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Indennità di esclusività: no al servizio in convenzione

La Corte di Cassazione ha stabilito che il periodo di servizio svolto da personale medico in regime convenzionale non può essere computato ai fini del calcolo dell’indennità di esclusività. Con l’ordinanza n. 31418/2024, la Suprema Corte ha chiarito che tale indennità è strettamente legata all’esperienza professionale maturata in un rapporto di lavoro subordinato come dirigente del Servizio Sanitario Nazionale, escludendo i periodi di lavoro autonomo. La decisione riforma la sentenza d’appello che aveva invece riconosciuto tale diritto, sottolineando la natura eccezionale e di stretta interpretazione delle norme sul transito del personale convenzionato nei ruoli della dirigenza.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità di esclusività: il servizio in convenzione non conta

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato una questione cruciale per il personale medico del Servizio Sanitario Nazionale: la validità del servizio pre-ruolo svolto in regime convenzionale ai fini del calcolo dell’indennità di esclusività. La Suprema Corte ha stabilito un principio chiaro: solo l’esperienza maturata come dipendente subordinato può essere considerata, escludendo di fatto gli anni di servizio come medico di guardia o di medicina dei servizi.

I fatti di causa

La vicenda trae origine dal ricorso di un gruppo di medici contro un’Azienda Sanitaria Provinciale. I professionisti, dopo essere transitati da un rapporto di lavoro convenzionale a un rapporto di lavoro subordinato come dirigenti medici, chiedevano il riconoscimento dell’intera anzianità maturata per ottenere l’indennità di esclusività nella fascia retributiva superiore, prevista per chi ha oltre 15 anni di esperienza.

Inizialmente il Tribunale aveva respinto la loro domanda. Successivamente, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, accogliendo le richieste dei medici. Secondo i giudici di secondo grado, una normativa speciale (D.Lgs. 254/2000 e DPCM 8 marzo 2001) avrebbe previsto, in via eccezionale, la piena valutazione del servizio ‘pre-ruolo’ ai fini della maturazione dell’esperienza professionale.

L’Azienda Sanitaria ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che tale interpretazione fosse errata.

La questione dell’indennità di esclusività e del servizio pregresso

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione del concetto di “esperienza professionale” menzionato nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) della Dirigenza Medica. L’indennità di esclusività è un elemento retributivo pensato per compensare l’impegno del dirigente medico a lavorare unicamente per il settore pubblico, rinunciando alla libera professione.

Il quesito giuridico era se il servizio svolto in convenzione, caratterizzato da autonomia professionale e non da subordinazione, potesse essere equiparato a quello di un dirigente medico dipendente ai fini di questo specifico emolumento. Mentre la Corte d’Appello aveva optato per un’interpretazione estensiva, la Cassazione è stata chiamata a definire i confini esatti della normativa contrattuale e di quella eccezionale sul transito del personale.

La decisione della Cassazione sulla indennità di esclusività

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Azienda Sanitaria, cassando la sentenza d’appello e respingendo definitivamente la domanda dei medici. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa e sistematica delle norme vigenti.

Le motivazioni

I giudici di legittimità hanno chiarito che l’indennità di esclusività è intrinsecamente legata alla qualifica di dirigente e al rapporto di lavoro subordinato. La nozione di “esperienza professionale” richiamata dal CCNL deve essere interpretata come riferita esclusivamente all’attività svolta in regime di dipendenza, dove esistono concetti come “anzianità”, “comparto” e “rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato”, terminologia non applicabile al lavoro autonomo convenzionato.

La Corte ha inoltre sottolineato che le disposizioni normative che consentono il riconoscimento del servizio pregresso (DPCM 8 marzo 2001) costituiscono una disciplina speciale e, come tali, non possono essere applicate per analogia o in via estensiva. Tali norme mirano a evitare un peggioramento economico al momento del transito, ma non a creare una totale equiparazione tra due rapporti di lavoro strutturalmente diversi. In particolare, non equiparano il servizio convenzionale a quello dirigenziale per l’ottenimento di un’indennità specificamente creata per remunerare l’esclusività del rapporto di impiego pubblico.

Riconoscere il servizio convenzionato, secondo la Corte, creerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento a danno dei dirigenti medici che sono sempre stati dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale, vedendo la loro esperienza equiparata a quella maturata in un contesto lavorativo differente.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione stabilisce un principio fondamentale: l’esperienza professionale utile per l’indennità di esclusività è solo quella acquisita in qualità di dirigente del SSN in un rapporto di lavoro subordinato. Il servizio prestato in regime convenzionale, pur essendo professionalmente valido, non può essere computato a tal fine. Questa ordinanza fornisce un’interpretazione chiara e restrittiva, ponendo fine a un dibattito giurisprudenziale e definendo con precisione i presupposti per l’accesso a una delle più importanti voci retributive della dirigenza medica.

Il servizio medico svolto in regime di convenzione è valido per calcolare l’indennità di esclusività?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che ai fini del calcolo dell’indennità di esclusività rileva solo l’esperienza professionale maturata in un rapporto di lavoro subordinato come dirigente del Servizio Sanitario Nazionale, escludendo quella derivante da un rapporto convenzionale.

Perché la Corte distingue tra anzianità maturata in convenzione ed esperienza professionale utile per l’indennità?
La Corte opera questa distinzione perché l’indennità di esclusività è un istituto contrattuale pensato per incentivare e compensare la scelta del dirigente di dedicarsi esclusivamente al servizio pubblico. Tale finalità è strettamente connessa alla natura del rapporto di lavoro subordinato e alla qualifica dirigenziale, che non sussistono nel rapporto convenzionale di natura autonoma.

La normativa transitoria per i medici che passano dalla convenzione al ruolo di dipendente crea una piena equiparazione dei servizi?
No, la normativa che regola il transito del personale convenzionato nei ruoli della dirigenza è di carattere eccezionale e deve essere interpretata in modo restrittivo. Essa non determina una totale parificazione dei due periodi di servizio per ogni effetto giuridico ed economico, ma si limita a riconoscimenti specifici, senza estendersi all’indennità di esclusività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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