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Indennità di coordinamento: serve l’atto formale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una professionista sanitaria che richiedeva il pagamento dell’indennità di coordinamento. La decisione si fonda sulla mancata prova da parte della lavoratrice di aver ricevuto un incarico formale per le funzioni di coordinamento e sulla mancata specificazione della sua categoria di inquadramento (C o D) alla data rilevante, elemento cruciale per determinare i presupposti del diritto.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità di coordinamento: la Cassazione ribadisce la necessità dell’atto formale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema del diritto all’indennità di coordinamento nel settore sanitario pubblico, chiarendo i presupposti necessari per il suo riconoscimento. La Corte ha stabilito che non è sufficiente svolgere di fatto le mansioni di coordinamento, ma è indispensabile dimostrare l’esistenza di un atto formale di conferimento dell’incarico. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dai giudici.

I fatti del caso: la richiesta di una professionista sanitaria

Una collaboratrice professionale sanitario-infermiera, dipendente di un’Azienda Sanitaria Locale, si era rivolta al giudice per ottenere il riconoscimento dell’indennità di coordinamento prevista dall’art. 10 del CCNL Sanità per il biennio 2000/2001. La lavoratrice sosteneva di aver svolto in via esclusiva e continuativa le relative funzioni, chiedendo quindi il pagamento della relativa componente economica.

La decisione dei giudici di merito

Sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello avevano respinto la domanda della professionista. Secondo i giudici, la lavoratrice non aveva fornito la prova necessaria a sostenere la sua pretesa. In particolare, non era riuscita a dimostrare di possedere, alla data di riferimento del 31 agosto 2001, i requisiti richiesti dalla norma contrattuale. La documentazione prodotta è stata ritenuta insufficiente a comprovare un formale atto di incarico, avendo un mero “contenuto propositivo”. Inoltre, la Corte d’Appello aveva evidenziato una carenza fondamentale nella domanda: la mancata specificazione della categoria di appartenenza della dipendente (C o D) a quella data, un dato essenziale poiché i presupposti per ottenere l’indennità erano diversi a seconda dell’inquadramento.

L’indennità di coordinamento e la decisione della Cassazione

La lavoratrice ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando un’errata interpretazione della norma contrattuale da parte della Corte d’Appello. A suo avviso, l’atto formale richiesto non riguardava il conferimento delle funzioni, ma solo il successivo riconoscimento del loro effettivo esercizio. La Suprema Corte ha però dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione precedente e chiarendo importanti aspetti procedurali e sostanziali.

La necessità dell’atto formale di incarico

La Cassazione ha ribadito il suo orientamento consolidato: affinché sussista il diritto all’indennità di coordinamento, è necessario un conferimento ‘formale’ dell’incarico. Questo richiede:
1. Traccia documentale: l’incarico deve risultare da un documento scritto.
2. Autorità competente: l’assegnazione deve provenire da soggetti che, secondo l’organizzazione dell’ente, hanno il potere di conformare la prestazione lavorativa del dipendente.
3. Oggetto specifico: l’incarico deve riguardare attività dei servizi di assegnazione e gestione del personale.

La Corte ha specificato che la valutazione sulla sussistenza di un tale atto formale è un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente concluso per l’assenza di un atto formale di attribuzione.

L’onere della prova e la qualifica professionale

Un punto cruciale della decisione è stata l’inammissibilità del motivo di ricorso perché non affrontava una delle ratio decidendi della sentenza d’appello: la mancata specificazione della qualifica posseduta dalla ricorrente. I giudici hanno sottolineato come questo dato fosse essenziale, dato che i presupposti per il riconoscimento dell’indennità variavano a seconda che il dipendente appartenesse alla categoria C o D. La difesa della lavoratrice, non contestando questo specifico punto della motivazione, ha reso il suo ricorso inefficace e, di conseguenza, inammissibile.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione di inammissibilità su due pilastri. Il primo è di natura processuale: il ricorso non si è confrontato con una delle ragioni decisive della sentenza impugnata, ovvero l’incertezza sulla categoria di inquadramento della dipendente alla data rilevante. Tale omissione rende il motivo di ricorso non pertinente, in quanto non è in grado di scalfire la solidità della decisione di secondo grado, che si reggeva anche su quella autonoma argomentazione. Il secondo pilastro è di natura sostanziale: la Corte ha ribadito che l’accertamento sull’esistenza di un atto formale di incarico è una valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità. La Corte territoriale aveva concluso, sulla base delle prove prodotte, che nessun atto formale era stato emesso e che i documenti presentati avevano solo un valore “propositivo”. Questa conclusione, essendo un giudizio sul merito della prova, non poteva essere riesaminata dalla Cassazione.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma un principio fondamentale in materia di pubblico impiego e retribuzione: per ottenere il riconoscimento di indennità legate a specifiche funzioni, come l’indennità di coordinamento, non basta dimostrare di averle svolte di fatto. È onere del lavoratore provare, con documentazione idonea, di aver ricevuto un incarico ufficiale e formale da parte di un superiore gerarchico competente. Inoltre, è essenziale che il lavoratore delinei con precisione tutti gli elementi della propria domanda, inclusa la qualifica professionale, poiché da essa possono dipendere i requisiti stessi per il riconoscimento del diritto. L’assenza di tale prova o la carenza degli elementi della domanda portano inevitabilmente al rigetto della richiesta.

Per ottenere l’indennità di coordinamento è sufficiente svolgere di fatto le mansioni superiori?
No, secondo la Corte di Cassazione non è sufficiente. È necessario dimostrare che l’incarico sia stato conferito tramite un atto formale da parte di chi ha il potere di organizzare la prestazione lavorativa.

Chi ha l’onere di provare i presupposti per il diritto all’indennità?
L’onere della prova ricade interamente sul lavoratore che richiede l’indennità. Egli deve dimostrare il possesso di tutti i requisiti indicati dalla norma contrattuale, incluso l’atto formale di incarico e la propria qualifica professionale alla data rilevante.

Quali sono i requisiti per un incarico di coordinamento ‘formale’ secondo la Cassazione?
L’incarico ‘formale’ richiede tre condizioni: a) deve esistere una traccia documentale dell’incarico; b) l’incarico deve essere stato assegnato da persone con il potere di conformare la prestazione lavorativa del dipendente; c) deve avere ad oggetto le attività dei servizi di assegnazione e gestione del personale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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