Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13242 Anno 2024
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Civile Ord. Sez. L Num. 13242 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 13976-2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del AVV_NOTAIO pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4935/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/11/2017 R.G.N. 2743/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/02/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO
Che, con sentenza dell’8 novembre 2017, la Corte d’Appello di Roma confermava la decisione resa dal Tribunale di Roma e rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME nei
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 22/02/2024
COGNOME.
Rep.
Ud. 22/02/2024
CC
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confronti del RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto il riconoscimento in favore dell’istante, la quale aveva prestato servizio presso il Consolato Generale d’Italia in Casablanca in virtù di tre successivi contratti, il primo in vigore sino al 31.12.2001 regolato dalla legge italiana e dal d.P.R. n. 18/1967, il secondo stipulato il 27.4.2001, sottoposto alla legge locale in conformità al medesimo d.P.R. n. 18/1967 ed il terzo stipulato in data 2.7.2002 nuovamente regolato dalla legge italiana a s eguito dell’opzione prevista dalla l. n. 442/2001 nel quale si faceva espresso rinvio al d.P.R. 18/1967 come modificato dal d.lgs. n. 103/2000 ed al CCNL per il comparto Ministeri del 22.10.1997, del diritto al TFR ai sensi della disposizione transitoria di cui all’art. 2, comma 7, d.lgs. n. 103/2000 ed altresì del diritto ad una retribuzione tripla rispetto a quella percepita (pari a quella corrisposta ad altra contrattista in servizio presso l’Ambasciata italiana in Marocco a Rabat) stante il principio d i parità di trattamento economico tra i vari contrattisti a parità di mansioni, e comunque in ragione dell’inadeguatezza di detta retribuzione ai sensi dell’art. 157, d.P.R. 18/1967; che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto, non dovuto il TFR, risultando l’ultimo contratto conforme al disposto dell’art. 166 d.P.R. n. 18/1967, come modificato dal d.lgs. n. 103/2000 che sanciva l’inapplicabilità al personale a contratto della disciplina in materia di cui al CCNL di comparto e non essendo applicabile la disciplina transitoria di cui all’art. 2, comma 7, d.lgs. n. 103/2000 stante l’effetto novativo conseguente alla stipula del nuovo contratto di lavoro ed insussistente altresì il diritto ad una retribuzione superiore né sotto il profilo della parità di trattamento economico con la contrattista in servizio presso l’Ambasciata a Rabat e ciò anche al di là dell’inconfigurabilità di un tale principio nel nostro ordinamento, non essendo comparabili le posizioni a motivo dei diversi regimi in vigore
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all’atto dell’assunzione, né sotto il profilo dell’inadeguatezza ex art. 36 Cost. non avendo la COGNOME allegato e provato a quella stregua l’insufficienza della stessa;
che per la cassazione di tale decisione ricorre la COGNOME, affidando l’impugnazione a nove motivi, cui resiste, con controricorso, il RAGIONE_SOCIALE;
che la ricorrente ha poi presentato memoria;
CONSIDERATO
che, con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 7, d.lgs. n. 103/2000, imputa alla Corte territoriale la mancata applicazione, all’atto della stipula del secondo contratto, di tale norma di salvaguardia del trattamento di fine rapporto in essere ai sensi dell’originaria formulazione dell’art. 166 d.P.R. n.18/1967;
che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., la ricorrente, sul presupposto della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con il RAGIONE_SOCIALE, lamenta a carico della Corte territoriale la ritenuta ammissibilità, nel quadro di un rapporto che, in quanto subordinato, doveva ritenersi unico ed ininterrotto, la rinunzia, in sede di stipula del successivo contratto, al TFR, del resto esplicitamente esclusa dalla novella di cui al d.P.R. n. 103/2000 con la previsione della clausola di salvaguardia di cui al citato art. 2, comma 7;
che nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 1230, 2730 e 2735 c.c. è prospettata in relazione all’erronea interpretazione cui approda la Corte territoriale circa la natura novativa del contratto concluso tra le parti una volta venuto a cessare il primo rapporto;
che, con il quarto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 1230 e 2120 c.c., del d.lgs. n. 103/2001 del d.P.R. n. 18/1967 e RAGIONE_SOCIALE artt. 36 e 97 Cost., la ricorrente, ribadisce, alla stregua dei parametri
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normativi invocati, l’erroneità dell’interpretazione della Corte territoriale circa la natura novativa del nuovo contratto stipulato tra le parti;
che con il quinto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del CCNL applicato al rapporto di lavoro, imputando alla Corte territoriale l’erronea interpretazione del comma 4 dell’art. 2, del c.d. ‘Accordo successivo’ del 12.4.2001, laddove assume che il rinvio ivi operato al d.lgs. n. 103/2001 riferibile alla previsione a regime che esclude l’applicabilità dell’istituto del TFR piuttosto che alla norma transitoria di conservazione del diritto riconosciuto dall’art. 166 d.P.R. n. 18/1967;
che nel sesto motivo la violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 18/1967, del d.lgs. n. 103/2001 e RAGIONE_SOCIALE artt. 36 e 97 Cost. è dedotta con riferimento alla disconosciuta operatività nella specie del disposto dell’art. 157, comma 3, d.P.R. n. 18/1967 secondo cui la retribuzione annua base del personale in servizio presso le rappresentanze diplomatiche deve essere determinata in modo uniforme per Paese e mansioni omogenee;
che, con il settimo motivo, la denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., del d.P.R. n. 18/1967, del d.lgs. n. 103/2000 e RAGIONE_SOCIALE artt. 36 e 97 Cost. è argomentata con riferimento al malgoverno delle regole sull’onere della prova imputato alla Corte territoriale per aver ritenuto la ricorrente onerata della prova dell’inadeguatezza della retribuzione percepita alla stregua dei parametri di cui all’art. 157 d.P.R. n. 18/1967;
che, con l’ottavo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 101, 421 e 437 c.c. con riferimento all’ error in procedendo in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel non ammettere la richiesta istruttoria concernente l’acquisizione di documentazione di formazione successiva al deposito dell’atto d’appello, neppure sulla base
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dei poteri istruttori d’ufficio il cui esercizio e da qualificare come potere/dovere, avendo poi fondato la propria decisione sulla base della carenza di allegazione e prova circa la inadeguatezza della retribuzione percepita;
che, con il nono motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., si imputa alla Corte territoriale l’omessa pronunzia in ordine al motivo di gravame diretto a censurare la pronunzia resa dal primo giudice di condanna dell’odier na ricorrente al pagamento delle spese di lite quando la difesa dell’Amministrazione era affidata a propri funzionari;
che l’impugnazione proposta merita accoglimento, non consentendo la pronunzia della Corte territoriale di verificare la situazione di fatto, in particolare con riguardo all’accertamento della esatta successione cronologica dei contratti in base ai quali la ricorrente ha prestato servizio, della loro natura, a tempo indeterminato o determinato, del regime a ciascuno di essi applicato nonché delle somme eventualmente dovute e di quelle già versate e, di conseguenza della conformità al quadro normativo e contrattuale come ricostruito con riferimento a fattispecie analoghe da questa Corte (cfr. Cass. n. 7531/2021) che qui di seguito si riporta, muovendo dal rilievo per cui tale quadro si configura come speciale rispetto alla disciplina dell’impiego pubblico contrattualizzato, in ragione della peculiare natura dei rapporti di lavoro che, sebbene attribuiscano la qualità di datore al RAGIONE_SOCIALE e non ai suoi organi periferici (Cass. S.U. n. 15536/2016; Cass. S.U. n. 5872/2012 e la giurisprudenza ivi richiamata), vengono instaurati, nel rispetto del contingente previsto per legge, in base alle esigenze di servizio delle rappresentanze diplomatiche, RAGIONE_SOCIALE uffici consolari e RAGIONE_SOCIALE istituti di cultura, i quali, ai sensi dell’art. 152 del d.P.R. n. 1 8/1967, come riformulato dal d.lgs. n. 103/2000, procedono direttamente
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all’assunzione, previa autorizzazione dell’amministrazione centrale, nel rispetto dei requisiti e delle procedure previste dalla legge speciale;
che il d.lgs. n. 165/2001, nel dettare le norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, ha ribadito detta specialità ed ha previsto, in tutte le versioni dell’art. 45 succedutesi nel tempo, che « le funzioni ed i relativi trattamenti economici accessori del personale non diplomatico del RAGIONE_SOCIALE per i servizi che si prestano all’estero presso le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari e le istituzioni culturali e scolastiche, sono disciplinati, limitatamente al periodo di servizio ivi prestato, dalle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967 n. 18, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché dalle altre pertinenti normative di settore del RAGIONE_SOCIALE »;
che la specialità della disciplina è stata da tempo sottolineata da questa Corte la quale, valorizzando il richiamato comma 3 dell’originario art. 45 (comma 5 nella formulazione attuale) nonché l’analitica disciplina dettata dal d.P.R. n. 18/1967, ha evidenziat o che risulta chiaro l’obiettivo del legislatore di regolare il rapporto di lavoro del personale del quale qui si discute in maniera autonoma rispetto a quello dei dipendenti stabilmente inseriti nei ruoli del RAGIONE_SOCIALE, obiettivo giustificato «dalla circostanza che le funzioni svolte nell’ambito del servizio diplomatico dalla categoria del personale assunto a livello locale sono quelle proprie (ma indeterminate) delle “esigenze di servizio” della rappresentanza diplomatica interessata (o RAGIONE_SOCIALE uffici ad essa equiparata)» (Cass. n. 20356/2014; sulla specialità della disciplina cfr. Cass. n. 23089/2016 e Cass. n. 16755/2019) che premessa, quindi, la specialità della disciplina, occorre evidenziare che nella sua formulazione originaria l’art. 154
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del d.P.R. n. 18/1967 quanto al regime dei contratti stipulati ai sensi RAGIONE_SOCIALE artt. 152 e 155 dello stesso decreto, operava una differenziazione fondata sulla cittadinanza e prevedeva, al comma 1, che il rapporto instaurato con cittadini italiani sarebbe stato disciplinato «dalle disposizioni del I e del II capo del presente titolo, sempre che non osti la legge locale» che il regime delle assunzioni di persone non in possesso della cittadinanza italiana era, invece, fissato dal comma 3, che individuava nella legge locale la fonte regolatrice del rapporto, aggiungendo, però, che « nelle materie in cui le disposizioni locali non stabiliscano o stabiliscano soltanto in modo manifestamente insufficiente, ivi compresi gli aumenti del carico di famiglia e quelli per anzianità di servizio, l’amministrazione può a suo giudizio e nei limiti che ritiene opportuni fare ricorso alle disposizioni del capo II in quanto applicabili o conformarsi a quanto praticato da altre rappresentanze diplomatiche e uffici consolari del luogo »; che n el capo II risultava inserito l’art. 166, volto a disciplinare la risoluzione del contratto, che, dopo avere previsto le diverse ipotesi di cessazione anticipata del rapporto (dimissioni, incapacità professionale, scarso rendimento, motivi disciplinari, riduzione di personale, motivi straordinari a giudizio del AVV_NOTAIO per RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE), stabiliva al comma 6 che « in caso di risoluzione del contratto o di cessazione dal servizio per limiti di età è corrisposta un’ indennità pari alla metà dell’ul tima retribuzione mensile per ogni anno di servizio prestato »
che pertanto, sulla base delle richiamate disposizioni, come si è detto speciali rispetto alla disciplina generale del rapporto di impiego con il RAGIONE_SOCIALE, ai dipendenti a contratto di cittadinanza italiana veniva corrisposta, al momento della cessazione o della risoluzione del rapporto, l’indennità di anzianità prevista dall’art. 166 comma 6 del d.P.R. n. 18/1967, mentre per gli assunti assoggettati alle
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leggi locali il trattamento economico di fine rapporto poteva essere o quello previsto dalla legge del luogo di svolgimento della prestazione oppure quello riservato ai cittadini italiani dall’art. 166, se richiamato nel contratto individuale ai sensi e n ei casi previsti dall’art. 154, 3° comma, del citato d.P.R. ; che c on l’art. 4 della legge n. 266/1999 il legislatore ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi in materia di personale assunto localmente dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti italiani di cultura all’estero ed ha inserito fra i criteri direttivi, oltre a quello della semplificazione e della omogeneizzazione dei differenti regimi, la necessaria « stipulazione dei contratti sulla base RAGIONE_SOCIALE ordinamenti RAGIONE_SOCIALE Stati di accreditamento, assicurando comunque uno standard minimo di trattamento nei casi e per le materie in cui le previsioni della normativa locale si rivelino inesistenti o insufficienti, e in particolare per quanto riguarda la maternità, l’orario di lavoro, l’assistenza sanitaria e per infortuni sul lavoro, i carichi di famiglia »;
che la delega è stata esercitata con il d.lgs. n. 103/2000 che ha riscritto l’intero titolo VI del d.P.R. n. 18/1967 e, nel modificare l’art. 154 relativo al regime dei contratti, ha eliminato ogni diversificazione fondata sulla cittadinanza ed ha previsto come criterio generale quello della applicazione della legge locale, fatte salve le tutele minime assicurate dallo stesso decreto, come riformulato a seguito dell’intervento normativo che il nuovo testo della disposizione, quindi, ottemperando alle indicazioni date dal legislatore delegante, assegna prevalenza nel rapporto fra le fonti alla legge locale, che trova applicazione sia nelle materie nelle quali nulla prevede il d.P.R., sia qualora riservi al lavoratore un trattamento di miglior favore rispetto a quello riconosciuto dalla disciplina speciale dettata dal legislatore italiano ( art. 154: Per quanto
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non espressamente disciplinato dal presente titolo, i contratti sono regolati dalla legge locale ….. Le rappresentanze diplomatiche, o, in assenza, gli uffici consolari di prima classe accertano, sentite anche le rappresentanze sindacali in sede, la compatibilità del contratto con le norme locali a carattere imperativo e assicurano in ogni caso l’applicazione delle norme locali più favorevoli al lavoratore in luogo delle disposizioni del presente titolo );
che i l d.lgs. n. 103/2000 ha riscritto, fra gli altri, anche l’art. 166 del d.P.R. n. 18/1967 ed ha eliminato l’ultimo comma che disciplinava l’indennità legata all’anzianità di servizio, sicché, a partire dall’entrata in vigore della nuova disciplina, non si rinviene nel d.P.R. alcuna disposizione che preveda per i dipendenti a contratto un istituto analogo al trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 cod. civ. o all’indennità di buonuscita prevista per i dipendenti delle amministrazioni statali dal d.P.R. n. 1032/1973;
che ciò comporta che per i dipendenti assunti a contratto nella vigenza della nuova normativa il trattamento di fine rapporto sarà dovuto solo se previsto dalla legislazione locale del Paese di accreditamento, trattandosi di un istituto che non è stato ricompreso fra le tutele minime inderogabili che il d.P.R. n. 18/1967, come riformulato, ha inteso in ogni caso assicurare;
che quanto ai rapporti già in essere alla data di entrata in vigore della nuova normativa, il legislatore delegato ha dettato all’art. 2 una complessa disciplina transitoria con la quale è stata innanzitutto prevista, al comma 2, l’ultrattività delle disposizioni dettate dalla contrattazione collettiva, di cui si dirà in prosieguo, per i contratti in precedenza disciplinati dalla legge italiana, fatta salva una diversa opzione espressa dal dipendente interessato, al quale è stato consentito ( comma 4) di ch iedere l’immediata applicazione delle disposizioni dettate dal d.P.R. n. 18/1967 come riformulato,
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con conseguentemente assoggettamento del rapporto alla legge locale, ferme le tutele minime assicurate dal decreto; che i l comma 6 ha concesso un’analoga possibilità di opzione al personale in possesso di doppia cittadinanza, in servizio con contratto regolato dalla legge locale, al quale è stato consentito di scegliere, entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, fra la stipula di un nuovo contratto regolato integralmente dalla nuova disciplina ( legge locale e tutele minime assicurate dal d.P.R.) ed il regime giuridico ad esaurimento previsto in via transitoria per i rapporti in precedenza assoggettati alla legge italiana;
che la facoltà di opzione negli stessi termini sopra indicati è stata riconosciuta, infine, al personale di cittadinanza italiana in servizio con contratto a tempo indeterminato presso gli istituti italiani di cultura (comma 5);
che il comma 7 ha, poi, stabilito che « è fatto salvo il diritto all’indennità di fine rapporto, nella misura prevista dai contratti di impiego, per gli impiegati in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto »;
che l ‘interpretazione di quest’ultima disposizione, che è poi quella che specificamente rileva ai fini della soluzione della questione qui controversa, richiede che si dia conto anche della disciplina dettata dagli Accordi successivi richiamati nel comma 2 dell ‘art. 2, ossia gli accordi che disciplinavano i rapporti di lavoro in precedenza assoggettati alla legge italiana;
che s ulla misura e sulla disciplina dell’indennità di fine rapporto nulla disponeva l’Accordo del 22 ottobre 1997 ed il silenzio delle parti collettive trova giustificazione nel fatto che, all’epoca, per il personale assoggettato alla legge italiana era il d.P.R. che attribuiva al dipendente il diritto a percepire l’indennità nell’importo stabilito dall’art. 166, ultimo comma;
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che il successivo accordo del 28 marzo 2001, sottoscritto dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 103/2000, ha, invece, espressamente inserito il trattamento di fine rapporto fra le materie in relazione alle quali è stata esclusa l’applicazione della disciplina dettata dal CCNL per il comparto Ministeri ( art. 2, comma 2, lett. b) che esclude l’applicazione dell’art. 32 dell’ipotesi di accordo del 31 gennaio 2001, poi definitivamente sottoscritta il 16.5.2001 -CCNL integrativo del CCNL 16.2.1999). Il successivo comma 4, pur richiamando in linea generale per le materie escluse «le disposizioni di legge, riguardanti gli istituti di cui al comma 2, destinate alla generalità dei lavoratori», aggiunge che «il trattamento di trasferimento, il trattamento di fine rapporto, le modalità di applicazione di benefici economici previsti da discipline speciali sono disciplinati dal d.lgs. n. 103 del 2000»;
che la disciplina contrattuale, quindi, si armonizza con quella dettata dal legislatore, perché l’esclusione dell’applicazione dell’art. 32 del CCNL 16.5.2001 ed il rinvio al d.lgs. n. 103/2000 evidenziano la piena consapevolezza delle parti collettive in merito all’esistenza di una normativa speci ale del trattamento di fine rapporto dettata per i contratti dei quali qui si discute;
che così ricostruito il quadro normativo e contrattuale ritiene il Collegio che l’interpretazione data all’art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 103/2000 dal RAGIONE_SOCIALE, fatta propria dalla Corte territoriale, non sia condivisibile, perché la conservazione della sola indennità di fine rapporto maturata sino alla data di entrata in vigore della nuova normativa non è coerente con il tenore letterale della disposizione, che non pone limiti temporali al diritto né prevede la liquidazione, in occasione della stipula del nuovo contratto, di quanto già maturato a detto titolo;
