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Indennità di mansione: quando spetta ai lavoratori?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di alcuni operatori del servizio antincendio che richiedevano il pagamento dell’indennità di mansione anche per i periodi in cui erano stati adibiti a compiti di manutenzione. La Suprema Corte ha confermato che tale indennità, essendo finalizzata a compensare lo specifico e più gravoso servizio di spegnimento incendi, non è dovuta se il lavoratore svolge altre attività, anche se previste dal contratto.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità di Mansione: Legata alla Qualifica o al Compito Svolto?

L’erogazione di una indennità di mansione è spesso fonte di contenzioso nel diritto del lavoro. Tale compenso aggiuntivo spetta in virtù della qualifica professionale del lavoratore o è strettamente legato all’effettivo svolgimento dei compiti per cui è previsto? Con l’ordinanza n. 16731/2024, la Corte di Cassazione fornisce un chiarimento decisivo, analizzando il caso di alcuni lavoratori del servizio antincendio boschivo.

I Fatti del Caso: La Richiesta dei Lavoratori

La vicenda riguarda un gruppo di lavoratori assunti con contratti a tempo determinato nel servizio antincendio boschivo di una Regione. Essi lamentavano la mancata corresponsione della cosiddetta “indennità di mansione”, pari al 20% del salario ordinario, per gli anni 2011, 2012 e 2013. Tale indennità era prevista da un Contratto Integrativo Regionale di Lavoro (CIRL) per gli operai addetti all’avvistamento o allo spegnimento degli incendi.

Il datore di lavoro pubblico si era difeso sostenendo che, in quei periodi, i lavoratori non erano stati impiegati nelle attività di antincendio, ma in compiti accessori di manutenzione e ripulitura, come consentito da un’altra clausola dello stesso contratto collettivo. Di conseguenza, non riteneva dovuta l’indennità specifica.

Il Percorso Giudiziario e l’indennità di mansione

Se in primo grado il Tribunale aveva dato ragione ai lavoratori, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione. I giudici di secondo grado avevano stabilito che l’indennità avesse natura compensativa per uno specifico servizio (avvistamento e spegnimento incendi) e non costituisse un elemento fisso della retribuzione legato alla qualifica professionale. Pertanto, se il servizio specifico non veniva espletato, l’indennità non era dovuta, essendo legittimo l’impiego dei lavoratori in altre attività previste dal contratto.

I lavoratori hanno quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente due argomenti:
1. La violazione dell’art. 2103 c.c., ravvisando un demansionamento nell’essere stati adibiti sistematicamente ad attività “bracciantili” inferiori.
2. L’errata interpretazione del contratto, secondo cui l’indennità sarebbe un elemento della paga base, correlato alle qualità professionali e quindi dovuto a prescindere dal compito specifico svolto.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dei lavoratori inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il punto centrale della motivazione risiede nel concetto di ratio decidendi, ovvero la ragione giuridica fondante della sentenza impugnata.

La Corte d’Appello aveva stabilito in modo chiaro che l’indennità di mansione era dovuta solo ed esclusivamente in relazione allo specifico svolgimento delle mansioni antincendio. Non era un’indennità legata alla professionalità intrinseca del lavoratore, ma un compenso per un compito particolare.

Secondo la Cassazione, i ricorrenti non hanno adeguatamente contestato questa ratio decidendi. I loro motivi di ricorso, incentrati sul demansionamento (art. 2103 c.c.) o sulla natura dell’indennità come paga base, erano fuori tema. Essi davano per scontata un’interpretazione della norma contrattuale che i giudici di merito avevano esplicitamente escluso. In altre parole, il ricorso non ha centrato il bersaglio, non riuscendo a scalfire il ragionamento giuridico che sorreggeva la sentenza d’appello.

Conclusioni

La pronuncia della Cassazione ribadisce un principio fondamentale: le indennità contrattuali finalizzate a compensare compiti specifici, caratterizzati da particolare gravosità o rischio, sono dovute solo se e quando tali compiti vengono effettivamente svolti. La qualifica professionale del lavoratore non è, di per sé, sufficiente a garantirne il diritto se il contratto collettivo lega in modo inequivocabile l’emolumento alla prestazione di una determinata attività. Questa decisione sottolinea l’importanza di una chiara e precisa formulazione delle clausole contrattuali per evitare ambiguità e futuri contenziosi.

L’indennità di mansione spetta a un lavoratore qualificato per un certo compito, anche se svolge temporaneamente altre attività?
No. Secondo la Cassazione, se l’indennità è contrattualmente legata allo svolgimento di compiti specifici (come lo spegnimento di incendi), essa è dovuta solo quando tali compiti vengono effettivamente espletati.

Assegnare un lavoratore a compiti di manutenzione invece che di antincendio costituisce un demansionamento illegittimo?
La sentenza non entra nel merito di questo punto, ma chiarisce che la questione è irrilevante ai fini del pagamento dell’indennità. La Corte ha stabilito che, poiché l’indennità è legata al compito specifico, la sua mancata corresponsione è legittima se quel compito non viene svolto, a prescindere da una valutazione sul demansionamento.

Perché il ricorso dei lavoratori è stato dichiarato inammissibile?
Perché non ha contestato la ragione fondamentale (ratio decidendi) della decisione della Corte d’appello. I lavoratori hanno basato il loro ricorso su argomenti che non affrontavano il punto centrale stabilito dai giudici, ovvero che l’indennità era dovuta solo per le mansioni antincendio e non per altre attività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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