Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27386 Anno 2025
RAGIONE_SOCIALE Ord. Sez. L Num. 27386 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/10/2025
La Corte di Appello di Venezia ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Venezia che aveva rigettato le sue domande volte ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità della procedura selettiva avviata con nota del 9.12.2015 per il conferimento dell’incarico dirigenziale , non coperto da personale di ruolo, della direzione dell’RAGIONE_SOCIALE e delle sezioni coordinate di CremonaRAGIONE_SOCIALE Mantova e Pavia, conclusasi con l’assegnazione dell’incarico all’ingegnere NOME COGNOME, nonché la ripetizione della suddetta procedura ed il risarcimento di tutti i danni.
NOME COGNOME aveva lamentato l’insussistenza dei requisiti dell’ingegnere COGNOME per la copertura di detto incarico, l’erronea attribuzione al COGNOME del punteggio relativo alla valutazione dei titoli curricolari e l’incompatibilità del Presidente della commissione valutatrice.
La Corte territoriale ha condiviso le statuizioni del Tribunale, che aveva escluso violazioni del procedimento e dei principi di correttezza e buona fede.
Ha in particolare evidenziato che l’ingegnere NOME COGNOME aveva rivestito l’incarico di Direttore della RAGIONE_SOCIALE civile di Grosseto dal 1998 al 2000 ed aveva continuato a dirigere tale ufficio, svolgendo le medesime funzioni, anche a seguito del suo declassamento , a partire dall’anno 2000, ad ufficio periferico non dirigenziale, come riconosciuto dalla sentenza di questa Corte n. 27887/2009.
Il giudice di appello ha rilevato che la scelta del COGNOME era stata effettuata all’esito di una motivata valutazione comparativa che non aveva violato alcuna regola procedimentale, né i principi generali di correttezza e buona fede; ha inoltre ritenuto che tale valutazione discrezionale per i conferimento di un incarico di natura fiduciaria non è suscettibile di essere sindacata nel merito con particolare riferimento all’effettiva rilevanz a , in relazione all’incarico da ricopri re,
delle maggiori competenze giuridiche, dirimenti nel giudizio della commissione valutatrice.
Il giudice di appello ha inoltre escluso la violazione dei principi di correttezza e buona fede in ordine ai criteri di valutazione dei curricula ed ha rilevato che anche nella fase del colloquio orale era stata effettuata una valutazione comparativa tra i candidati; ha sul punto ritenuto infondata la doglianza dell’COGNOME riguardante l’attribuzione di punteggi numerici.
Ha altresì escluso la violazione dell’obbligo di astensione da parte del Presidente della commissione valutatrice.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi, illustrati da memoria.
Il RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
DIRITTO
Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., nonché degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la natura discrezionale della procedura.
Deduce che l’assenza di un’espressa motivazione che desse conto dell’iter logico seguito dalla Commissione per l’assegnazione di un punteggio numerico sulla base di una griglia sinottica si traduce in arbitrio.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia la violazione dell’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 ed erroneità dei presupposti in diritto.
Evidenzia che i principi richiamati dalla sentenza impugnata si riferiscono a controversie riguardanti funzionari già in possesso della qualifica di dirigente, mentre il presente giudizio ha ad oggetto incarichi da attribuire a funzionari estranei ai ruoli dirigenziali, sulla base di una ‘pesatura di merito’.
Addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto il carattere fiduciario dell’incarico conferito, all’esito di una procedura avente carattere concorsuale.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia la violazione dell’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 ed erroneità dei presupposti di fatto, per avere la corte
territoriale erroneamente ritenuto che il COGNOME avesse svolto di funzioni dirigenziali per almeno un quinquennio.
Deduce che il requisito dell’acquisizione di esperienza per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, alternativo rispetto a quello del conseguimento di particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica, va desunto da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza.
Lamenta il travisamento del dettato normativo e l’elusione dei documenti prodotti, riferiti agli incarichi dirigenziali conferiti al COGNOME e all’COGNOME; evidenzia che la sentenza di questa Corte n. 27887/2009 si è limitata a confermare il diritto del COGNOME alla percezione delle differenze retributive, sostenendo che da tale percezione non si poteva desumere il mantenimento del carattere dirigenziale della mansioni svolte dall’COGNOME, in contr asto con le regole sulla dirigenza pubblica contenute nel d.lgs. n. 165/2001.
Addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente applicato le declaratorie contrattuali e le disposizioni contenute negli artt. 16 e 17 del d.lgs. n. 165/2001, riconoscendo al COGNOME il requisito dell’acquisizione di esperienza per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali; aggiunge che per la sperimentazione di nuovi protocolli vengono necessariamente scelti piccoli uffici, al fine di non appesantire e di non limitare il regolare svolgimento di attività degli uffici dirigenziali.
Con il quarto motivo il ricorso denuncia la violazione dell’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 con riferimento all’obbligo di motivazione dei conferimenti di incarico e delle disposizioni di riorganizzazione degli uffici.
