Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30702 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30702 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
Oggetto: medico convenzionale di medicina generale pensionamento incompatibilità
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17187/2019 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv . NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso l’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
ASL n. 02 Lanciano-Vasto-Chieti, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliata in Roma presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 170/2019 pubblicata il 21 marzo 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 238/2017 il Tribunale di Lanciano ha accolto la domanda di NOME COGNOME già dirigente medico della UOC di Chirurgia generale di Lanciano e titolare di incarico convenzionale di medicina generale, conferito con decorrenza dal 1° ottobre 2012 e revocato in autotutela dall’ASL con delibera del 24 aprile 2014, che aveva contestato l’illegittimità dell’annullamento di tale incarico, sostenendo l’inapplicabilità dei divieti posti dall’art. 25, comma 1, della legge n. 724 del 1994 e dall’art. 5, comma 9, del d.l. n. 95 del 2012, in ragione della specialità delle disposizioni di cui agli artt. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, e 1, comma 16, della legge n. 423 del 1993, disciplinanti espressamente il rapporto dei medici convenzionati di base con le aziende sanitarie, e domandato il risarcimento del danno.
L’ASL n. 2 di Lanciano -Vasto-Chieti ha proposto appello che la Corte d’appello di L’Aquila, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 170/2019, ha accolto.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di nove motivi.
L’ASL n. 2 di Lanciano -Vasto-Chieti si è difesa con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132, comma 1, n. 3, e dell’art. 112 c.p.c. in quanto la corte territoriale avrebbe omesso di trascrivere le conclusioni e non
avrebbe esaminato la sua eccezione di inammissibilità dell’appello e le sue domande subordinate di merito.
La doglianza è infondata.
Per costante giurisprudenza (Cass., Sez. 5, n. 10465 del 17 aprile 2024), l’ omessa od erronea trascrizione delle conclusioni delle parti nella intestazione della sentenza importa la sua nullità solo quando le conclusioni formulate non sono state prese in esame, mancando in concreto una decisione sulle domande o eccezioni ritualmente proposte, mentre – se dalla motivazione della sentenza risulta che le conclusioni delle parti sono state esaminate e decise, nonostante l ‘ omessa o erronea trascrizione – il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale, irrilevante ai fini della validità della sentenza.
Ciò che rileva è, quindi, non tanto il difetto di trascrizione, ma l’omessa valutazione di domande o eccezioni.
Nella specie, però, l’eccezione di inammissibilità dell’appello (rilevabile pure d’ufficio) è implicitamente stata rigettata con la decisione nel merito, mentre deve ritenersi che le domande subordinate di merito siano state respinte, come si evince dalla parte della sentenza impugnata in cui la Corte d’appello di L’Aquila afferma che l’attività della P.A. qui contestata ‘costituiva per la ASL un atto dovuto, che non consentiva alcuno spazio di discrezionalità, con la conseguenza che appare difficile riconnettere a tale atto l’insorgenza di una responsabilità, neanche risarcitoria, a carico dell’azienda appellante’ (pagina 7).
2) Con il secondo motivo il ricorrente contesta la violazione degli artt. 111 Cost., 132, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. e la motivazione apparente in quanto la corte territoriale non avrebbe fornito una motivazione effettiva, ma avrebbe solo aderito alla tesi della parte appellante.
La doglianza è inammissibile, atteso che la Corte d’appello di L’Aquila ha esposto le ragioni del suo convincimento in maniera completa nelle pagine da 2 a 7 della sentenza impugnata, prendendo
spunto dalle conclusioni del giudice di primo grado, che ha sottoposto a critica alla luce della normativa rilevante nella specie, che ha indicato.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la falsa applicazione degli artt. 25 della legge n. 724 del 1994, e 5, comma 9, del d.l. n. 95 del 2012, e la violazione dei criteri di interpretazione della legge e dell’art. 17 ACN medici specialisti 2005 e dell’art. 25 ACN Medici specialisti 2015.
Sostiene che gli artt. 25 della legge n. 724 del 1994 e 5, comma 9, del d.l. n. 95 del 2012 non riguarderebbero l’incarico di medico convenzionato di base, che non sarebbe qualificabile come una collaborazione esterna, ma sarebbe integrato stabilmente nella struttura organizzativa dell’ente.
