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Incarico dirigenziale a termine: no abuso, sì mansioni

Una dipendente pubblica di ruolo ha ricevuto per oltre 15 anni un incarico dirigenziale a termine. A seguito della cessazione dell’incarico, dovuta a una sentenza della Corte Costituzionale, ha chiesto un risarcimento per abuso del contratto a termine. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che non si tratta di un rapporto di lavoro precario, ma di un’ipotesi di svolgimento di mansioni superiori all’interno di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato già esistente. Pertanto, la disciplina sull’abuso dei contratti a termine non è applicabile.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Incarico dirigenziale a termine: non è abuso se il lavoratore è già di ruolo

L’assegnazione di un incarico dirigenziale a termine a un dipendente pubblico già inquadrato a tempo indeterminato non configura un abuso della normativa sui contratti a termine. Si tratta, piuttosto, di un’ipotesi di svolgimento di mansioni superiori, che non genera una condizione di precarietà lavorativa. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza qui in esame, chiarendo un punto fondamentale nel diritto del pubblico impiego.

I Fatti del Caso: un incarico dirigenziale a termine durato 15 anni

Il caso riguarda una funzionaria di un’Agenzia fiscale, assunta a tempo indeterminato dal 1981. A causa di una cronica carenza di personale dirigenziale, a partire dal 2000 le vengono conferiti, tramite una serie di contratti a termine, diversi incarichi dirigenziali. Questa situazione si protrae per oltre 15 anni, fino a quando, a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale (n. 37/2015) che dichiara illegittime le norme che permettevano tali incarichi, l’Amministrazione revoca l’incarico.

La lavoratrice torna quindi a svolgere le sue precedenti mansioni di funzionario, con una conseguente riduzione dello stipendio. Decide così di fare causa, sostenendo l’illegittimità della successione di contratti a termine per l’incarico dirigenziale a termine, ritenendola una forma di abuso sanzionata dalla normativa nazionale ed europea. Chiede, di conseguenza, un cospicuo risarcimento del danno, sia per la perdita economica sia per il danno all’immagine subito.

La Decisione della Corte di Cassazione

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello respingono le richieste della lavoratrice. Il caso arriva quindi in Cassazione, che conferma le decisioni dei giudici di merito e rigetta il ricorso.

Incarico dirigenziale a termine: non è un nuovo contratto ma un’estensione del rapporto esistente

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella qualificazione giuridica dell’incarico. I giudici chiariscono che il conferimento di un incarico dirigenziale a un funzionario già in servizio non crea un nuovo e autonomo contratto di lavoro a termine, ma si innesta sul rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato già esistente.

In altre parole, non si è di fronte a un lavoratore precario, ma a un dipendente stabile a cui vengono temporaneamente affidate responsabilità maggiori. La situazione è legalmente assimilabile all’esercizio di ‘mansioni superiori’ o a una ‘reggenza’ temporanea, non a una successione di contratti a termine volti a coprire in modo fraudolento un posto di lavoro stabile.

Nessun abuso e nessuna precarietà

Poiché la lavoratrice non ha mai perso la stabilità del suo posto di lavoro (quello di funzionaria), non si può applicare la disciplina europea e nazionale che mira a prevenire l’abuso dei contratti a termine. Tale normativa è pensata per tutelare i lavoratori precari, non i dipendenti di ruolo che svolgono temporaneamente funzioni più elevate, per le quali, peraltro, hanno ricevuto la corrispondente maggiore retribuzione.

Il Danno all’Immagine e l’Art. 2087 c.c.

La Corte rigetta anche la richiesta di risarcimento per danno all’immagine. La lavoratrice lamentava una campagna mediatica negativa seguita alla revoca degli incarichi. Tuttavia, i giudici sottolineano che la cessazione dell’incarico è stata una conseguenza diretta e obbligata di una sentenza della Corte Costituzionale. Inoltre, l’obbligo di protezione del datore di lavoro (ex art. 2087 c.c.) non si estende alla difesa del dipendente da attacchi mediatici provenienti da terzi, esterni al rapporto di lavoro.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte d’Appello, secondo la Cassazione, ha correttamente escluso l’applicazione della Direttiva 1999/70/CEE e del D.Lgs. 368/2001, perché la ‘precarizzazione’ subita dalla ricorrente ha riguardato solo l’aspetto retributivo (tornato al livello originario) e non la stabilità lavorativa, che era garantita dal rapporto a tempo indeterminato sottostante. La fattispecie non rientra nell’abuso di contratti a termine ma nello svolgimento di mansioni superiori, per le quali l’unica pretesa è quella economica, che nel caso specifico era stata soddisfatta. Di conseguenza, non sussiste il presupposto per l’agevolazione probatoria prevista per il risarcimento del danno da illegittima apposizione del termine.

Le Conclusioni

L’ordinanza consolida un importante principio: nel pubblico impiego, l’affidamento di un incarico dirigenziale a termine a un dipendente di ruolo non può essere trattato come un contratto a termine autonomo. Esso rappresenta un’estensione temporanea delle mansioni all’interno di un rapporto stabile. Di conseguenza, il lavoratore non può invocare le tutele contro la precarietà, ma ha diritto unicamente al trattamento economico corrispondente alle superiori funzioni svolte per la durata dell’incarico.

L’assegnazione di un incarico dirigenziale a termine a un dipendente pubblico di ruolo costituisce un abuso di contratti a termine?
No. Secondo la Corte, tale incarico si innesta su un rapporto di lavoro a tempo indeterminato già esistente e non crea una situazione di precarietà. È assimilabile allo svolgimento di mansioni superiori, pertanto non si applica la normativa sull’abuso dei contratti a termine.

Un dipendente pubblico ha diritto al risarcimento se il suo incarico dirigenziale a termine viene interrotto a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale?
No. La cessazione dell’incarico, in questo caso, è una conseguenza diretta e obbligata della sentenza di incostituzionalità. L’amministrazione agisce in adempimento di un obbligo di legge, quindi non sorge un diritto al risarcimento per la sua interruzione.

Il datore di lavoro pubblico è responsabile per il danno all’immagine subito dal dipendente a causa di una campagna mediatica negativa?
No. L’obbligo di tutela del datore di lavoro (art. 2087 c.c.) è circoscritto all’ambiente e all’esercizio dell’impresa. Non si estende alla protezione del dipendente da comportamenti di soggetti terzi esterni al rapporto di lavoro, come una campagna mediatica negativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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