Torna a sostenere che la Commissione aveva disatteso l’obbligo di fornire la motivazione ed aveva assegnato al COGNOME il punteggio massimo, al pari dell’COGNOME, nonostante la carenza dei requisiti normativi assunti quali criteri di valutazione.
Aggiunge che il criterio dei risultati raggiunti durante lo svolgimento degli incarichi dirigenziali costituisce parametro ineludibile per l’assegnazione di incarichi e responsabilità secondo criteri oggettivi e pubblici.
Ribadisce che l’RAGIONE_SOCIALE di Grosseto era rimasto sede operativa di livello non dirigenziale, e che pertanto l’esperienza professionale del COGNOME in detto ufficio non era paragonabile alle esperienze di direzione di uffici dirigenziali che solo l’COGNOME aveva documentato.
Precisa che a tutto voler concedere il COGNOME aveva espletato mansioni dirigenziali per quattro anni e quattro mesi, mentre l’COGNOME aveva documentato esperienze di direzione dirigenziale per 14 anni in relazione al criterio di cui al punto 2 del ba ndo; evidenzia che solo l’COGNOME aveva documentato i risultati raggiunti, ed era pertanto l’unico dei candidati in possesso dei titoli sufficienti per il raggiungimento del punteggio massimo.
I primi quattro motivi, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono inammissibili.
Nel prospettare che la sentenza impugnata ha ritenuto il carattere fiduciario dell’incarico dirigenziale da conferire e nel lamentare che la Commissione aveva disatteso l’obbligo di motivazione , le censure non colgono il decisum .
La Corte territoriale ha ritenuto che l’Amministrazione fosse tenuta ad effettuare una valutazione comparativa tra gli aspiranti, ed ha verificato il rispetto dei principi di correttezza e buona fede nell’espletamento della procedura.
La sentenza impugnata ha valutato la correttezza della procedura quanto al metodo, e non ha svolto né avallato alcun giudizio riguardante il merito della scelta operata dall’Amministrazione, giudizio invece sollecitato dalle censure proposte, secondo cui l’COGNOME era l’unico candidato in possesso dei titoli per il raggiungimento del massimo punteggio.
Dalla sentenza impugnata risulta che nella fase della valutazione dei curricula è stata effettuata una valutazione comparativa tra i candidati, in quanto è stata redatta una tabella sinottica e, per ogni candidato, in relazione ad ogni profilo da valutare previsto dal bando è stato attribuito un punteggio secondo la graduazione predet erminata dal bando stesso, e che il COGNOME e l’COGNOME erano risultati i due candidati migliori, ed erano pertanto passati alla fase successiva del colloquio orale.
Le censure non lamentano la mancata predeterminazione dei criteri per l’attribuzione dell’incarico, ma nel dare contezza d i tali criteri, contestano la correttezza della valutazione effettuata dalla Commissione per erroneità del giudizio sottostante, sollecitando peraltro un giudizio di merito attraverso la rilettura di alcuni documenti.
Anche nel contestare che il COGNOME avesse svolto funzioni dirigenziali per almeno un quinquennio le censure non si confrontano con la sentenza impugnata, che ha ritenuto irrilevante il declassamento di detto ufficio anche in relazione alle mansioni concretamente svolte dopo l’11.2.2002 sulla base della sentenza n. 27887/2009 di questa Corte, secondo cui l’adibizione del COGNOME alla Direzione dell’RAGIONE_SOCIALE Provinciale della MRAGIONE_SOCIALEC.T.C. di Grosseto dal 1.12.1998 al 11.2.2002 aveva costituito svolgimento di mansioni superiori sia per quanto attiene all’esercizio dei poteri che delle correlative responsabilità attribuite.
La Corte territoriale ha dunque desunto da tale pronuncia il requisito, previsto dall’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165/2001, dell’esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali.
6. La sentenza impugnata è dunque pienamente conforme a ll’orientamento espresso da questa Corte, secondo cui a i fini della verifica del rispetto dei principi di correttezza e buona fede da parte del datore di lavoro pubblico che conferisca incarichi con determinazioni negoziali di natura privatistica scegliendo tra più aspiranti, deve ritenersi imprescindibile che l’Amministrazione dia contezza dei criteri della scelta con una congrua motivazione, trovando applicazione i medesimi principi espressi da questa Corte con riferimento al conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, secondo cui tale conferimento integra una determinazione negoziale di natura privatistica, per l’ adozione della quale l’amministrazione datrice di lavoro è tenuta ad osservare le norme di cui all’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, dovendo pertanto procedere, alla stregua delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. (e degli stessi principi evocati dall’art. 97 Cost.), ad una valutazione comparativa con gli altri candidati che contempli adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e sia sorretta
da una congrua motivazione circa i criteri seguiti e le ragioni giustificatrici delle scelte adottate (v. Cass. n. 6485/2021; Cass. n. 36209/2023).
