Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20280 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20280 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 28194-2020 proposto da:
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 31/2020 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 20/03/2020 R.G.N. 175/2019;
Oggetto
REVOCA INCARICO DIRIGENZIALE
R.G.N.28194/2020
COGNOME
Rep.
Ud.05/03/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Campobasso ha confermato, con diversa motivazione, la sentenza del Tribunale di Isernia che aveva accolto il ricorso di NOME COGNOME condannando il Comune di Bagnoli del Trigno al risarcimento del danno derivato dall’illegittimo recesso dal contratto con il quale alla originaria ricorrente era stato conferito l’incarico a termine di direzione dell’ufficio tecnico comunale. La C orte distrettuale ha rigettato i motivi di appello proposti dal Comune aventi ad oggetto l ‘ invalidità del contratto per difetto di forma scritta ad substantiam , rilevando che lo stesso si era validamente perfezionato nella forma prescritta dalla legge, essendo stata apposta in calce alla comunicazione della ordinanza sindacale n. 3 del 10/6/2016 la firma della professionista per accettazione. Ha inoltre precisato che il provvedimento di conferimento dell’incarico predetto conteneva in sé una sufficiente regolamentazione del rapporto di lavoro, quanto a natura dell’incarico, orario di lavoro, compenso e durata.
In ordine al secondo motivo di censura la Corte territoriale ha affermato l’inammissibilità del potere di disapplicazione ad istanza della amministrazione che ha dato causa al vizio che ne inficia la legittimità. Ha poi ritenuto che il rapporto intercorso fra le parti fosse disciplinato dagli artt. 110 TUEL e 19 d.lgs. n. 165/2001, trattandosi di incarico dirigenziale conferito da un ente pubblico a persone estranee all’amministrazione, di particolare e comprovata esperienza professionale, sottolineando che nella delibera di incarico era stato richiamato l’art. 50 del TUEL e che la durata era stata prevista nei termini
indicati dal terzo comma del citato art. 110 (ossia durata pari al mandato elettivo del sindaco).
2.1. Conseguentemente, ha ritenuto che la revoca dell’incarico , nonché la modifica delle sue condizioni, ove non fosse consensuale, avrebbe dovuto essere specificamente motivata con sopravvenute esigenze organizzative dell’amministrazione ovvero con risultati negativi della gestione o con comportamenti del dirigente non in linea con le indicazioni generali dell’Ente.
2.2. Ha, quindi, escluso che dal rapporto contrattuale il Comune potesse liberamente recedere e ha evidenziato che le ragioni addotte non giustificavano la disposta revoca, perché la circostanza che la COGNOME fosse una docente a tempo indeterminato era già nota all’amministrazione sin dal momento del conferimento dell’incarico.
Ha proposto ricorso in cassazione il Comune di Bagnoli del Trigno sulla base di due motivi, cui ha resistito con controricorso la signora NOME COGNOME
Il Comune ha altresì depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il Comune denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 d.lgs. n. 165/2001, 110 TUEL e 2237 c.c..
Si contesta alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto che fra le parti fosse intercorso un rapporto di lavoro subordinato a termine sussumibile nella fattispecie tipizzata dai primi cinque commi dell’art. 110 TUEL , anziché un rapporto di lavoro autonomo di collaborazione professionale ai sensi del comma 6 del citato articolo. A tal fine parte ricorrente richiama il contenuto delle delibere e della corrispondenza intercorsa fra le parti, nonché degli atti della amministrazione scolastica che
avevano autorizzato la COGNOME all’esercizio della libera professione.
Pertanto, ad avviso dell’amministrazione ricorrente, il rapporto di lavoro era necessariamente da ricondurre alla previsione del 6º comma del citato articolo 110.
1.1. Nella censura, inoltre, vengono affrontati nuovamente argomenti, non esaminati dalla Corte perché ritenuti assorbiti, sulla facoltà di recedere dal rapporto a prescindere dalla sussistenza della giusta causa.
Con il secondo motivo si prospetta l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c..
La Corte territoriale avrebbe erroneamente valorizzato, ai fini della qualificazione del rapporto come incarico dirigenziale di natura subordinata, la norma di cui all’ art. 50 del TUEL.
Ad avviso del Comune ricorrente i l richiamo all’art. 50 citato non sarebbe decisivo ai fini dell’esatta qualificazione giuridica del rapporto, in quanto la disposizione disciplina entrambe le ipotesi distinguendo tra ‘incarichi dirigenziali’ che danno luogo a rapporti di lavoro di natura subordinata alle dipendenze della p.a. da un lato, e quelli di ‘collaborazione esterna’ dall’altro lato che sono disciplinati dal sesto comma dell’art. 110 TUEL richiamato dall’art. 50 che danno luogo a rapporti di lavoro di natura autonoma.
Inoltre, il termine apposto al rapporto sarebbe riconducibile a quanto stabilito dal comma 6 dell’art. 110 TUEL piuttosto che alle previsioni di cui agli artt. 19 d.lgs. n. 165/2001 e 110 comma 3 TUEL, come viceversa ritenuto erroneamente dalla Corte di Appello.
La motivazione, pertanto, non avrebbe tenuto conto di tale diversa qualificazione come risultante dagli elementi di fatti comprovanti il carattere autonomo del rapporto di lavoro.
Il ricorso va respinto per i motivi di seguito esposti.
3.1. Va preliminarmente rilevato che le censure dedotte non hanno ad oggetto i capi della sentenza impugnata che hanno respinto i motivi di appello relativi alla eccepita nullità del contratto.
Ciò posto, il primo motivo di ricorso, in disparte i profili di inammissibilità nella parte in cui si sollecita un apprezzamento diretto delle risultanze processuali, è infondato.
4.1. La questione sottoposta all’odierno scrutinio è stata già affrontata da questa Corte che ha affermato il principio a cui si intende conformarsi secondo cui, in materia di pubblico impiego, il rapporto di lavoro dei dirigenti assunti dagli enti locali con contratto a tempo determinato, ai sensi dell’art. 110 del d.lgs. n. 267 del 2000, nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dall’art. 11 del d.l. n. 90 del 2014, conv. con modif. in l. n. 114 del 2014, deve intendersi di natura subordinata pur in mancanza di un’espressa qualificazione normativa, comportando l’inserimento nella organizzazione dell’ente e l’adibizione ad un servizio rientrante nei suoi fini istituzionali (laddove le collaborazioni esterne, in regime di convenzione, ai sensi del comma 6 dello stesso art. 110, sono conferibili solo per il raggiungimento di obiettivi determinati), l’applicazione della contrattazione collettiva nazionale decentrata per il personale degli enti locali nonché la risoluzione del rapporto di impiego eventualmente in essere con altra amministrazione pubblica (Cass. Sez. L., Sentenza n. 32492 del 14/12/2018).
4.2. Trattasi, nel caso di specie, di un incarico che per il suo oggetto di per sé non è compatibile con la collaborazione
autonoma finalizzata al raggiungimento di uno specifico obiettivo di carattere temporaneo.
4.3. La censura, viceversa, riconduce erroneamente alla previsione del comma 6 dell’art. 110 TUEL l’incarico di cui è causa consistente, pacificamente, nella Direzione dell’Ufficio Tecnico Comunale.
Valga al riguardo quanto argomentato da questa Corte (Cass.
32492/2018; Cass. n. 12837/2024) che ha affrontato funditus la questione sottoposta con il presente ricorso. Con le richiamate decisioni è stato affermato che:
L’art. 110 del d.lgs. n. 267/2000, nel testo antecedente alla modifica apportata dal d.l. n. 90/2014, non applicabile alla fattispecie ratione temporis, prevede, al comma 1, che gli enti locali possono provvedere alla copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione «mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o eccezionalmente e con deliberazione motivata di diritto privato» ed aggiunge al comma 3 che «il trattamento economico, equivalente a quello previsto dai vigenti contratti collettivi nazionali e decentrati per il personale degli enti locali, può essere integrato, con provvedimento motivato della giunta, da un’indennità ad personam, commisurata alla specifica qualificazione professionale e culturale, anche in considerazione della temporaneità del rapporto… ». La disposizione prevede, poi, che «il contratto a tempo determinato è risolto nel caso in cui l’ente locale dichiari il dissesto o venga a trovarsi nelle situazioni strutturalmente deficitarie» ( comma 4), che «il rapporto di impiego del dipendente di una pubblica amministrazione è risolto di diritto con effetto dalla data di decorrenza del contratto stipulato con l’ente locale» e che in tal caso «l’amministrazione di provenienza dispone,
subordinatamente alla vacanza del posto in organico o dalla data in cui la vacanza si verifica, la riassunzione del dipendente qualora lo stesso ne faccia richiesta entro i trenta giorni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato o dalla disponibilità del posto in organico» ( comma Infine, il comma 6 del richiamato art. 110 stabilisce che «per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità».
5.2 Sebbene la norma non qualifichi espressamente di natura subordinata il rapporto instaurato dall’amministrazione con il dirigente o con il responsabile del servizio non vi è dubbio che tale lo stesso debba ritenersi, perché, a differenza della collaborazione esterna di cui al comma 6, conferibile solo per il raggiungimento di obiettivi determinati e riconducibile alle collaborazioni di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001, gli incarichi a contratto realizzano la copertura di posizioni dirigenziali o di responsabilità e comportano, quindi, l’inserimento nell’organizzazione dell’ente e l’adibizione ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’ente pubblico ( cfr. sulla qualificazione del rapporto di impiego pubblico Cass. n. 10551/2003; Cass. n. 20009/2005; Cass. n. 12749/2008; Cass. n. 1639/2012; Cass. n. 17101/2017).
5.3 La riconducibilità all’impiego pubblico, sia pure temporaneo, si desume, oltre che dalla diversità dei termini utilizzati dai commi 1 e 6 ( contratto a tempo determinato da un lato, convenzione dall’altro), anche dall’espresso richiamo della contrattazione collettiva nazionale e decentrata per il personale degli enti locali nonché dalla previsione della risoluzione del rapporto di impiego eventualmente in essere con altra amministrazione pubblica, che ricalca la disciplina dettata per il
cumulo di impieghi dall’art. 65 del d.P.R. n. 3/1957, rispetto alla quale la specialità è circoscritta alla possibilità della riassunzione.
Va, quindi, data continuità all’orientamento già espresso da questa Corte che ha ritenuto i rapporti a tempo determinato instaurati ai sensi del richiamato art. 110 T.U.E.L. assoggettati alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 165/2001, tranne che negli aspetti espressamente disciplinati dalla norma speciale o per quelli incompatibili con la natura temporanea del rapporto (Cass. n. 5516/2015).
Va, pertanto, confermata la sentenza impugnata che ha affermato correttamente l’instaurazione di un rapporto di impiego di natura subordinata con le conseguenze in tema di durata del medesimo escludendo l’applicabilità della normativa invocata dalla parte ricorrente che, viceversa, consente di ritenere di natura autonoma unicamente le collaborazioni menzionate dal comma 6, ad alto contenuto di professionalità e finalizzate al raggiungimento di obiettivi determinati.
Il secondo motivo è, invece, inammissibile.
La censura è finalizzata da un lato a richiedere a questa Corte un nuovo esame delle emergenze istruttorie al fine di operare una diversa qualificazione del rapporto, dall’altro si duole della erronea qualificazione giuridica data al rapporto di lavoro dalla Corte di appello.
Entrambi i profili esorbitano in modo palese dal vizio eccepito di omesso esame ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., non avendo parte ricorrente individuato il fatto storico o naturalistico di cui sarebbe stata omessa la valutazione da parte del giudice di merito, m a contestando l’accertamento di fatto compiuto dal giudice e la diversa ricostruzione giuridica della fattispecie così come accertata sulla scorta delle norme vigenti in materia.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al rimborso di € 6.000,00 a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione