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Indennità chilometrica: quando spetta al medico?

Un medico ha richiesto a un’azienda sanitaria un’indennità forfettaria per le visite fiscali effettuate con la propria auto. La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, stabilendo che il diritto a questa specifica indennità chilometrica sorge solo se l’azienda sanitaria riceve un pagamento per il servizio dal datore di lavoro che ha richiesto la visita, una condizione non dimostrata nel caso di specie.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità Chilometrica per Medici: La Cassazione Chiarisce i Limiti

L’erogazione dell’indennità chilometrica ai medici che effettuano visite fiscali per conto delle Aziende Sanitarie Locali (ASL) è un tema che genera spesso contenziosi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale sui presupposti necessari per il riconoscimento di un compenso forfettario aggiuntivo, stabilendo precise condizioni che legano il diritto del medico all’effettivo pagamento del servizio da parte del datore di lavoro richiedente.

I Fatti del Caso: La Richiesta del Medico

Un medico, in servizio presso la medicina fiscale di un’Azienda Sanitaria Locale in forza di una convenzione a tempo indeterminato, svolgeva visite di controllo a domicilio per accertare lo stato di malattia dei dipendenti. Per questi spostamenti, utilizzava il proprio veicolo. Il medico ha citato in giudizio l’ASL per ottenere, oltre al rimborso di una quota del costo del carburante (a cui aveva successivamente rinunciato), anche un’indennità forfettaria di 10 euro per ogni visita effettuata fuori dal perimetro urbano, per il periodo tra il 2009 e il 2012.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto la sua richiesta, condannando l’ASL al pagamento di oltre 25.000 euro. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato completamente la decisione, respingendo la domanda del medico. La questione è quindi giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La Decisione e le Condizioni per l’Indennità Chilometrica

La Suprema Corte ha respinto il ricorso del medico, confermando la sentenza d’appello. Il punto centrale della decisione risiede nell’interpretazione delle normative e degli accordi collettivi che regolano la materia (in particolare, il D.P.R. n. 484/1996 e il D.P.R. n. 270/2000).

Secondo i giudici, il diritto del medico a percepire i corrispettivi forfettari per gli spostamenti è subordinato a una duplice e imprescindibile condizione:

1. La visita fiscale deve essere a carico di un datore di lavoro che è tenuto al pagamento di un corrispettivo per tale servizio.
2. L’Azienda Sanitaria deve aver effettivamente ricevuto il pagamento di tale corrispettivo dal datore di lavoro richiedente.

La normativa fa esplicito riferimento a compensi “da porsi a carico del datore di lavoro e ricevuti dalla Azienda”. Di conseguenza, non è sufficiente che la visita sia richiesta: è necessario che il servizio sia oneroso per il richiedente e che il pagamento sia stato incassato dall’ASL.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha smontato le argomentazioni del ricorrente punto per punto. Innanzitutto, ha chiarito che il medico non aveva fornito alcuna prova che le pubbliche amministrazioni, per conto delle quali venivano effettuate le visite, avessero pagato un corrispettivo all’ASL. L’onere della prova di tale circostanza, essendo un fatto costitutivo del diritto, gravava sul medico stesso.

In secondo luogo, la Corte ha respinto l’idea che una prassi aziendale pregressa (l’ASL aveva pagato l’indennità fino al 2008) potesse costituire un diritto acquisito. L’orientamento consolidato stabilisce che la contrattazione collettiva decentrata (a livello di singola azienda) non può derogare in senso contrastante a quanto previsto dagli accordi nazionali. Pertanto, un pagamento effettuato in passato per errore non può fondare una pretesa futura se questa è priva di fondamento normativo.

Infine, i giudici hanno richiamato una sentenza della Corte Costituzionale (n. 207/2010) che, pur dichiarando illegittime alcune norme che ponevano gli oneri delle visite fiscali sui dipendenti pubblici a carico del Servizio Sanitario Nazionale, ha di fatto rafforzato il principio secondo cui tali costi devono essere sostenuti dall’amministrazione richiedente. Questo avvalora la tesi che, se l’ASL non riceve un pagamento, non è tenuta a erogare al medico l’indennità chilometrica forfettaria.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida un principio di rigore e chiarezza: il diritto a un compenso accessorio non può prescindere dalle condizioni specifiche previste dalla normativa contrattuale. Per i medici convenzionati, ciò significa che la richiesta di indennità forfettarie per le visite fiscali è legittima solo se possono dimostrare che l’ASL opera come intermediario di un servizio pagato da un terzo. In assenza della prova che il corrispettivo sia stato ricevuto dall’Azienda, la pretesa economica è destinata a essere respinta. La decisione sottolinea l’importanza di un’attenta verifica dei presupposti contrattuali prima di avviare un’azione legale.

Un medico convenzionato ha sempre diritto a un’indennità forfettaria per le visite fiscali fatte con mezzo proprio?
No. Secondo la Corte, il diritto a tale indennità sorge solo a due condizioni: che la visita sia richiesta da un datore di lavoro tenuto al pagamento di un corrispettivo e che l’Azienda Sanitaria abbia effettivamente ricevuto tale pagamento.

Il costo delle visite fiscali per i dipendenti pubblici è a carico dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL)?
No. La Corte, richiamando una precedente sentenza della Corte Costituzionale, chiarisce che i costi per le visite fiscali richieste dal datore di lavoro pubblico non possono gravare sui bilanci delle ASL ma devono essere posti a carico dell’amministrazione pubblica richiedente.

Se l’ASL ha pagato l’indennità in passato, questo crea un diritto acquisito per il medico?
No. Una prassi aziendale, anche se favorevole, non può creare un diritto se è in contrasto con la disciplina prevista dagli accordi collettivi nazionali. La Corte ha stabilito che il diritto non può sorgere per il solo fatto che l’azienda lo abbia erroneamente riconosciuto in passato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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