Solo una collaborazione esterna ex art. 7, comma 6, della legge n. 165 del 2001, potrebbe rientrare nel divieto in esame, mentre il medico convenzionato avrebbe un rapporto stabile e strutturato con la P .A., costituente ‘specifica ed indispensabile parte integrante e portante dell’organizzazione istituzionale del servizio sanitario nazionale’, in particolare perché l’attività di medicina generale di base poteva essere svolta esclusivamente da medici in regime di convenzione.
La normativa de qua avrebbe previsto i divieti in questione riferendosi all’oggetto degli incarichi da conferire e non alla forma della loro attribuzione.
La corte territoriale avrebbe citato, poi, accordi collettivi non pertinenti.
La doglianza è infondata.
Come chiarito da Cass., Sez. L, n. 20523 del 28 luglio 2008, il divieto di cumulo tra pensione anticipata di anzianità e lo svolgimento di incarichi di consulenza per l ‘ amministrazione di provenienza previsto dall ‘ art. 25 della legge n. 724 del 1994, che qui rileva direttamente, si estende a tutti gli incarichi conferiti
dall ‘ amministrazione dopo l ‘ entrata in vigore della legge, ancorché iniziati anteriormente alla cessazione del rapporto, assumendo rilevanza anche il successivo verificarsi della situazione di incompatibilità, con eccezione solo di quelli che siano anteriori all ‘ entrata in vigore del divieto, che – ai sensi dell ‘ art. 25, comma 2, della citata legge – possono proseguire fino alla scadenza o, comunque, alla cessazione.
La S.C. ha ulteriormente chiarito (Cass., Sez. L, n. 20466 del 2 agosto 2018, richiamando proprio Cass., Sez. L, n. 20523 del 28 luglio 2008) che il divieto di cumulo tra pensione anticipata di anzianità ed incarichi di consulenza per l ‘ amministrazione di provenienza, previsto dall ‘ art. 25, comma 1, della legge n. 724 del 1994, non riguarda tanto i contratti di lavoro subordinato, anche se a tempo determinato, quanto fondamentalmente le prestazioni di lavoro autonomo, riportabili al concetto di collaborazione continuativa e coordinata, prevalentemente personale.
La giurisprudenza, quindi, non limita, come vorrebbe il ricorrente, la portata dell’art. 25, comma 1, della legge n. 724 del 1994, non dando rilievo all’oggetto dell’incarico, ma alla forma del suo conferimento.
D’altronde, anche la lettera dell’art. 25, comma 1, menzionato depone in questo senso, il relativo testo recitando che:
articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, che ces
a 9, d.l. n. 95 del 2012,
conv., con modif., dalla legge n. 135 del 2012, per il quale ‘È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all’articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione (…)’.
L’ a 9, d.l. n. 95 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 135 del 2012, ha certo un differente ambito di applicazione soggettivo e oggettivo rispetto a quello dell’art. 25, comma 1, della legge n. 724 del 1994 (sul punto, Cass., Sez. L, n. 3643 del 7 febbraio 2023 che, non a caso, applica la disposizione del 2012 alla situazione, non paragonabile a quella in esame, dello specialista
ambulatoriale in precedenza dirigente medico della Polizia di Stato ), atteso che il citato art. 5, comma 9, riguarda ‘soggetti già lavoratori privati o pubblici’, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011, e tutte quelle inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), gli ‘incarichi di studio e di consulenza’ e ogni ipotesi di quiescenza.
Non è possibile, quindi, a stretto rigore, sovrapporre la normativa del 1994 e quella del 2012.
Ciò non esclude, però, che il menzionato art. 5, comma 9, confermi la decisa tendenza del legislatore a limitare il più possibile i compiti attribuiti dalla P.A. a lavoratori non più attivi.
il rapporto fra
i medici cosiddetti convenzionati esterni e le unità sanitarie locali, nella disciplina fissata dall’art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833 (istitutiva del servizio sanitario nazionale) e dagli accordi collettivi nazionali stipulati ai sensi della citata norma, pur se costituito allo scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale, esula dall’ambito del pubblico impiego, difettando il presupposto della subordinazione, e si configura come un rapporto di prestazione d’opera professionale, sia pure con i connotati del rapporto parasubordinato di collaborazione continuativa e coordinata (art. 409 n. 3 cod. proc. civ.), che si svolge su di un piano di parità, non esercitando l’ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere che non sia di natura negoziale’ (Cass., Sez. L, n. 10310 del 16 luglio 2002).
