Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15603 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15603 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6143-2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio NOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
Oggetto
Altre ipotesi pubblico impiego
R.G.N. 6143/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/05/2024
CC
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 16/2017 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI RAGIONE_SOCIALE, depositata il 13/02/2017 R.G.N. 471/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/05/2024 dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
con sentenza del 13 febbraio 2017 la Corte d’appello di Lecce –RAGIONE_SOCIALE confermava la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE che aveva rigettato la domanda di NOME COGNOME, ex-dirigente medico apicale della RAGIONE_SOCIALE, volta a ottenere, previa declaratoria dell’illegittimità della delibera del D .G. n. 305 del 2.8.2002, nella parte in cui individuava l’RAGIONE_SOCIALE Grottaglie come struttura semplice anziché complessa, nonché della successiva delibera n. 985 del 23.12.2002, nella parte in cui gli attribuiva l’incarico di responsabile di struttura semplice, la condanna della RAGIONE_SOCIALE all ‘attribuzione dell’incarico dirigenziale apicale di responsabile della struttura complessa RAGIONE_SOCIALE di Grottaglie, o in subordine della struttura RAGIONE_SOCIALE, nonché alla ricostruzione della carriera e al risarcimento del danno da liquidare in via equitativa ex art. 1226 cod. civ.;
la Corte territoriale non condivideva la prospettazione del ricorrente in ordine all’esistenza di un suo diritto a conservare la titolarità della struttura complessa RAGIONE_SOCIALE di Grottaglie, già attribuitagli, o per lo meno di struttura analoga, e in ordine all’illegittimità di un riassetto aziendale che ne comportasse la trasformazione a struttura semplice;
osservava, a riguardo, che l’assegnazione di un incarico dirigenziale diverso da quello in precedenza svolto, in ragione dell’espressa previsione dell’art. 19 , comma 1, del d.lgs. n. 165/2001 -che escludeva in materia di conferimento di incarichi dirigenziali l’applicazione dell’art. 2103 cod. civ. -, non comportava un illegittimo demansionamento, atteso che la qualifica dirigenziale non esprime una posizione lavorativa caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, ma esclusivamente l’idoneità professionale a ricoprire un incarico dirigenz iale, e l’inapplicabilità dell’art. 2103 cod. civ. era espressamente ribadita per la dirigenza sanitaria, inserita in un unico ruolo distinto per profili professionali e in un unico livello, dall’art. 15-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 e dall’art. 28, comma 6, del c.c.n.l. 8 giugno 2000;
avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il dirigente medico con quattro motivi, cui si oppone con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Considerato che:
1. con il primo motivo si denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti; il giudice d’appello, rimanendo ‘ su fattispecie di ordine generalissimo in materia di conferimento di incarichi dirigenziali ‘ , ha completamente omesso di considerare la situazione giuridica del COGNOME, al quale si applicavano norme eccezionali o speciali come l’ art. 15 quinquies commi 6-7 d.lgs. n. 229/1999 e gli artt. 30-39 CCNL dirigenza medica del 2000;
1.1 il motivo è inammissibile;
si rileva che l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla legge n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (cfr., Cass., n. 2268
del 2022), non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’, quali quelle interpretative dedotte nei motivi in esame, che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass. n. 31332/2022);
con il secondo motivo si denuncia (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) violazione dell’art. 15 quinquies d.lgs. n. 229/1999 ( recte : d.lgs. n. 502/1992, come modificato dall’art. 13 d.lgs. n. 229/1999 ) poiché la determina che ‘ declassava ‘ la UOC di cui il ricorrente era titolare, da struttura complessa a semplice, si poneva in conflitto con il comma 6 dell’art. 15 quinquies, cit .;
il giudice d’appello non aveva tenuto conto delle disposizioni contenute nell’art. 15 quinquies , commi 6 e 7, del d.lgs. n. 502/1992, sia con riferimento all’impossibilità per la RAGIONE_SOCIALE fino all’adozione dell’Atto aziendale intervenuto solo con delibera n. 1469/2013 -di qualificare in maniera differente la U.O. di cui era titolare il ricorrente, sia con riferimento al diritto di costui a conservare, ai sensi del comma 7 dell’art. 15 quinquies , cit., l’incarico apicale per sette anni a seguito del l’intervenuta verifica positiva di cui al verbale del 18.4.2002, oltre che della successiva delibera di presa d’atto dell’8.8.2002 a firma del Commissario straordinario che aveva rinnovato l’incarico fino al 1.1.2008;
con il terzo mezzo si duole (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) della violazione degli artt. 30 e 39 del CCNL dell’8.6.2000 dell’Area relativa alla RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE; viene denunziata la violazione, da parte della Corte d’appello, della normativa contrattuale (artt. 30 comma 3 e 39 comma 8 del CCNL dell’8.6.2000 ) che riguardava direttamente la posizione lavorativa del COGNOME medico apicale che, alla data del 31 luglio 1999, non aveva optato per