La medesima pronuncia è altresì conforme al principio secondo cui il punteggio numerico sintetizza adeguatamente il giudizio tecnico della Commissione, in quanto siano stati adeguatamente predeterminati i criteri di massima ed i parametri per la loro attribuzione (Cass. S.U. n. 3562/2020), nonché all’orientamento di questa Corte secondo cui in tema di pubblico impiego e di incarichi dirigenziali da conferire ai sensi dell’art. 19, co. 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, il requisito delle concrete esperienze maturate per almeno un quinquennio in posizioni funzionali per l’accesso alla dirigenza non fa riferimento allo svolgimento di pregressi incarichi di rango esclusivamente dirigenziale, ma più in generale ad ‘esperienze di lavoro’ purché qualificanti rispetto alla posizione della quale si procede alla copertura’ (Cass. n. 24653/2025).
Con il quinto motivo il ricorso denuncia l’apparenza della motivazione della sentenza impugnata in ordine alle modalità di svolgimento del colloquio.
Evidenzia che il colloquio si era svolto senza le idonee garanzie di trasparenza, in quanto la Commissione aveva esaminato un candidato alla volta a porte chiuse, con la proposizione di quesiti improvvisati, senza precedente fissazione ed estrazione a sorte, in violazione degli artt. 6 e 12 del DPR n. 487/1994 (applicabili, ai sensi dell’art. 70, comma 13, d. lgs. n. 165/2001, nelle parti non incompatibili con gli artt. 35 e 36).
Lamenta che la motivazione adottata dalla Commissione è priva di qualunque riferimento a documenti, concreti e coerenti, idonei a giustificare oggettivamente l’assunta ‘superiore’ preparazione del COGNOME.
La censura è inammissibile in quanto non si confronta con il decisum e tende alla rivisitazione del fatto.
La sentenza impugnata ha ritenuto dirimente l’assenza di contestazioni sul contenuto del verbale relativo alla prova orale, nel quale erano stati analiticamente riportati i quesiti di carattere generale e di carattere tecnico formulati dalla commissione valutatrice; ha dunque accertato che COGNOME e COGNOME erano stati valutati in relazione alle medesime e predeterminate domande.
Nel prospettare che le domande erano improvvisate, la censura sollecita un accertamento in fatto di segno contrario rispetto a quello effettuato dalla Corte territoriale.
Inoltre il motivo non si confronta con le statuizioni secondo cui era dirimente che il contenuto del verbale non fosse stato contestato e secondo cui i candidati fossero stati valutati sulla base delle medesime domande.
Non è ravvisabile l’apparenza della motivazione della commissione, che dà conto in modo chiaro ed esauriente delle ragioni per le quali è stato scelto il COGNOME, né la censura contesta la sussistenza dei precedenti del COGNOME nell’ambito della partecipazione ad attività di formazione e di sviluppo di norme e regolamenti del settore anche di derivazione comunitaria.
Infatti la sentenza impugnata riporta il contenuto della valutazione dei colloqui, da cui risulta che è stata ritenuta dirimente per la scelta del COGNOME ‘ una preparazione al più vasto raggio costituita dai suoi precedenti nell’ambito della partecipazione ad attività di formazione e di sviluppo di norme e regolamenti del settore anche di derivazione comunitaria, che gli consentono, ancora a parere della commissione, di collegare rapidamente ogni problematica che dovrà affrontare alle sue origini normative definendo quindi con più incisività il percorso delle soluzioni da adottare, sia direttamente che con la mediazione del direttore generale di riferimento ‘.
Con il sesto motivo il ricorso denuncia la violazione delle disposizioni in materia di astensione.
Richiama la nota di incarico del 25.6.2013, evidenziandone il sicuro e diretto fondamento nella conoscenza diretta e approfondita degli incaricati, e gli atti prot. n. 2250 del 13.5.2015 e n. 5253 del 10.12.2015, da cui si desume il rapporto diretto il rapporto diretto tra il Presidente della Commissione e il COGNOME.
Deduce la sussistenza delle gravi ragioni di convenienza previste per l’astensione dall’art. 7 del d.P.R. n. 61/2013, il cui contenuto è sostanzialmente coincidente con l’art. 51 cod. proc. civ. ; sostiene l’applicabilità dell’art. 6 bis della legge n. 241/1990, come modificata dalla legge n. 190/2012.
Il motivo è inammissibile.
La censura fa leva su un documento che non è menzionato dalla sentenza impugnata (la nota di incarico del 25.6.2013) senza che risulti indicato specificamente quando ed in che termini la relativa questione sia stata posta al giudice del merito.
Inoltre il motivo sollecita un giudizio di fatto attraverso la rilettura delle note prot. n. 2250 del 13.5.2015 e n. 5253 del 10.12.2015.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Tale esito esime, per il principio della durata ragionevole del giudizio, dal disporre la rinnovazione della notifica del ricorso agli enti intimati, che parte ricorrente ha erroneamente eseguito presso l’Avvocatura distrettuale , e non presso l’Avvocatura generale (su tale principio v. Cass. n. 33234/2022; Cass. n. 394/2021; Cass. n. 26997/2020; Cass. n. 6924/2020).
Considerato che il RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME sono rimasti intimati, nessuna pronuncia va adottata sulle spese di lite.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso ;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 24 settembre 2025.
La Presidente NOME COGNOME