Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21877 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21877 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
1.La Corte di Appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale che aveva rigettato le domande, ha condannato l’Ambito Territoriale Ottimale (di seguito A.T.O.) Palermo 1 al pagamento in favore di NOME COGNOME della somma di € 32.388,98 non liquidata a titolo di assegno integrativo, che il datore di lavoro aveva unilateralmente ridotto per ragioni di crisi finanziaria.
La Corte territoriale, pur avendo rilevato in premessa che per ragioni soggettive e oggettive era dubbia l’applicazione alla fattispecie dell’art. 110 T.U.E.L., ha ritenuto di non dovere affrontare la questione, non condividendo l’esegesi prospettata dall’appellata del citato art. 110 , che impone alle amministrazioni di tener conto delle esigenze di bilancio al momento della conclusione del contratto di lavoro dirigenziale.
Ha in particolare ritenuto che, una volta stipulato il contratto, non sia consentito alle Amministrazioni di variare il contenuto del rapporto unilateralmente in assenza di «cause codificate di risoluzione e/o sospensione» ed ha qualificato come inadempimento contrattuale l’iniziativa arbitrariamente assunta dall’A .T.O. di variare in corso di rapporto il contenuto della propria obbligazione retributiva sulla scorta della dichiarata situazione di illiquidità finanziaria.
Il giudice di appello ha inoltre ritenuto infondato l’appello incidentale proposto dall’ATO 1 di Palermo ed ha ritenuto la legittimazione passiva del medesimo.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ATO 1 Palermo sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con l’unic o motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 110, comma 3, d.lgs. n. 267/2000, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ; erronea pronuncia in ordine al potere dell’ente di incidere sull’indennità ad personam erogata al dirigente, in correlazione con le esigenze di bilancio.
Evidenzia che l’art. 110 , comma 3, d.lgs. n. 267/2000 correla strettamente il riconoscimento di un assegno ad personam al dirigente con le disponibilità economiche dell’ente locale e che tale prerequisito intercetta il riconoscimento dell’indennità innanzitutto nella sua fase genetica.
Sostiene che tale previsione normativa è applicabile anche durante l’esecuzione del rapporto e che il principio dell’irriducibilità della retribuzione si estende ai soli emolumenti di natura retributiva e non indennitaria; richiama sul punto pronunce di contenuto opposto rese dai giudici di merito e dalla Corte dei conti.
Evidenzia che a decorrere dal mese di gennaio 2012, l’indennità ad personam , in precedenza attribuita al COGNOME per remunerare la temporaneità dell’incarico, non gli era più stata corrisposta a fronte della grave crisi finanziaria dell’ente; rimarca che era stata comunque mantenuta la retribuzione base prevista dal CCNL enti locali.
2. Il ricorso è infondato.
L’art. 110 TUEL, comma 3, prevede: ‘ 3. I contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica. Il trattamento economico, equivalente a quello previsto dai vigenti contratti collettivi nazionali e decentrati per il personale degli enti locali, può essere integrato, con provvedimento motivato della giunta, da una indennità ad personam, commisurata alla specifica qualificazione professionale e culturale, anche in considerazione della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Il trattamento economico e l’eventuale indennità ad
personam sono definiti in stretta correlazione con il bilancio dell’ente e non vanno imputati al costo contrattuale e del personale.
Il contratto a tempo determinato è risolto di diritto nel caso in cui l’ente locale dichiari il dissesto o venga a trovarsi nelle situazioni strutturalmente deficitarie ‘.
La norma consente eccezionalmente al datore di lavoro pubblico di riconoscere un trattamento economico maggiorato rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva, in base ad una valutazione di compatibilità con le risorse dell’ente , che va effettuata al momento del conferimento dell’incarico (come si desume dall’uso del verbo ‘definire’).
Nel caso di specie non è in discussione la compatibilità finanziaria al momento della sottoscrizione del contratto, ma è controversa la successiva rivedibilità della scelta per esigenze sopravvenute.
In assenza di una diversa disposizione nel testo della norma, deve escludersi che l’Amministrazione possa fare unilateralmente valere esigenze sopravvenute per la riduzione dell’importo concordato ove la condizione di compatibilità non sia stata espressamente dedotta nel contratto.
Peraltro il comma 4 dell’art. 1 10 T.U.E.L. disciplina la sorte del contratto per le ipotesi di sopravvenute difficoltà finanziarie, prevedendo la risoluzione di diritto del contratto medesimo; non consente, invece, l’unilaterale riduzione degli importi concordati.
La sentenza impugnata, che ha qualificato come inadempimento contrattuale l’iniziativa unilaterale assunta dall’A.T.O. di ridurre unilateralmente l’assegno ad personam , è dunque corretta.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
S i deve dare atto della sussistenza delle condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002, ai fini e per gli effetti precisati da Cass.
S.U. n. 4315/2020, perché l’esenzione prevista in via generale dal richiamato d.P.R. opera per le Amministrazioni dello Stato e non per gli enti pubblici autonomi, seppure autorizzati ad avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 4 .000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della