Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13941 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13941 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12533-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4423/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/10/2019 R.G.N. 1385/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/02/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rep.
Ud. 28/02/2024
CC
FATTI DI CAUSA
la Corte di appello di Napoli confermava in parte la decisione di primo grado che aveva riconosciuto il diritto di NOME COGNOME a percepire per il periodo dal 1.1.2011 al 31.12.2012 l’indennità di ‘agente unico’ (introdotta con accordo sindacale del 12/9/96 prevedente la corresponsione di lire 6.500 giornaliere, importo aumentato a lire 7.500 giornaliere con l’accordo del 22/12/1997), indennità intesa a compensare le mansioni di scambio degli effetti postali svolte unitamente a quelle di autista e non più versata dopo la fine del 1997 pur persistendone i presupposti, e condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore del lavoratore della somma di euro 1.679,58 oltre accessori, sul punto riformando la sentenza di primo grado che aveva liquidato la maggior somma di E. 1.857,60. La Corte territoriale distingueva il periodo antecedente al 31/12/2010 e quello dall’1/1/2011 al 31/1/2011 ritenendo: quanto al primo periodo, che l’azienda avrebbe dovuto continuare ad erogare il corrispettivo previsto per l’attività aggiuntiva e non avrebbe potuto giammai sopprimerlo unilateralmente avendo peraltro le parti del rapporto di lavoro manifestato per facta concludentia la volontà precisa ed univoca di prorogare l’applicazione degli accordi del 12/9/1996 e del 22/12/1997, richiedendo l’espletamento della prestazione lavorativa secondo le stesse modalità che avevano dato luogo all’erogazione dell’indennità; quanto al secondo periodo, coincidente con quello oggetto del presente giudizio, anche a seguito degli accordi del 27/7/2010 e del 7/10/2010, riteneva che tale indennità fosse ancora dovuta in caso di permanente espletamento delle mansioni di “agente unico” come avvenuto nel caso de quo in cui il lavoratore aveva continuato a svolgere le medesime mansioni espletate in precedenza, vale a dire le attività di autista e messaggere, senza che fosse intervenuta alcuna modifica dell’organizzazione del lavoro.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE affidato ad un unico articolato motivo, anche coltivato da successiva memoria, cui ha resistito con controricorso il lavoratore.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1)- Con primo motivo la società ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1362 c.c. e agli Accordi collettivi di lavoro del 27.7.2010, 6.10.2010 e 11.1.2011 (art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.).
2)Con la seconda censura si denuncia l’omessa motivazione circa la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta da RAGIONE_SOCIALE in ordine alla ridefinizione delle attività di agente Unico, ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 4 c.p.c.)
3)- Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per aver la corte di merito travisato i fatti e le allegazioni delle parti in ordine alla asserita doppia mansione svolta dall’ Agente unico , di autista e di messaggere, diversamente da quanto dedotto dalla società datrice di lavoro circa l’unicità delle mansioni.
4)- Con ultima censura è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2099 c.c., art. 36 Cost., art. 1362 c.c. in relazione all’interpretazione dell’Accordo 12.9.1996 (art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.), ed in particolare alla erronea valutazione circa la natura non retributiva dell’indennità di agente unico.
I motivi nn. 1), 3) e 4) hanno complessivamente ad oggetto la interpretazione delle norme collettive a cui la corte territoriale avrebbe dato una errata lettura soprattutto con riferimento alle attività di ‘messaggere’, ritenuta dal ricorrente non di rilievo ai fini della indennità di agente unico. E’ dedotta, con riferimento alle fonti negoziali susseguitesi dal 1996 in poi, che l’indennità di “agente unico” non remunera il lavoro prestato, ma ha carattere incentivante e comunque accessorio e non necessario, in quanto giustificata da determinati presupposti economici di gestione aziendale e derivante da un accordo collettivo in relazione alla ritenuta e non provata sussistenza di un aggravio dei compiti.
Le censure sono manifestamente infondate alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex multis: Cass. 22 dicembre 2016, n. 26848; Cass. 18 maggio 2016, n. 10288; Cass. 21 marzo 2016, n. -3- Ric. 2015 n. 05705 sez. ML – ud. 06-12-2017 5571; Cass. 30 settembre 2014, n. 20651; Cass. 22 maggio 2014, n. 11330; Cass.
13 marzo 2014, n. 5838; Cass. 22 febbraio 2013, n. 4561; id. 13 dicembre 2012, n. 4561; 22 giugno 2011, n. 17830; 19 maggio 2010, n. 17724; 15 marzo 2010, n. 6274; 14 marzo 2008, n. 20310), da cui non vi è ragione di discostarsi, per la quale l’indennità in questione: remunera le mansioni di ritiro e consegna di oggetti postali svolte unitamente a quelle di autista, sicché ha causa retributiva, non esclusa dal motivo incentivante; è oggetto di un obbligo contrattuale con la conseguenza che, in assenza di concorde volontà delle parti, non può essere ridotta e tanto meno abolita neppure ove – in ipotesi -siano mutate le condizioni economiche aziendali, non avendo la datrice di lavoro neppure invocato un’eventuale eccessiva onerosità sopravvenuta.
È stato, altresì, precisato:
che la scadenza del termine di un accordo o contratto collettivo gli toglie efficacia, ma non sottrae il datore di lavoro dall’obbligo di retribuzione ex art. 2099 cod. civ., il cui ammontare ben può essere determinato dal giudice di merito ex art. 36 Cost. comma 1, con riferimento all’importo già previsto dal contratto individuale, recettivo di quello collettivo (Cass., SU, 30 maggio 2005, n. 11325); che non sarebbe, invero, plausibile configurare tale indennità sganciandola da un’attività lavorativa effettivamente prestata, poiché in tal modo la stessa si trasformerebbe da oggetto di un’obbligazione corrispettiva in elargizione graziosa;
che va richiamato il noto principio di non riducibilità della retribuzione (ricavato dall’art. 2103 cod. civ. e 36 Cost.), esteso alla voce compensativa di particolari modalità di svolgimento del lavoro, ivi compreso l’espletamento di compiti aggiuntivi (anche a tale riguardo la giurisprudenza di questa S.C. è antica e consolidata; cfr., per tutte, Cass. 11 maggio 2000, n. 6046) sicchè è stato ritenuto che l’impegno, assunto con accordo collettivo, di rivedere entro un certo termine l’importo dell’indennità in questione fa sì che, alla scadenza di questo (non seguita da ulteriore accordo modificativo od abolitivo), l’indennità medesima debba essere conservata, eventualmente nel suo ammontare attuale, qualora il datore di lavoro ne abbia disdetto
l’accordo istitutivo (cfr. anche Cass. 15 marzo 2010, n. 6274; Cass. 31 agosto 2011, n. 17937).
Con riguardo al periodo dall’1 /1/2011 al 31/12/2011, la ricorrente denuncia che, a seguito dei richiamati accordi, l’attività di carico e scarico di oggetti postali è stata inclusa e ricompresa nell’ordinaria attività di “operatore trasporti” e pertanto per la stessa non spetta alcuna indennità la quale, inoltre, non rientra neppure nella parte irriducibile della retribuzione.
Anche tali rilievi sono infondati alla luce della giurisprudenza già sopra richiamata ed al principio della irriducibilità della retribuzione affermato proprio con riguardo all’indennità di agente unico; ed infatti, nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto infondata la tesi della società secondo cui gli accordi collettivi del 2010 e 2011 avrebbero comportato un tale decisivo cambiamento della precedente organizzazione del lavoro da significare una implicita ed assoluta abrogazione delle precedenti determinazioni patrizie valorizzando, a tale fine, la circostanza fattuale, ritenuta pacifica tra le parti, che il dipendente avesse continuato a svolgere anche dopo il 31/12/1997 le precedenti mansioni di agente unico – e cioè ad espletare, in aggiunta ai compiti di autista, anche quelli in precedenza svolti da altro dipendente che, viaggiando sullo stesso automezzo, era incaricato della consegna e ritiro degli effetti postali (il cd. messaggere) – senza, perciò, che le pur concordate modifiche organizzative avessero avuto su dette mansioni il benché minimo riflesso (in tal senso anche Cass. n. 34596/2022; Cass. n. 2790/2018).
Si osserva che la tesi proposta dalla società -secondo cui con i nuovi accordi la figura dell’agente unico sarebbe confluita in quella dell’operatore dei trasporti prevedente, oltre all’attività di autista, compiti solo collaterali di carico e scarico -ha natura meramente contrappositiva rispetto alla valutazione del giudice del merito e dunque veicola attraverso la denuncia della violazione di legge, una critica alla valutazione di merito.
A riguardo questa Corte ha chiarito che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata
dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass.nn. 8758/017- 18721/2018).
I motivi proposti devono pertanto essere rigettati.
Altresì da rigettare è il secondo motivo poiché, come già rilevato da questa Corte ‘il vizio di omessa motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento’ ( Cass.n. 16214/2019).
Nel caso in esame parte ricorrente non ha allegato e dimostrato la assoluta decisorietà delle prove richieste e non ammesse, non sostanziando, quindi, il vizio denunciato.
Per le esRAGIONE_SOCIALE ragioni il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono il principio di soccombenza.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15% , con attribuzione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2024.
La Presidente
NOME COGNOME