta offerta dalla legge ai lavoratori durante una riorganizzazione, non può essere applicato a chi non ha esercitato tale scelta. La finalità e il campo di applicazione originari dell’accordo devono essere rispettati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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