Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31432 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31432 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
3618/2023 r.g., proposto da
Ospedale “RAGIONE_SOCIALE” RAGIONE_SOCIALE – Opera da Padre Pio da Pietrelcina di San Giovanni Rotondo , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, presso avv. NOME COGNOME , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
ricorrente
contro
COGNOME NOME COGNOME elett. dom.ta in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 2321/2022 pubblicata in data 23/12/2022, n.r.g. 722/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 16/10/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.NOME COGNOME era stata dipendente dell’ Ospedale “RAGIONE_SOCIALE dal 19/09/1980 fino al 31/12/2011, data del suo
OGGETTO:
t.f.r. -base di calcolo -indennità di mensa -regime – lavoro plus orario – giudicato previdenziale effetti – esclusione
pensionamento, ricoprendo da ultimo la qualifica di infermiere professionale -livello D2 CCNL comparto sanità.
Assumeva che all’atto dell’estinzione del rapporto di lavoro aveva percepito un t.f.r. inferiore a quello a lei dovuto, in quanto calcolato senza comprendere nella relativa base di computo tutti gli emolumenti fissi e continuativi percepiti in costanza di rapporto di lavoro.
Pertanto adìva il Tribunale di Foggia per ottenere la condanna dell’ospedale a pagare la somma di euro 15.090,18, come da consulenza contabile che depositava in giudizio.
2.Costituitosi il contraddittorio, espletata una consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile, il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, condannava l’ospedale a pagare alla ricorrente la somma di euro 8.061,22 a titolo di differenze di t.f.r.
A sostegno della sua decisione il Tribunale riteneva che dovessero essere inclusi soltanto gli emolumenti corrisposti a titolo non occasionale ai sensi dell’art. 2120 c.c., non poteva essere applicatio il meccanismo di computo degli aumenti di indennità di contingenza previsto dall’art. 5, co. 2, L. n. 297/1982, dovevano essere inclusi sia l’indennità di mensa, poiché il relativo servizio non era stato istituito, sia l’indennità di ‘compartecipazione/incentivazione’ riportata in busta paga; per il periodo succesivo al 31/12/2001 dovevano essere incluse soltanto le voci previste dall’art. 46 CCNL comparto sanità.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dall’ospedale.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
il Tribunale non ha violato l’art. 112 c.p.c., perché aderendo ai calcoli del c.t.u. -ha riconosciuto l’inclusione nella base di computo del t.f.r. di voci che erano state sia nominativamente indicate nel ricorso dalla COGNOME come emolumenti fissi e continuativi (indennità di pronta disponibilità, indennità di servizio notturno e festivo, indennità di incremento dell’utilizzazione delle strutture degli impianti, indennità integrativa speciale, indennità di turno, indennità professionale, indennità di presenza, indennità di rischio), sia complessivamente
pretese dalla lavoratrice con riferimento alla loro percezione in modo non occasionale;
peraltro la domanda era stata formulata invocando l’applicazione dell’art. 2120 c.c. e quindi l’inclusione di tutte le voci rispondenti al criterio di computo dettato dalla predetta norma, che la lavoratrice assumeva essere stata violata dall’ospedale;
infine la somma riconosciuta è stata inferiore a quella domanda e non vi è stato alcun mutamento della causa petendi fondata sulla violazione dell’art. 2120 c.c.;
è vero che nell’ordinanza del 27/01/2020 il Tribunale aveva detto di fare riferimento alle sole voci indicate in ricorso, ma si tratta di ordinanza sempre revocabile, anche per implicito, mediante la decisione finale, come accaduto nella specie;
quanto all’indennità di mensa, la norma invocata dall’ospedale (art. 6, co. 3, d.l. n. 333/1992, conv. in L. n. 259/1992) non può trovare applicazione, perché si riferisce al solo caso in cui il servizio mensa sia stato attivato presso l’azienda, laddove nel caso di specie è pacifico che il servizio mensa non sia stato istituito;
nessuna rilevanza può avere il giudicato di cui alla sentenza del Tribunale di Foggia n. 1361/2017 sulla natura autonoma dei compensi erogati a titolo di ‘compartecipazione/incentivazione’, poiché quel giudicato non ha effetti nei confronti dell’odierna lavoratrice appellata, che non partecipò a quel giudizio; inoltre quel giudicato ha posto soltanto un principio (relativo ai compensi percepiti a titolo di ‘fondo incentivazione’ dai lavoratori per l’attività svolta in plus orario, ossia oltre l’orario di lavoro per le prestazioni ambulatoriali rese in favore di pazienti non ricoverati), che tuttavia dovrebbe trovare una verifica fattuale in concreto caso per caso, che invece nella specie è mancata.
4.- Avverso tale sentenza Ospedale “RAGIONE_SOCIALE” I.R.C.C.S. – Opera da Padre Pio da Pietrelcina di San Giovanni Rotondo ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
5.- NOME ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte ritenuto non violato il predetto principio nella parte in cui il Tribunale aveva riconosciuto computabili nella base di calcolo del t.f.r. anche voci ulteriori e diverse rispetto a quelle indicate e rivendicate nel ricorso introduttivo.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
E’ inammissibile perché non censura quella che è stata un’attività interpretativa della domanda, svolta dalla Corte territoriale in modo motivato, secondo cui la pretesa della lavoratrice non era limitata alle voci espressamente specificate, ma estesa in modo omnicomprensivo a tutte quelle erogate dal datore di lavoro in modo non occasionale secondo il criterio dettato dall’art. 2120 c.c., che la COGNOME assumeva essere stato violato dal datore di lavoro.
E’ poi infondato, poiché stando alla motivazione articolata dai giudici d’appello la domanda era stata formulata in modo omnicomprensivo rispetto a tutte quelle voci erogate dal datore di lavoro in modo non occasionale secondo il criterio dettato dall’art. 2120 c.c. Così interpretata la domanda, dunque, effettivamente la sentenza impugnata è conforme a diritto, laddove ha escluso che il Tribunale fosse incorso nel vizio di extrapetizione.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697 e 2727 c.c. a causa dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, per avere la Corte territoriale omesso di esaminare fatti e documenti prodotti e omesso di applicare il principio di non contestazione circa la prova che il giudicato rappresentato dalla sentenza del Tribunale di Foggia n. 1361/2017 del 13/09/1997 avesse riguardato anche la lavoratrice COGNOME.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché 2727 c.c. per avere la Corte d’appello escluso che gli elementi di prova fossero idonei a dimostrare che il giudicato di cui alla sentenza n. 1361/2017 del Tribunale di Foggia riguardasse anche la posizione della COGNOME.
I due motivi -da esaminare congiuntamente per la loro connessione -sono in parte inammissibili, in parte infondati.
Il secondo motivo è inammissibile per la confusa esposizione della censura, in cui vi è il riferimento ad una pluralità di fatti e documenti non esattamente indicati e che per la loro pluralità mai potrebbero essere ciascuno ‘decisivo’ nel senso voluto dall’art. 360, co. 1, n. 5) c.p.c.
Lo stesso motivo è poi infondato, poiché -come ammette lo stesso ricorrente -l’invocato giudicato del Tribunale di Foggia ha riguardato unicamente una controversia fra l’INPS e l’ospedale, alla quale dunque non hanno partecipato i lavoratori. Quindi giammai quella pronunzia -come ha esattamente affermato la Corte di merito -può produrre efficacia di giudicato nei confronti della COGNOME, a causa del difetto dell’identità delle parti (art. 2909 c.c.). Ne consegue la necessità di un accertamento in concreto delle modalità con cui sono state rese dalla Scarabino le prestazioni lavorative cc.dd. in plus orario, accertamento che invece -come esattamente rilevato dalla Corte di merito -nel giudizio di merito è mancato perché non chiesto dall’ospedale.
Per le medesime considerazioni si rivela infondato anche il terzo motivo.
3.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 2909 c.c. per avere la Corte d’appello omesso di applicare il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile e quindi omesso di considerare ormai non più discutibile l’affermazione contenuta nel giudicato di cui alla sentenza n. 1361/2017 del Tribunale di Foggia, secondo cui i compensi percepiti per le attività rese in plus orario non sono retribuzione, ma compensi di un’attività di lavoro autonomo.
Il motivo è infondato in conseguenza dell’impossibilità di applicare l’art. 2909 c.c., atteso che la norma fra riferimento all’efficacia preclusiva del giudicato nei confronti soltanto delle parti, dei loro eredi e degli aventi causa. Dunque questa medesima efficacia è esclusa nei confronti dei terzi, rimasti estranei al giudizio all’esito del quale quel giudicato si è formato.
4.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 6, co. 3, d.l. n. 333/1922, conv. in L. n. 359/1992 per avere la Corte territoriale incluso
l’indennità di mensa nella base di computo del t.f.r. fino a tutto il 31/12/2001, omettendo di considerare che la citata norma primaria ne ha escluso la natura retributiva.
Il motivo è fondato per quanto di ragione.
In relazione allo stesso ospedale e alla stessa questione questa Corte ha già affermato: «Il servizio mensa ha natura non retributiva come espressamente previsto dall’art. 6, co. 3, d.l. n. 333/1992 (per il quale C. Cost. con le sentenze nn. 164/1994 e 402/1993 ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale), con norma che ha avuto carattere innovativo rispetto all’interpretazione giurisprudenziale immediatamente precedente affermatasi nel periodo 19891992 (su cui v. l’accurata ricostruzione operata da Cass. sez. un. 01/04/1993, n. 3888). Tuttavia, come affermato da questa Corte in funzione nomofilattica (Cass. sez. un. n. 3888 cit.), la norma ha avuto carattere confermativo dell’orientamento giurisprudenziale più risalente: ‘ Il servizio mensa – il quale (sia nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 6 del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359, che in quello da tale norma espresso, che assume, pertanto, il valore di disposizione “confermativa”, senza porsi in contrasto con gli artt. 3, 24, 36, 39, 101, 102 e 104 Cost.) ancorché obbligatoriamente apprestato dal datore di lavoro, in adempimento di quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, non ha natura di retribuzione in natura, difettando del requisito della corrispettività, in quanto la sua fruizione non è causalmente correlata al solo fatto della prestazione lavorativa, ma presuppone un ulteriore atto volontario del lavoratore ‘.
Nondimeno, sempre nell’esercizio della nomofilachia si è precisato che tale voce può assumere natura retributiva ‘allorché le clausole di previsione stabiliscano altresì l’erogazione di una indennità sostitutiva (rispetto alla quale si configura una obbligazione facoltativa del datore di lavoro, con scelta della prestazione rimessa al creditore) a quanti non fruiscano del servizio stesso, ma tale assunzione non può che avvenire nei limiti risultanti dalle dette clausole e perciò con riguardo al solo valore convenzionale dell’indennità e non anche al valore reale, con la conseguenza che, ai fini del computo del relativo emolumento in istituti retributivi indiretti o differiti, deve farsi riferimento esclusivamente al detto valore convenzionale,
venendo in rilievo, per la differenza rispetto al valore reale, la natura “ontologicamente” non retributiva del servizio e, quindi, la non computabilità a tali fini ‘ (Cass. sez. un. n. 3888 cit.).
Negli stessi termini si è poi assestata la successiva giurisprudenza di questa Corte ( ex multis Cass. n. 581/1994; Cass. n. 4839/1998; Cass. n. 14198/2001).
Quindi al cospetto di un rapporto di lavoro come quello oggetto della presente controversia, risalente all’anno …, il giudice deve considerare l’assetto della contrattazione collettiva anche anteriore al decreto legge n. 333/1992, proprio perché espressamente fatto salvo dall’art. 6 cit., senza dubbio applicabile ad ogni rapporto di lavoro subordinato. Qualora la contrattazione collettiva avesse istituito un’indennità di mensa, questa voce avrebbe assunto natura retributiva e, come tale, da computare nella base di calcolo dell’indennità di anzianità e poi del t.f.r. (salva diversa previsione del contratto collettivo).
La Corte territoriale non ha compiuto questo accertamento, invece doveroso, …
Al riguardo, considerata la fonte regolatrice del rapporto di lavoro in esame -pacifica fra le parti -ossia il contratto collettivo del comparto sanità, va evidenziato che prima della c.d. contrattualizzazione introdotta dal d.lgs. n. 29/1993 vigeva il sistema del recepimento degli accordi sindacali in apposito d.P.R. ai sensi dell’art. 6 della c.d. legge quadro sul pubblico impiego n. 93/1983 e il d.P.R. aveva natura regolamentare (ossia fonte normativa sia pure di rango secondario), tanto da poter essere direttamente interpretato da questa Corte di legittimità e denunziata la sua violazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. ( ex multis Cass. n. 6152/1993).
Orbene, l’indennità di mensa era prevista dall’art. 33 d.P.R. n. 270/1987 (poi in parte modificato dall’art. 68, co. 2, d.P.R. n. 384/1990), ossia da accordi sindacali recepiti in regolamenti governativi, espressamente fatti salvi dall’art. 6 d.l. n. 333/1992.
Quindi anche su questo punto si impone la cassazione con rinvio per un nuovo calcolo del t.f.r. che in ipotesi includa l’indennità di mensa nella base di computo, previo accertamento non soltanto della sua fissità e
continuatività della sua erogazione dal 1985 in poi, ma anche e soprattutto della sua previsione da parte del contratto collettivo o degli accordi sindacali ratione temporis vigenti, condizione indefettibile per riconoscere a tale indennità natura retributiva (Cass. sez. un. n. 3888 cit.), nei limiti del valore convenzionale attribuito dalle parti sociali al servizio mensa … » (Cass. ord. n. 7742/2024 p. 5 ss.).
Ne consegue che la sentenza impugnata va cassata con rinvio per il nuovo accertamento contabile imposto dai principi di diritto sopra esposti, nonché per la regolazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo, accoglie per quanto di ragione il quinto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, per il nuovo accertamento relativo al motivo accolto, nonché per la regolazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in