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che la tesi del RAGIONE_SOCIALE, inoltre, contrasta con la possibilità concessa ai dipendenti già assoggettati alla legge italiana di sottrarre il rapporto all’immediata applicazione della disciplina dettata dal d.P.R. n. 18/1967, come riformulato, posto che solo que st’ultima potrebbe giustificare la perdita per il futuro dell’indennità originariamente prevista dal 6° comma dell’art. 166, abrogato in occasione della modifica legislativa. Analoghe considerazioni vanno espresse sulla non compatibilità dell’esegesi fatta propria dalla Corte territoriale con la facoltà di opzione disciplinata dai commi 5 e 6 dell’art. 2 perché anche per il personale in precedenza assoggettato alla legge locale la scelta per l’applicazione della legge italiana, conferisce ultrattività alla disciplina previgente, destinata ancora ad operare, sia pure ad esaurimento; che ciò premesso rileva il Collegio che il comma 7 detta significativamente una disciplina transitoria specifica per la sola indennità di fine rapporto del tutto svincolata dall’esercizio delle opzioni, ed anche dalle diversità di regime fra i contratti, perché si riferisce in via generale a tutti «gli impiegati in servizio» e garantisce la conservazione del diritto all’indennità nella misura prevista nei contratti di impiego ; che l ‘ incipit della norma ( ‘è fatto salvo’), inoltre, circoscrive l’applicazione della disposizione transitoria a coloro ai quali l’indennità di fine rapporto sarebbe stata riconosciuta, alla cessazione o alla risoluzione del rapporto stesso, o per effetto della disciplina vigente al momento della stipula del contratto ( contratti sottoposti alla legge italiana) o in ragione della possibilità concessa al MAE di estendere ai rapporti assoggettati alla legge locale gli istituti previsti dalla legge italian a nell’ipotesi prevista dall’art. 154, comma 3, del d.P.R. n. 18/1967;
che la disposizione in parola non consente, invece, di riconoscere, per effetto dell’opzione di cui ai commi 5 e 6, l’indennità anche ai dipendenti a contratto i quali in
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precedenza non avevano titolo per percepire l’indennità stessa, in ragione della diversità di disciplina di cui si è detto; che in altri termini il legislatore, dopo avere consapevolmente escluso per i nuovi assunti il diritto all’indennità di anzianità, se non prevista dalla legge locale, ha inteso salvaguardare la posizione di coloro che di quella indennità avrebbero goduto se la disciplina fosse rimasta immutata, ed a tal fine ha dettato una specifica disposizione transitoria, il cui tenore letterale non consente un’applicazione limitata alla sola anzianità sino a quel momento maturata;
che in tal senso, quindi, deve essere precisato il principio di diritto già affermato da questa Corte con le ordinanze nn. 30239/2017, 13625/2020 e 987/2020, perché l’infrazionabilità dell’anzianità (qui ribadita per le ragioni indicate nelle citate pronunce che si richiamano ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.) e la conservazione del diritto a percepire, al momento della cessazione del servizio o della risoluzione del contratto, l’indennità di fine rapporto operano in relazione, non al trattamento di c ui all’art. 2120 cod. civ., disposizione questa non applicabile ai contratti dei quali qui si discute, bensì all’indennità prevista dall’originario comma 6 dell’art. 166 d.P.R. n. 18/1967 ed a quella riconosciuta nei contratti individuali ai sensi del comb inato disposto dell’art. 154, comma 3, e del citato art. 166, comma 6, del richiamato d.P.R.;
che conclusivamente vanno affermati, sulla base delle argomentazioni sopra espresse, i seguenti principi di diritto: « a) dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 103/2000, che ha riformulato l’art. 166 del d.P.R. n. 18/1967, abrogando il comma 6 relativo all’indennità di cessazione o di risoluzione del rapporto, il trattamento di fine rapporto per i nuovi assunti ex art. 152 e seguenti del richiamato d.P.R. deve essere corrisposto solo se previsto dalla legge locale dello Stato di accreditamento, in assenza della quale non può
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essere invocata l’applicazione dell’art. 2120 cod. civ.; b) per gli impiegati a contratto, già in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 103/2000 con contratto a tempo indeterminato assoggettato alla legge locale, che abbiano esercitato l’opzione prevista dal comma 6 dell’art. 2 del d.lgs. n. 103/2000, il diritto a percepire, alla cessazione o alla risoluzione del rapporto e senza soluzione di continuità, l’indennità di anzianità è conservato, in base all’art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 103/2000, alle condizioni e nei limiti previsti dal contratto individuale in essere alla data di entrata in vigore della nuova normativa; c) per il personale in servizio con contratto a tempo indeterminato alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 103/2000 assoggettato alla legge italiana è conservato il diritto a percepire, alla cessazione o alla risoluzione del rapporto e senza soluzione di continuità, l’indennità prevista dall’art. 166, comma 6, del d.P.R. n. 18/1987 nel testo antecedente alla riformulazione della norma operata dal richiamato decreto legislativo»;
che ai fini della definizione dell’ulteriore questione dell’applicabilità o meno della disposizione transitoria, interpretata nei termini sopra indicati, anche nell’ipotesi in cui la ricorrente non rientri tra coloro che originariamente non erano ricompresi nella platea dei destinatari dell’art. 2 del d.lgs. n. 103/2000, perché alla data di entrata in vigore della nuova normativa erano in servizio sulla base di contratti non a tempo indeterminato, bensì di prima assunzione, ossia a tempo determinato ai sens i dell’art. 162, comma 1, del d.P.R. n. 18/1987 secondo cui « Il contratto di prima assunzione ha termine alla fine del secondo anno solare successivo alla stipulazione.» si osserva quanto segue;
che l’art. 3 della legge n. 442/2001, abrogato dall’art. 62, comma 1, del d.l. n. 5/2012, ha esteso anche al personale, in servizio alla data del 13 maggio 2000 con contratto regolato dalla legge italiana, la facoltà di optare per un
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contratto a tempo indeterminato sottratto alla nuova disciplina (legge locale e d.P.R. n. 18/1967 come riformulato), ma la disposizione non ha richiamato nella sua interezza l’art. 2 del d.lgs. n. 103/2000, limitandosi a prevedere l’opzione dalla quale la categoria in precedenza era stata esclusa;
che r itiene il Collegio che l’interpretazione della normativa debba essere orientata al rispetto della disciplina eurounitaria ed in particolare della clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE, che sancisce il principio di non discriminazione, quanto alle condizioni di impiego, fra assunti a termine e dipendenti a tempo indeterminato;
che ai primi, pertanto, il diritto a conservare il trattamento di fine rapporto va riconosciuto negli stessi limiti previsti per la corrispondente categoria dei dipendenti già in servizio con contratto a tempo indeterminato, posto che, diversamente interpretata, la norma finirebbe per riservare un trattamento deteriore agli assunti a termine, non giustificato da ragioni oggettive, bensì solo dalla natura temporanea del rapporto; che l a conservazione dell’indennità di anzianità prevista dal testo originario dell’art. 166, comma 6, del d.P.R. n. 18/1967 va garantita, pertanto, anche ai titolari di contratto di prima assunzione regolato dalla legge italiana, il cui rapporto, divenuto a tempo indeterminato a seguito di rinnovo ex art. 162, comma 2, sia ricompreso fra quelli per i quali, ad esaurimento, continua a trovare applicazione la disciplina previgente;
che il ricorso va dunque accolto, nei limiti di cui in motivazione, e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che, previo espletamento RAGIONE_SOCIALE accertamenti sopra indicati procederà ad un nuovo esame della posizione della ricorrente, anche con riguardo alla domanda relativa al diritto ad una retribuzione
determinata in base al principio di parità di trattamento, nuovo esame da condurre alla luce dei principi di diritto enunciati, disponendo altresì in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ai principi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma , in