Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31720 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31720 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20204-2022 proposto da:
OSPEDALE “RAGIONE_SOCIALE” – I.R.C.C.S., OPERA DA NOME COGNOME SAN NOME COGNOME, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
RETRIBUZIONE
RAPPORTO PRIVATO
R.G.N. 20204/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 16/10/2024
CC
avverso la sentenza n. 1348/2022 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 18/07/2022 R.G.N. 2237/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
l a Corte d’Appello di Bari ha parzialmente accolto l’appello proposto dall’Ospedale in epigrafe avverso sentenza del Tribunale di Foggia e, per l’effetto, ha accertato che l’importo da accantonare quale base di computo del TFR spettante al 31.10.2015 in favore di NOME COGNOME (dipendente dal 1985, con mansioni di collaboratore sanitario professionale, livello B3 CCNL Comparto Sanità) era pari a € 50.308,44 (in luogo della somma di € 46.415,01 accantonata dal datore di lavoro);
la Corte territoriale ha così (limitatamente) ridotto, previa nuova CTU contabile, la somma riconosciuta dal Tribunale per il medesimo titolo;
in particolare, la Corte di merito, per quanto qui ancora rileva, ha osservato che:
-in base all’art. 46 CCNL Comparto Sanità Pubblica integrativo del CCNL del 7.4.1999, contenente specifiche deroghe alla disciplina legale dell’istituto, in vigore dal 31.12.2001, non andavano ricompresi tra le voci retributive da prendersi a base per la liquidazione del TFR gli emolumenti percepiti dal lavoratore a titolo di incentivazione o compartecipazione a decorrere dall’1.1.2002 (tenuto conto della data di entrata in vigore della specifica disciplina pattizia), rimanendo da computare per il periodo precedente;
-analogamente per l’indennità di mensa, non menzionata tra le voci retributive utili ai fini del computo del TFR, e quindi
da includere fino alla data di entrata in vigore di tale disposizione contrattuale, non essendo conferente l’art. 3, comma 3, d.l. n. 133/1992 convertito in legge n. 359/1992, da applicarsi soltanto alla diversa ipotesi in cui il servizio mensa sia stato attivato presso l’azienda;
-non vi era dimostrazione che la liquidazione definitiva del TFR, avvenuta dopo la cessazione del rapporto in data 30.6.2019, fosse interamente satisfattiva della pretesa oggetto del presente giudizio;
4. per la cassazione della sentenza d’appello ricorre l’Ospedale con 6 motivi, illustrati da memoria; controparte ha resistito con controricorso; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo parte ricorrente denuncia violazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2697 e 2727 e segg. c.c. in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, non avendo la Corte d ‘ Appello esaminato i fatti e i documenti prodotti dalle parti e tenuto conto del principio di non contestazione, escludendo di conseguenza che l’odierno ricorrente avesse fornito la prova che il giudicato formatosi con la pronuncia resa dal Tribunale di Foggia, n. 1361/97 del 13.9.1997, relativa alla natura non subordinata dei compensi percepiti per le attività rese in plus orario, cd. compartecipazioni, avesse riguardato anche l’attuale controricorrente;
con il secondo motivo, denuncia (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e 2727 c.c., avendo la
Corte d ‘ Appello escluso che gli elementi di prova in atti fossero idonei a provare che il giudicato formatosi con la pronuncia resa dalla suddetta sentenza del Tribunale di Foggia, relativa alla natura non subordinata dei compensi percepiti per le attività rese in plus orario, cd. compartecipazioni, avesse riguardato anche la posizione dell’attuale controricorrente;
3. con il terzo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e la falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., non avendo la Corte d ‘ Appello correttamente applicato il principio secondo il quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile, in particolare non avendo tenuto in considerazione gli effetti del giudicato riflesso contenuto nella suddetta sentenza del Tribunale di Foggia, che ha dichiarato la natura non subordinata dei compensi percepiti per le attività rese in plus orario, cd. compartecipazioni o incentivazioni.
4. con il quarto motivo, la sentenza impugnata viene censurata (art. 360, n. 3, c.p.c.) per violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 3, d.l. n. 333/1992, conv. in legge n. 359/1992 e del CCNL Comparto sanità, per avere erroneamente ritenuto non rientrare l’indennità di mensa tra le voci escluse dall’art. 46 CCNL cit. dalla base di computo del TFR, assumendone pertanto la natura retributiva, per la rilevata mancata istituzione di un servizio di mensa, pure in assenza di una previsione di CCNL relativa alla sua natura retributiva, essendo peraltro essa negata per il valore dei pasti dalla giurisprudenza di legittimità;
5. con il quinto motivo, denuncia (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 167, 416, 115 c.p.c., per violazione del principio di non contestazione con riferimento all’inadeguatezza della somma percepita dal
lavoratore a titolo di trattamento di fine rapporto, coordinato con l’onere di allegazione dell’inesatto adempimento;
con il sesto motivo, denuncia (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2727 c.c., laddove la Corte di merito ha applicato erroneamente il regime delle presunzioni quanto all’accertamento dell’inadeguatezza del TFR liquidato;
il Collegio intende dare continuità alle pronunce rese in controversie analoghe, le cui motivazioni si richiamano, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. (Cass. nn. 8092, 8090, 7742, 7590, 7184, 7181/2024);
i primi tre motivi, che si trattano congiuntamente per connessione, sono inammissibili per più profili; sia nella parte in cui denunciano l’erronea valutazione di elementi probatori non consentita in questa sede, a maggior ragione in ipotesi di cd. doppia conforme; sia là dove invocano gli effetti del giudicato esterno, in quanto la deduzione in ordine all’esistenza di un giudicato che si assume inerente alla posizione di controparte e di cui sarebbe stata fornita la prova in giudizio non può prescindere dal deposito della sentenza munita dell’attestazione di irrevocabilità ad opera della cancelleria, ai sensi dell’art. 124 disp. att. c.p.c. (v. Cass. n. 28515/2017, n. 22883/2008, n. 11889/2007, n. 23567/2006), adempimento del tutto omesso;
il quarto motivo è fondato per quanto di ragione;
la Corte d’Appello ha incluso l’indennità di mensa tra le voci utili al computo del TFR fino al 31.12.2001; ha riconosciuto applicabile al rapporto di lavoro il CCNL Comparto Sanità Pubblica integrativo del CCNL 7.4.1999, il cui art. 46, nell’elencare le v oci della retribuzione utili ai fini del TFR, non menziona l’indennità di mensa; ha tuttavia rilevato che il
contratto collettivo è entrato in vigore il 31.12.2001 e ha ritenuto che, per il periodo anteriore, l’indennità di mensa fosse da computare nel calcolo del TFR, in quanto corrisposta in modo continuativo nel corso del rapporto e non equiparabile ad un rimborso spese, operando la disciplina dettata dal contratto collettivo solo a partire dal 31.12.2001; ha giudicato non pertinente la disposizione di cui all’art. 3, terzo comma, del decreto legge n. 333 del 1992, convertito dalla legge n. 359 del 1992 (second o cui ‘ Salvo che gli accordi e i contratti collettivi, anche aziendali, dispongano diversamente, stabilendo se e in quale misura la mensa è retribuzione in natura, il valore del servizio di mensa, comunque gestito ed erogato, e l’importo della prestazione pecuniaria sostitutiva di esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito dall’azienda, non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro ‘), in quanto volta a disciplinare i casi in cui il servizio mensa sia stato attivato presso l’azienda, come desumibile dall’utilizzo dei termini ‘ gestito, erogato, istituito ‘ riferiti, appunto, al citato servizio, e quindi non applicabile alla fattispecie oggetto di causa in cui difetta la prova dell’istituzione della mensa;
11. in realtà questa Corte, pronunciandosi sulla normativa del 1992, ha statuito che nella disciplina dettata dall’art. 6, terzo comma, decreto legge 11 luglio 1992 n. 333, convertito con modificazioni in legge 8 agosto 1992 n. 359, il valore del servizio mensa e l’importo della prestazione sostitutiva percepita da chi non usufruisce del servizio aziendale non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente ad istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro, salva la possibilità di una diversa previsione – nel senso che il servizio mensa debba considerarsi come retribuzione in natura – da parte dei contratti
collettivi nazionali e aziendali, anche se stipulati anteriormente all’entrata in vigore del citato decreto (Cass. n. 15767/2001, n. 3623/1994); specificamente, si è attribuito alla legge n. 359/1992 un valore sostanziale di norma di interpretazione autentica, di guisa che, allo stato, e con valore retroattivo, soltanto in quanto la volontà collettiva si sia espressamente manifestata nel senso del valore retributivo del pasto o dell’indennità sostitutiva, questi sono computabili ai fini del trattamento di fine rapporto; al riguardo è certo significativo, e l’interprete deve tenerne conto, che avendo la giurisprudenza nel passato dichiarato la nullità degli accordi sindacali che privavano la mensa o l’indennità di valore retributivo, la novella legislativa fosse imperniata proprio nella riaffermazione della validità di quegli accordi, anche se assunti in epoca anteriore all’approvazione della legge; si è ulteriormente precisato che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 3888/1993, hanno escluso che il servizio mensa o l’indennità sostitutiva della stessa abbiano natura ontologicamente retributiva, ribadendo che è rimessa alla fonte legale o contrattuale l’individuazione delle voci da includere nella retribuzione base per il calcolo degli istituti di retribuzione indiretta o differita; si è aggiunto che, a seguito della disciplina dettata dall’art. 6 del decreto legge 11 luglio 1992 n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992 n. 359, l’indennità sostitutiva della mensa non è computabile a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali, che gli accordi collettivi che stabilivano tale principio, in vigore prima dell’introduzione della nuova legge, sono fatti salvi (anche se in contrasto con disposizioni di legge) nella parte in cui prevedevano limiti e valori convenzionali del servizio mensa e dell’importo della prestazione sostitutiva di esso, a qualsiasi effetto attinente a istituti legali e contrattuali
del rapporto di lavoro subordinato, che è tuttavia possibile all’autonomia collettiva disporre diversamente, vale a dire includere il valore reale o l’importo della relativa indennità sostitutiva nella base di calcolo di qualsiasi istituto;
i precedenti di legittimità richiamati, e dai quali questo Collegio non ha ragione di discostarsi, non operano alcuna distinzione in base al rilievo dell’effettiva istituzione o meno del servizio mensa, ma si concentrano sulla natura in sé dell’indennità d i mensa, escludendone il valore ontologicamente retributivo, salva diversa previsione da parte dei contratti collettivi;
deve quindi ritenersi che la Corte d’ Appello abbia male interpretato l’art. 6 della legge n. 359 del 1992, in contrasto con il significato letterale come unanimemente inteso dalla giurisprudenza di legittimità;
14. il quinto motivo non è fondato;
la Corte territoriale ha chiarito sul punto che la circostanza dell’erogazione del TFR in corso di causa non significa che il quantum percepito dal dipendente corrisponda a ciò che effettivamente gli spettava proprio in ragione dell’inclusione nella base di calcolo di somme non considerate dal datore e oggetto del ricorso originario; infatti, la somma liquidata al termine del rapporto tiene conto anche del periodo di lavoro successivo a quello della data cui commisurare l’entità delle somme accantonate ind icata nell’atto introduttivo (31.10.2015); in fatto, non vi erano elementi probatori per poter sostenere che l’Ospedale, nel liquidare il TFR, a vesse incluso nella relativa base di calcolo proprio quelle voci che il dipendente aveva reclamato, come emergente dalla CTU e dalle osservazioni di parte;
16. il sesto motivo è inammissibile;
17. in sede di legittimità non è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. al di fuori del cd. vizio di sussunzione, che ricorre quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass. n. 3541/2020; v. anche Cass. n. 18611/2021);
18. neppure è integrata la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli; è, invece, inammissibile la diversa doglianza che il giudice di merito, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.;
19. la censura in esame si risolve, quindi, in una contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, riservata al giudice di merito e pertanto, qualora congruamente argomentata, insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017, n. 1229/2019, S.U. n. 34476/2019, S.U. n. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023);
20. in conclusione, in accoglimento del quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente al motivo accolto, con rinvio alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso per quanto di ragione, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 16 ottobre 2024.