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Incarico dirigenziale ente locale: quando è lavoro?

Un comune ha revocato un incarico dirigenziale conferito a un professionista esterno, sostenendo si trattasse di una collaborazione autonoma da cui poteva recedere liberamente. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che un incarico per la direzione di un ufficio istituzionale, come l’ufficio tecnico, costituisce un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato. Di conseguenza, la revoca senza una giusta causa, come esigenze organizzative o risultati negativi, è illegittima. La sentenza chiarisce la distinzione cruciale tra l’incarico dirigenziale ente locale, che implica l’inserimento nell’organizzazione, e le collaborazioni esterne, destinate a specifici progetti.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Incarico Dirigenziale nell’Ente Locale: Lavoro Subordinato o Collaborazione Autonoma?

La distinzione tra lavoro subordinato e autonomo è una delle questioni più dibattute nel diritto del lavoro, specialmente quando coinvolge la Pubblica Amministrazione. Un incarico dirigenziale ente locale conferito a un professionista esterno rientra nel primo o nel secondo caso? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito chiarimenti decisivi, sottolineando che la natura del rapporto dipende dalle funzioni effettivamente svolte e non dalla mera qualificazione formale data dalle parti. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un Comune aveva conferito a una professionista esterna un incarico a termine per la direzione dell’ufficio tecnico comunale. Successivamente, l’amministrazione decideva di revocare l’incarico in anticipo. La professionista si opponeva, sostenendo che la revoca fosse illegittima e chiedendo il risarcimento dei danni.
Il Comune si difendeva affermando che il rapporto fosse una collaborazione professionale autonoma, dalla quale poteva recedere liberamente. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione alla professionista, qualificando il rapporto come lavoro subordinato a tempo determinato. Il Comune, non soddisfatto, portava la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del Comune, confermando le decisioni dei giudici di merito. I giudici hanno stabilito che l’incarico in questione non poteva essere considerato una collaborazione autonoma, ma doveva essere qualificato come un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, seppur a tempo determinato. Di conseguenza, il recesso anticipato da parte del Comune era illegittimo perché non supportato da una giusta causa.

Le Motivazioni: la natura dell’incarico dirigenziale ente locale

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 110 del Testo Unico degli Enti Locali (TUEL). La Corte ha chiarito che questa norma distingue due tipologie di incarichi a soggetti esterni:

1. Incarichi per la copertura di posizioni dirigenziali (commi 1-5): Questi incarichi, come la direzione di un servizio o di un ufficio, comportano l’inserimento stabile del professionista nell’organizzazione dell’ente e l’adibizione a un servizio che rientra nei fini istituzionali dell’amministrazione. Tali rapporti, per la loro natura, configurano un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato. Sono regolati dalla contrattazione collettiva e godono delle tutele tipiche del lavoro dipendente.

2. Collaborazioni esterne (comma 6): Queste sono previste per “obiettivi determinati” e con “convenzioni a termine”. Si tratta di collaborazioni autonome, conferibili solo per raggiungere specifici risultati che esulano dall’ordinaria attività istituzionale. Non comportano un inserimento strutturale nell’ente.

Nel caso specifico, la direzione dell’ufficio tecnico comunale è pacificamente un’attività istituzionale e permanente. Pertanto, l’incarico non poteva che essere un rapporto di lavoro subordinato. La Corte ha sottolineato che la revoca di un tale incarico, così come la modifica delle sue condizioni, deve essere specificamente motivata da sopravvenute esigenze organizzative, da risultati negativi della gestione o da comportamenti del dirigente non in linea con le direttive dell’ente. Nessuna di queste condizioni era stata provata dal Comune.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale per la gestione del personale negli enti locali. Le amministrazioni non possono utilizzare lo strumento della collaborazione autonoma per coprire posti e funzioni che sono intrinsecamente di natura subordinata e istituzionale. La qualificazione del rapporto non è a libera disposizione delle parti, ma dipende oggettivamente dalle mansioni affidate.
Per i professionisti, questa decisione rappresenta una garanzia importante. Chi accetta un incarico dirigenziale ente locale per gestire un’area strategica dell’amministrazione ha diritto alle tutele del lavoro subordinato, inclusa la stabilità del rapporto per la durata prevista, salvo il verificarsi di precise condizioni che giustifichino un recesso anticipato.

Un incarico dirigenziale conferito da un Comune a un esterno è sempre lavoro subordinato?
No, non sempre, ma lo è quando l’incarico consiste nella copertura di posti e nella gestione di servizi o uffici che rientrano nei fini istituzionali e permanenti dell’ente, comportando l’inserimento del professionista nella sua organizzazione. Se l’incarico è per obiettivi specifici e temporanei, può trattarsi di una collaborazione autonoma.

Qual è la differenza tra un incarico dirigenziale ex art. 110, commi 1-5, TUEL e una collaborazione esterna ex comma 6?
Il primo è un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato per coprire posizioni dirigenziali stabili nell’organigramma dell’ente. Il secondo è un rapporto di lavoro autonomo per realizzare specifici progetti o obiettivi determinati, senza un inserimento strutturale nell’amministrazione.

Un Comune può revocare liberamente un incarico dirigenziale a termine qualificato come rapporto di lavoro subordinato?
No. Secondo la Corte, la revoca anticipata di un tale incarico non può essere libera, ma deve essere specificamente motivata da ragioni oggettive, come sopravvenute esigenze organizzative, risultati di gestione negativi o comportamenti del dirigente non conformi alle indicazioni generali dell’ente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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