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Indebito assistenziale: quando non va restituito?

Il Tribunale di Milano ha stabilito che un indebito assistenziale non deve essere restituito se il cittadino ha agito in buona fede, comunicando i propri redditi tramite dichiarazione fiscale. L’ente previdenziale, avendo l’onere di conoscere tali dati, non può richiedere la restituzione delle somme erogate per carenza dei requisiti reddituali se non prova il dolo del percipiente. La richiesta di rimborso è stata quindi respinta e l’ente condannato a restituire le somme trattenute e a pagare le spese legali.

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Pubblicato il 23 aprile 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indebito Assistenziale: Quando la Restituzione Non è Dovuta?

Ricevere una richiesta di restituzione di somme da un ente previdenziale può essere fonte di grande preoccupazione. Tuttavia, non sempre questa richiesta è legittima. Una recente sentenza del Tribunale di Milano ha ribadito un principio fondamentale in materia di indebito assistenziale: la buona fede del cittadino e la conoscenza dei dati da parte dell’amministrazione sono elementi cruciali che possono escludere l’obbligo di rimborso. Analizziamo questo caso per capire meglio i contorni della questione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una cittadina, invalida civile e beneficiaria di una prestazione assistenziale, che si è vista recapitare dall’ente erogatore una richiesta di restituzione di oltre 8.000 euro. Secondo l’ente, tali somme erano state percepite indebitamente a causa del superamento dei limiti di reddito in determinati periodi.

La ricorrente ha immediatamente contestato la richiesta, sostenendo di aver sempre agito in totale trasparenza, presentando regolarmente le proprie dichiarazioni dei redditi (Modello 730 e Certificazione Unica). Di conseguenza, l’ente previdenziale era, o avrebbe dovuto essere, a conoscenza della sua situazione reddituale, rendendo la richiesta di rimborso illegittima.

La Disciplina dell’Indebito Assistenziale

Il Tribunale ha accolto il ricorso, basando la sua decisione su un orientamento consolidato della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale. La questione centrale è la distinzione tra l’indebito previdenziale (es. pensioni da lavoro) e l’indebito assistenziale (es. invalidità civile, assegno sociale). Per quest’ultimo, vigono regole meno rigide.

La regola generale nel diritto civile è che chi riceve un pagamento non dovuto deve restituirlo. Tuttavia, nel sottosistema dell’assistenza sociale, questa regola viene mitigata per proteggere persone in stato di bisogno, le cui prestazioni sono destinate a soddisfare bisogni primari. La restituzione è esclusa quando l’erogazione indebita non è imputabile al percipiente e si è creata una situazione di legittimo affidamento.

La Decisione del Tribunale di Milano

Il giudice ha ritenuto infondata la richiesta dell’ente, sottolineando che non vi era alcuna prova di dolo da parte della ricorrente. La cittadina, presentando le dichiarazioni dei redditi, aveva messo l’Amministrazione finanziaria (e, di conseguenza, l’ente previdenziale che ha accesso a tali dati) nelle condizioni di conoscere la sua esatta situazione economica.

Le Motivazioni

Le motivazioni della sentenza si fondano su un principio chiave: l’obbligo di restituzione scatta solo a partire dal momento in cui un provvedimento formale accerta il venir meno dei requisiti, a meno che il beneficiario non abbia agito con dolo. Il dolo non può consistere nella semplice omissione di una comunicazione di dati che l’ente già conosce o ha l’onere di conoscere. Poiché la ricorrente aveva assolto ai suoi obblighi dichiarativi, non le si poteva imputare alcuna colpa o intenzione fraudolenta. L’ente, disponendo degli strumenti per verificare i redditi, avrebbe dovuto agire tempestivamente per interrompere o ricalcolare la prestazione, invece di erogarla per anni e poi chiederne la restituzione.

Conclusioni

Questa sentenza conferma un importante baluardo a tutela dei cittadini che ricevono prestazioni assistenziali. L’onere della prova del dolo del percipiente ricade sull’ente erogatore. Un cittadino che dichiara correttamente e annualmente i propri redditi all’Agenzia delle Entrate adempie al suo dovere di trasparenza. Non può essere sanzionato con una richiesta di restituzione per l’inerzia o il ritardo nei controlli da parte dell’amministrazione. In conclusione, in assenza di un comportamento fraudolento, l’indebito assistenziale formatosi a causa della mancanza dei requisiti di reddito non deve essere restituito per i periodi precedenti al provvedimento formale che ne accerta l’insussistenza.

Quando un ente può richiedere la restituzione di un indebito assistenziale?
La restituzione può essere richiesta solo a partire dal provvedimento che accerta formalmente la mancanza dei requisiti (ad esempio, reddituali), salvo che l’ente non dimostri che il cittadino ha agito con dolo, cioè con l’intenzione di ingannare l’amministrazione.

La mancata comunicazione diretta all’ente della variazione di reddito giustifica la richiesta di restituzione?
No, secondo la sentenza. Se il cittadino ha dichiarato correttamente i propri redditi tramite i canali ufficiali (es. Modello 730), si ritiene che abbia adempiuto al suo dovere. L’ente ha l’onere di consultare le banche dati a sua disposizione e non può addebitare al cittadino la propria inerzia nei controlli.

Cosa succede se un cittadino ha percepito una prestazione assistenziale non dovuta ma era in buona fede?
Se il cittadino era in buona fede e l’erogazione non è a lui addebitabile (ad esempio, non ha nascosto redditi), non è tenuto a restituire le somme percepite prima del provvedimento formale che accerta la mancanza del diritto. Il suo legittimo affidamento viene tutelato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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