l’incarico quinquennale ma per il lavoro esclusivo – avente diritto, dopo la verifica positiva, ad ottenere la proroga dell’incarico per altri sette anni o almeno, in caso di ristrutturazione aziendale, a ricevere incarico di pari valore come la direzione dello RAGIONE_SOCIALE ( per il quale l’ avviso pubblico, ancorché datato 6.6.2000, « … non era stato ancora attivato»);
con il quarto, ed ultimo, motivo si denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 3, comma 1 bis , e 15 quinquies , comma 5, del d.lgs. n. 229/99 nonché della regolamentazione regionale;
secondo il ricorrente, il giudice d’appello aveva violato le norme imperative che impedivano alla RAGIONE_SOCIALE di qualificare in maniera diversa le varie UU.OO. in carenza dell’Atto aziendale, approvato solo undici anni dopo con delibera n. 1479/2013, nonché in assenza di quanto previsto dalla regolamentazione regionale (v. delibera di G.R. n. 830/2002 che demandava un tale intervento, per le UU.00. del Dipartimento RAGIONE_SOCIALE Prevenzione, ad apposito regolamento da adottare con delibera di Giunta regionale approvata solo nel 2009);
sicché , fino all’adozione degli atti indicati, la RAGIONE_SOCIALE di Grottaglie doveva rimanere struttura complessa retta da dirigente di II livello e ciò perché le aziende sanitarie possono sì esplicare la loro autonomia organizzativa ma sempre nel rispetto delle disposizioni pubblicistiche statali e regionali;
i motivi secondo, terzo e quarto ruotano tutti intorno all’illegittimità degli atti di macro-organizzazione relativi alla nuova strutturazione del Dipartimento e alla illegittima trasformazione, in assenza di Atto RAGIONE_SOCIALEle, delle singole articolazioni dell’RAGIONE_SOCIALE;
5.1 in quanto intimamente connessi, tali motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono in parte inammissibili, in parte infondati;
5.2 inammissibili, perché difettano nella loro formulazione di adeguata specificità (artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ.), non contenendo la trascrizione, neanche nei passaggi salienti -e non assolvendo oltretutto all’onere di ‘ localizzazione processuale’ -, delle delibere del D.G. n. 305 del 2.8.2002 e n. 985 del 23.12.2002 nonché degli altri plurimi documenti su cui pure si diffondono le censure in esame, le quali intersecano, peraltro, considerazioni di fatto e di diritto, sicché impingono in un accertamento fattuale -specie sulla natura e tipologia degli atti di riassetto organizzativo aziendale e sui riflessi sul l’RAGIONE_SOCIALE di Grottaglie precluso in questa sede;
5.3 in considerazione di tali profili di inammissibilità non è neanche possibile scrutinare se l’atto di macro -organizzazione, mediante il quale la RAGIONE_SOCIALE avrebbe provveduto a riclassificare l’UOC in parola come struttura semplice con rimodulazione dell’incarico dirigenziale del ricorrente, sia affetto da uno dei tre vizi tipici degli atti amministrativi e come tale da disapplicare;
6. sul (diverso) piano dell’ infondatezza, i motivi richiamati, laddove si dolgono de ll’implicita revoca dell’incarico di responsabile UOC, di cui sollecitano invero la riattribuzione mediante dictum giudiziale, muovono da presupposti errati, atteso che il conferimento del previsto incarico dirigenziale è comunque espressivo di un potere discrezionale del datore di lavoro rispetto al quale la posizione soggettiva del dirigente aspirante all’incarico non può atteggiarsi come diritto soggettivo pieno, bensì come interesse legittimo di diritto privato, correlato all’obbligo per l’amministrazione di agire secondo i canoni della correttezza e buona fede, nonché dei principi di imparzialità, efficienza e buon andamento di cui all’art. 97 Cost., la cui eventuale lesione non legittima la domanda di attribuzione
dell’incarico ma solo quella di ristoro dei pregiudizi ingiustamente subiti (v. Cass. 23 settembre 2013, n. 21700; Cass. 18 giugno 2014, n. 13867; Cass. 14 aprile 2015, n. 7495; Cass. 24 settembre 2015, n. 18972; Cass. 28 febbraio 2020, n. 5546; Cass. 23 settembre 2013, n. 21700; Cass. 24 settembre 2015, n. 18972; Cass. 14 aprile 2015, n. 7495: Cass. 1° dicembre 2017, n. 28879; Cass. 28 febbraio 2020, n. 5546; Cass. 12 aprile 2021 n. 9566);
6.1 come giustamente osserva il giudice d’appello, il ristoro del pregiudizio non potrebbe comunque essere correlato al denunciato demansionamento;
ed infatti, l’inapplicabilità ai dirigenti dell’art. 2103 cod. civ., sancita dall’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001, era già stata affermata dall’art. 19 del d.lgs. n. 29/1993, come modificato dall’art. 13 del d.lgs. n. 80/1998, e discende dalle peculiarità proprie della qualifica dirigenziale che, nel nuovo assetto, non esprime più una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l’idoneità professionale del soggetto a ricoprire un incarico dirigenziale, necessariamente a termine, conferito con atto datoriale gestionale, distinto dal contratto di lavoro a tempo indeterminato (Cass. 11 luglio 2019, n. 18703);
per le medesime ragioni, non è applicabile al rapporto dirigenziale l’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, riferibile al solo personale che non rivesta la qualifica di dirigente, al quale è, invece, riservata la disciplina dettata dalle disposizioni del capo II, stesso d.lgs.;
6.2 quanto alla dirigenza sanitaria, inserita «in un unico ruolo distinto per profili professionali e in un unico livello» (art. 15 d.lgs. n. 502/1992), la giuridica impossibilità di applicare la disciplina dettata dall’art. 2103 cod. civ. è ribadita dall’art. 15 ter del d.lgs. n. 502/1992, inserito dal d.lgs.
n. 229/1999, nonché dall’art. 28, comma 7, del CCNL 8.6.2000 per il quadriennio 1997/2001, secondo cui «nel conferimento degli incarichi e per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse le aziende tengono conto che data l’equivalenza delle mansioni dirigenziali non si applica l’art. 2103, comma 1, del cod. civ.» (cfr. Cass. 20.3.2019 n. 7863, Cass. 19.2.2019 n. 4812, punto 10.1 e ss., Cass. 4.1.2019 n. 91, Cass. 29.10.2018 n. 27400, Cass. 1.12.2017, n. 28880);
6.3 d’altronde, non si è mancato di rilevare, in una cornice più ampia, che il principio che regola la specifica materia nel lavoro pubblico privatizzato è quello secondo cui alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo, mentre i dirigenti non hanno alcun diritto soggettivo all’attribuzione, o al mantenimento di un incarico dirigenziale; è stato evidenziato come «la riforma della dirigenza pubblica è stata caratterizzata dal passaggio da una concezione della dirigenza intesa come status , quale momento di sviluppo della carriera dei funzionari pubblici, a una concezione della stessa dirigenza di tipo funzionale: proprio in ragione di tale inquadramento giuridico, questa Corte ha più volte affermato che la qualifica dirigenziale non esprime una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l’idoneità professionale del dipendente (che tale qualifica ha acquisito mediante contratto di lavoro stipulato all’esito della procedura concorsuale) a svolgerle concretamente per effetto del conferimento, a termine, di un incarico dirigenziale» (cfr. Cass., n. 27888 del 2009; cfr., Cass., n. 29817 del 2008);
ebbene, da tale scissione tra instaurazione del rapporto di lavoro dirigenziale e conferimento dell’incarico è stata quindi desunta la insussistenza di un diritto soggettivo del dirigente pubblico al conferimento di un incarico dirigenziale e, peraltro, al conferimento degli incarichi e al passaggio di incarichi diversi non si applica, come si è detto, l’art. 2103 cod. civ. (cfr. in tali termini, Cass. 9.4.2018 n. 8674, successivamente Cass. n. 91/2019, cit.; adde , tra le tante, Cass. 22.2.2017 n. 4621, Cass. 8.6.2015 n. 11790, Cass. 15.2.2010 n. 3451);
6.4 la sentenza impugnata, uniformandosi ai principi qui indicati, ha ritenuto (appunto) che l’attribuzione, nell’ambito di un complessivo riassetto organizzativo aziendale, d ell’ incarico di responsabile di struttura semplice, in luogo dell’incarico precedentemente rivestito di responsabile di struttura complessa, non comportasse un demansionamento e che non vi fossero elementi per prospettare un diritto al risarcimento del danno non patrimoniale alla professionalità;
6.5 vero è che va pur sempre salvaguardato al dirigente medico il livello economico in godimento, come previsto rispettivamente dal l’art. 30 comma 3 CCNL (a tenore del quale «Sino alla verifica, ai dirigenti di cui al comma 1 che conservano l’incarico di direzione di struttura complessa in atto – è mantenuto il trattamento economico in godimento o quello previsto, per lo stipendio tabellare e l’indennità di specificità medica dall’art. 38, commi 1 e 2 ove il presente contratto entri in vigore precedentemente») e dal l’art. 39 co mma 8 CCNL dell’8.6.2000, cit. («Nel caso di attribuzione di un incarico diverso da quello precedentemente svolto, a seguito di ristrutturazione aziendale, in presenza di valutazioni positive riportate dal dirigente, allo stesso sarà conferito, ai sensi degli artt. 28 e 29, un incarico di pari valore economico»);
6.6 senonché, dalla sentenza impugnata non si evince che tale trattamento economico sia stato intaccato per effetto del dedotto ‘declassamento’ della struttura e un tale aspetto non è stato neppure accreditato nel ricorso per cassazione; anzi, la RAGIONE_SOCIALE, nel suo controricorso, dichiara, quanto alla invocata ex adverso ricostruzione giuridica ed economica della carriera, di avere sempre «negli anni correttamente retribuito l’appellante con la dovuta retribuzione di struttura complessa in virtù della quale ha poi conseguito l’età pensionabile e per cui è attualmente in quiescenza» (così a pag. 16, penultimo cpv., del controricorso);
7. conclusivamente, alla stregua delle considerazioni qui esposte, i motivi secondo, terzo e quarto debbono essere nel complesso disattesi; le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in €. 3.500,00 per compensi professionali ed €. 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione