Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9246 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 9246 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
SENTENZA
sul ricorso 19099-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 67/2021 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 14/01/2021 R.G.N. 296/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
R.G.N. 19099/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 19/02/2025
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale dell’ avvocato NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale riforma di sentenza del Tribunale di Chieti, respingeva l’opposizione al decreto ingiuntivo del medesimo Tribunale n. 320/2019 con il quale la società RAGIONE_SOCIALE era stata condannata a pagare ad NOME COGNOME suo dirigente dal 2007 al 2019, la somma complessiva di € 30.030 oltre accessori, per avere svolto le funzioni di CFO ( Chief Financial Officer ) per il periodo 1.2.2018 – 31.1.2019.
In particolare, per quanto qui ancora rileva, la Corte di merito osservava che:
al dirigente, che aveva mansioni di direttore del controllo di gestione, erano stati assegnati nel febbraio 2018 i compiti di CFO in concomitanza con il distacco all’estero del precedente dirigente con tale incarico;
dopo un anno, dall’1.2.2019, per tale incarico la società gli aveva formalmente riconosciuto indennità di € 2.350 mensili per 13 mensilità, sino a settembre 2019, data di revoca dell’incarico;
la domanda azionata, di pagamento di tale indennità anche prima del suo formale riconoscimento, era fondata, in ragione dello svolgimento contemporaneo di due diverse funzioni, con relativa maggiore assunzione di responsabilità, trattandosi di indennità di funzione che andava a compensare le mansioni aggiuntive svolte, tenuto anche conto della corrispondenza
tra le parti relativa all’assegnazione dell’incarico da febbraio 2018 e al riconoscimento espresso dell’indennità di funzione da febbraio 2019.
Per la cassazione della predetta sentenza la società propone ricorso con 3 motivi; resiste il lavoratore con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il PG ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
La causa è stata discussa oralmente all’odierna pubblica udienza e trattenuta in decisione.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. c.c. in tema di interpretazione dei contratti (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.); sostiene che la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto che il diritto all’indennità di funzione da febbraio 2018 a febbraio 2019 rinvenisse il proprio fondamento nell’identità di compiti svolti nel periodo in contestazione, rispetto a quelli effettuati da febbraio a settembre 2019, e con le mansioni svolte dal precedente CFO, nonché nella circostanza che le attività aggiuntive determinassero lo svolgimento contemporaneo di due diverse funzioni con relativa assunzione di responsabilità; secondo la società, invece, il contenuto del contratto individuale di lavoro in relazione alla remunerazione non avrebbe consentito equivoci, dal momento che la retribuzione corrisposta riguardava tutte le attività svolte a favore del datore di lavoro e di altre società del gruppo, esaurendo tutte le pretese retributive.
Con il secondo motivo, la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2099 c.c. e dell’art. 36
Cost. in tema di retribuzione proporzionata alla qualità e quantità di lavoro e al potere di valutazione, da parte del giudice, della sussistenza di tali parametri (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Con il terzo motivo, deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. c.c. in tema di interpretazione della pattuizione negoziale contenuta nella lettera dell’11.2.2019, in sé e per sé considerata e in correlazione con quanto pattuito nel contratto individuale di lavoro e nella comunicazione di affidamento di mansioni aggiuntive (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), e violazione e falsa applicazione dell’art. 2099 c.c. e dell’art. 36 Cost. in tema di retribuzione proporzionata alla qualità e quantità di lavoro e al potere di valutazione, da parte del giudice, della sussistenza di tali parametri (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Il primo motivo non è accoglibile.
L’interpretazione degli atti negoziali – che è riservata al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove rispettosa dei criteri legali di ermeneutica contrattuale – va condotta sulla scorta di due fondamentali elementi che si integrano a vicenda, e cioè il senso letterale delle espressioni usate e la ratio del precetto contrattuale, nell’ambito non già di una priorità di uno dei due criteri, ma in quello di un razionale gradualismo dei mezzi d’interpretazione, i quali debbono fondersi e armonizzarsi nell’apprezzamento dell’atto negoziale (cfr. Cass. n. 701/2021; n. 11666/2022).
Secondo gli approdi più recenti della giurisprudenza di legittimità in tema di interpretazione del contratto, l’elemento letterale, pur assumendo funzione fondamentale nella ricerca dell’effettiva volontà delle parti, deve essere riguardato alla stregua degli ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, di quelli dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e dell’interpretazione secondo buona fede ex art. 1366 c.c.,
avuto riguardo allo “scopo pratico” perseguito dalle parti con la stipulazione del contatto, e quindi della relativa “causa concreta” (Cass. n. 34795/2021, n. 33425/2022).
Tanto premesso, rispondendo l’interpretazione dei dati negoziali tra le parti operata dalla sentenza gravata a tali criteri generali, la censura di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, al pari di quella per vizio di motivazione, non può risolversi in una critica del risultato interpretativo che si sostanzi nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella fornita dalla sentenza impugnata, posto che, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – censurare in sede di legittimità il fatto che sia stata privilegiata l’altra; per il principio di autonomia del ricorso per cassazione e il carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, si deve escludere l’ammissibilità di una sostanziale prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice di merito, di cui si chiede a tale stregua un riesame, inammissibile in sede di legittimità (v. Cass. n. 14270/2024, n. 9461/2021, n. 27702/2020, n. 16368/2014, n. 24539/2009, n. 10131/2006).
Il secondo motivo non è fondato.
Nel caso in esame, i giudici di merito, sulla base di un’interpretazione del dato negoziale logica e conseguente, hanno ricostruito le lettere di incarico tra le parti in termini di riconoscimento di specifica e quantificata indennità per lo svolgimento della funzione di CFO per tutto il periodo in cui tale incarico è stato svolto dal dirigente in aggiunta alle responsabilità già ricoperte.
Il principio di onnicomprensività della retribuzione non risulta, perciò, richiamato in modo pertinente, in quanto
l’attribuzione di indennità aggiuntiva per l’incarico ulteriore relativo al il periodo febbraio – settembre 2019 è stata operata dalla medesima società, con il riconoscimento di una specifica voce retributiva aggiuntiva; nella presente controversia si verte sulla diversa questione della retroattività di tale riconoscimento in ragione e in connessione dell’effettivo svolgimento dell’incarico aggiuntivo anche in periodo precedente.
Il terzo motivo è infondato per le stesse ragioni esposte riguardo a quelli precedenti, in quanto ripropone il medesimo dissenso in ordine alla ricostruzione complessiva della vicenda sotto diverso profilo fattuale ; per l’effetto, si deve concludere che la sentenza gravata resiste alle censure svolte.
Le spese di lite del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante, nella ricorrenza dei presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi professionali, € 200 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 febbraio