Peraltro, si evidenzia che l’art. 17, comma 2, lett. f, dell’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di
medicina generale ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede che sia incompatibile con le attività regolate da detto Accordo il medico che fruisca di trattamento di quiescenza relativo ad attività convenzionate e dipendenti del SSN, fatta esclusione per i medici già titolari di convenzione per la medicina generale all’atto del pensionamento. Tale incompatibilità non opera inoltre nei confronti dei medici che si trovavano in tale condizione alla data di pubblicazione del DPR 270/2000, di quelli previsti al comma 8 dell’art. 39 del presente Accordo, e di quelli che fruiscono del trattamento di quiescenza del solo fondo generale dell’Enpam’.
Come chiarito dalla S.C., in un caso che riguardava proprio un medico dipendente di una ASL cessato dal servizio per dimissioni volontarie e che, conseguita dall’INPDAP la pensione di anzianità, aveva presentato domanda per un incarico di medico convenzionato di medicina generale, ‘la disposizione dell’art. 17 citato si pone in armonia ed in attuazione del principio generale dettato dall’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991 volto ad assicurare la tendenziale esclusività dei rapporti di lavoro nel servizio sanitario nazionale per valorizzare la migliore utilizzazione del servizio dei medici ed il principio generale di esclusività deve trovare applicazione anche nel caso di titolarità di trattamento pensionistico derivante da un rapporto con il SSN’ (Cass., Sez. L, n. 34732 del 30 dicembre 2019).
La giurisprudenza ha, quindi, già considerato applicabile l’incompatibilità in esame ai medici convenzionati di medicina generale, come già avvenuto in ordine alla distinta, ma parallela, ipotesi del pediatra in convenzione (Cass., Sez. L, n. 4857 del 28 febbraio 2014).
Ne deriva l’infondatezza della censura.
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 8 della legge n. 502 del 1992, art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, art. 1, comma 16, della legge n. 423 del 1993, e 39,
comma 8, e 17, lett. F, ACN medicina generale del 2005 poiché la corte territoriale non avrebbe valutato che l’incompatibilità in esame sarebbe stata esclusa dal menzionato ACN del 2005 nei casi, come quello in esame, nei quali il medico si fosse trovato nella situazione prevista dall’art. 39, comma 8, del medesimo ACN.
La doglianza è infondata.
Indubbiamente, l’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, stabiliva, nel testo ratione temporis rilevante, che ‘
che ‘
l’articolo 48 della legge 23 dicembre
1978, n. 833, è definito il campo di applicazione del principio di unicità del rapporto di lavoro a valere tra e, l’art. 1, comma 16, del d.l. n. 324 del 1993, conv. dalla legge n. 423 del 1993, dispone che ‘Il medico che, ai sensi dell’articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, abbia esercitato l’opzione per il rapporto di lavoro dipendente, con la conseguente cancellazione dagli elenchi regionali della medicina convenzionata, ove venga a cessare il rapporto di lavoro dipendente, è, a domanda, reinserito negli anzidetti elenchi’.
In aggiunta a ciò, l’art. 17, comma 2, lett. F, dell’Accordo in questione prescrive, in effetti, che l’incompatibilità in esame sia esclusa nei casi nei quali il medico si fosse trovato nella situazione prevista dall’art. 39, comma 8, dello stesso ACN, secondo cui ‘Ai medici che fruiscono della norma di cui all’art. 1, comma 16, del D.L. n. 324/93, convertito nella legge n. 423/93, è consentita la reiscrizione negli elenchi dei medici convenzionati per l’assistenza primaria nell’ambito territoriale di provenienza (ambito nel quale essi erano convenzionati al momento dell’esercizio dell’opzione di cui all’art. 4, comma 7 della legge n. 412/91), alle condizioni e nei limiti
previsti dalla organizzazione sanitaria, così come disposto dall’articolo 33’.
Quanto sopra, però, non può tradursi nell’accoglimento della censura.
Infatti, l’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991 e l’art. 1, comma 16, del d.l. n. 324 del 1993, conv. dalla legge n. 423 del 1993, sono norme antecedenti rispetto all’art. 25, comma 1, della legge n. 724 del 1994 e all a 9, d.l. n. 95 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 135 del 2012 che, quindi, pur nella loro già evidenziata diversità, prevalgono, anche perché si riferiscono espressamente ai soggetti collocati in quiescenza: soprattutto, l’art. 25, comma 1, della legge n. 724 del 1994, che qui rileva direttamente, interessa coloro che ces
.
D’altronde, il citato art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991 è prescrizione che contiene già, di per sé, un divieto stringente, muovendosi, dunque, in un’ottica di limitazione, atteso che stabilisce, nella sua prima parte, che ‘
Per ciò che concerne l’Accordo del 2005, il suo art. 39, comma 8, prevede la reiscrizione de qua , ma solo ‘alle condizioni e nei limiti previsti dalla organizzazione sanitaria’ e, comunque, non riguarda l’attuale ricorrente, il quale non è fra i medici che fruiscono della
norma di cui all’art. 1, comma 16, del d.l. n. 324 del 1993, convertito nella legge n. 423 del 1993.
Infine, si sottolinea che la giurisprudenza ha ben chiarito che l’art. 25 della legge n. 724 del 1994 costituisce norma di riforma economico-sociale, in posizione di preminenza nel regime costituzionale delle fonti (Cass., Sez. L, n. 20523 del 28 luglio 2008 che, a sua volta, richiama Corte cost., n. 406 del 1995).
Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 11 e 15 Preleggi in ragione del fatto che la legge n. 724 del 1994 e il d.l. n. 95 del 2012 sarebbero entrate in vigore dopo la legge n. 412 del 1991 e la legge n. 423 del 1993 che, quindi, sarebbero state prevalenti, in quanto normativa precedente specifica.
La censura è priva di pregio, in ragione della natura di norma di riforma economico-sociale dell’art. 25 della legge n. 724 del 1994 e della chiara incompatibilità fra le disposizioni successive e quelle anteriori.
Con il sesto, il settimo e l’ottavo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, stante la stretta connessione, il ricorrente contesta la violazione dell’art. 132, comma 4, c.p.c. e il difetto assoluto di motivazione su pronuncia implicita di rigetto delle eccezioni di inammissibilità, di domanda subordinata di risarcimento danni da responsabilità contrattuale e di domanda di pagamento dell’indennizzo ex art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004.
Le censure sono inammissibili, ricavandosi agevolmente la motivazione del loro rigetto dall’esame nel merito del gravame e dalla parte della sentenza impugnata in cui Corte d’appello di L’Aquila afferma che l’attività della P.A. qui contestata ‘costituiva per la ASL un atto dovuto, che non consentiva alcuno spazio di discrezionalità, con la conseguenza che appare difficile riconnettere a tale atto
l’insorgenza di una responsabilità, neanche risarcitoria, a carico dell’azienda appellante’ (pagina 7).
In aggiunta a ciò, si evidenzia che l’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004 è disposizione che interessa l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi mentre, nella specie, vengono in rilievo degli atti gestori di un rapporto di lavoro di diritto privato e il recesso da un contratto nullo per contrarietà a norme imperative.
Con il nono motivo il ricorrente contesta la violazione dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865, all. E, in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel non disapplicare la delibera n. 520 del 2014 con la quale la ASL aveva disposto l’annullamento del suo incarico di medico convenzionato di base.
La doglianza è inammissibile, atteso che il giudice di appello non poteva disapplicare un atto ritenuto legittimo e che, comunque, venivano in rilievo atto gestori di un rapporto di lavoro di diritto privato e il recesso da un contratto nullo per contrarietà a norme imperative.
Il ricorso è rigettato in applicazione del seguente principio di diritto:
‘ Il divieto di conferire, ai soggetti indicati da ll’art. 25, comma 1, della legge n. 724 del 1994,
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Si attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi € 4.000,00 per compenso e in € 200,00 per esborsi , oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
-attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione