Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1876 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 1876 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18069/2020 R.G. proposto da: COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
Contro
MINISTERO RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 797/2019 depositata il 05/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’Appello di L’Aquila, per quanto ancora in discussione, confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede nella parte in cui aveva respinto la domanda proposta da NOME COGNOME, docente del Conservatorio di musica di L’ Aquila, avverso il provvedimento del MINISTERO DELL’ISTRUZIONE di recupero delle somme introitate dalla COGNOME per incarichi non autorizzati, svolti negli anni dal 2008 al 2011.
2.La Corte territoriale osservava che l’obbligo di restituire i compensi indebitamente ottenuti dal dipendente pubblico, stabilito dall’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165/2001, non costitutiva una sanzione amministrativa ma una sanzione ex lege ; l’autonomia rispetto al procedimento disciplinare risultava dalla lettera della norma nonché dal fatto che l’obbligo di versare i compensi gravava in primo luogo sul soggetto erogatore, rispetto al quale non poteva ipotizzarsi alcun procedimento disciplinare.
3.Inoltre, la giurisdizione contabile sussisteva solo se alla violazione del dovere di fedeltà e/o all’omesso versamento della somma pari al compenso indebitamente percepito si accompagnassero profili di danno mentre nella specie alcun danno era imputato alla lavoratrice, in quanto gli incarichi extraistituzionali non le avevano impedito di adempiere agli obblighi lavorativi né vi era stato un nocumento di immagine per la amministrazione di appartenenza.
4.Trovava applicazione la prescrizione ordinaria decennale, proprio perché non si trattava di una sanzione amministrativa ma al più di una sanzione ex lege , direttamente rinveniente dall’inadempimento contrattuale.
5.Nel merito, riteneva infondate le difese della lavoratrice, secondo le quali l’attività svolta non era soggetta ad autorizzazione ma a mera comunicazione, ai sensi dell’art. 27 del CCNL del comparto AFAM dell’anno 2005, che ammetteva l’esercizio della libera attività in campi artistici.
Osservava che, secondo la circolare del Ministero dell’Istruzione del 29 maggio 2014 n. 3305, rientravano tra le attività liberalizzate, non soggette ad autorizzazione, le attività artistiche libero professionali non connesse all’esercizio della funzione docente, quali la partecipazione a
mostre d’arte, concerti e concorsi artistici; tali non erano gli incarichi svolti nel periodo di causa (incarico di esperta di musica classica per una trasmissione, più direzioni artistiche di festival, una volta come direttore generale, incarico di docenza in Storia della Musica conferito da un organismo internazionale).
Era irrilevante la affermazione della ricorrente di avere comunicato nell’anno 2007 al direttore del Conservatorio di Latina lo svolgimento dell’attività extraistituzionale, ricevendone indicazione della non -obbligatorietà della comunicazione annuale. Si trattava di una mera allegazione ed, in ogni caso, la dipendente aveva il dovere di dare comunicazione dell’incarico alla istituzione presso cui prestava l’attività lavorativa, la quale soltanto era competente a verificare se le attività fossero soggette ad autorizzazione e fossero compatibili con i doveri del pubblico dipendente.
8.Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza NOME COGNOME articolato in quattro ragioni di censura ed illustrato con memoria, cui ha resistito il MINISTERO DELL’ISTRUZIONE con controricorso
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo la parte ricorrente ha dedotto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la violazione dell’art. 53, comma 7 -bis , d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165.
2.La censura afferisce alle statuizioni della sentenza impugnata in punto di giurisdizione del giudice ordinario; la parte, da un canto, sostiene che il collegio giudicante non aveva elementi per affermare che non vi era stata violazione degli obblighi lavorativi e non si era verificato alcun danno, dall’altro che il Ministero aveva depositato nel primo grado di giudizio la comunicazione spedita alla Procura della Corte dei Conti della Regione Abruzzo.
3.In via preliminare va rilevato che il Collegio è delegato a trattare la questione di giurisdizione in virtù del decreto del Primo Presidente in data 10 settembre 2018, in quanto essa rientra, nell’ambito delle materie di competenza della sezione lavoro, tra le questioni indicate nel richiamato
decreto sulle quali si è consolidata la giurisprudenza delle Sezioni Unite di Questa Corte.
4.Il motivo è infondato.
5.Le Sezioni Unite di questa Corte si sono già ripetutamente espresse in punto di giurisdizione sulla materia dei compensi per incarichi non autorizzati dalla P.A. (Cass. SU 8 febbraio 2023 n. 3872; Cass S.U. 24 giugno 2022 n. 20459; Cass. S.U. 5 novembre 2021 n. 32199 e giurisprudenza ivi citata), chiarendo che la domanda della P.A. di appartenenza volta ad ottenere il versamento dei corrispettivi percepiti nello svolgimento di un incarico non autorizzato rientra nella giurisdizione del giudice ordinario non soltanto quando venga proposta, come pure previsto dalla legge, nei confronti del soggetto erogante (il quale, essendo estraneo alla PA, non viene convenuto a titolo di responsabilità erariale avanti alla Corte dei Conti) ma anche quando venga proposta nei confronti del dipendente stesso, in recupero di un credito che ha natura sanzionatoria ex lege , in funzione del rafforzamento degli obblighi di fedeltà ed esclusività al quale il medesimo è tenuto.
6.La giurisdizione ordinaria cede, invece, a quella contabile allorquando la domanda venga proposta, nei confronti del dipendente, non dall’ente di appartenenza ma direttamente dalla Procura Regionale della Corte dei Conti, posto che in tal caso la domanda trova giustificazione nel danno erariale conseguente alla violazione del dovere strumentale di chiedere l’autorizzazione allo svolgimento degli incarichi extralavorativi, e del conseguente obbligo di riversare alla PA i compensi ricevuti.
7.Nella fattispecie di causa, come nel caso esaminato da Cass. SU n. 3872/2023 cit., l’azione non è stata proposta dalla Procura contabile per far valere un danno erariale riconducibile ad un’ipotesi di responsabilità amministrativo-contabile per dolo o colpa grave, bensì dal dipendente stesso al fine di far risultare l’insussistenza del diritto dell’amministrazione di appartenenza di procedere direttamente e forzosamente al recupero del credito mediante trattenimento rateizzato in busta paga, senza previo conseguimento di un titolo giudiziale. Si tratta, dunque, di una domanda che trova petitum sostanziale nell’accertamento negativo di questo diritto e che muove dalla contestazione di una
condotta tipicamente datoriale nell’ambito di un rapporto di lavoro contrattualizzato, come tale devoluto al giudice ordinario.
8.Non può porsi alcun problema di interferenza o sovrapposizione delle due azioni (di recupero-riscossione della PA e per danno erariale della Procura contabile) con conseguente ipotetica rilevanza del ne bis in idem , dal momento che la Procura contabile è rimasta inerte nei confronti della lavoratrice.
Deve peraltro aggiungersi che la questione che viene in considerazione nella fattispecie di causa è sovrapponibile a quella trattata da Cass. S.U. 4 aprile 2017 n. 8688, sempre in tema di recupero di compensi percepiti senza l’autorizzazione della amministrazione di appartenenza.
10.Si è ivi ribadito il principio -già enunciato da Cass. Sez. Un., Sentenza n. 21260 del 20.10.2016 -secondo cui «l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale, autonomo, capo della decisione». L’ordinamento processuale non consente, infatti, all’attore, una volta che la causa sia stata decisa nel merito, di attuare una scelta contraddittoria rispetto a quella praticata originariamente sulla giurisdizione.
11.Con il secondo mezzo si denuncia -ai sensi degli articoli 360 n. 3 e n. 5 cod.proc.civ. -la violazione dell’art. 28 l. n. 689/1981 e dell’art. 1,comma2, l. 10 gennaio 1994 n. 20 nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione.
12.La censura inerisce al rigetto della eccezione di prescrizione quinquennale.
13.La parte ricorrente contesta la statuizione di decennalità del termine di prescrizione, assumendo che qualunque sia la qualificazione della fattispecie -sanzione ex lege o, piuttosto, responsabilità erariale -il termine di prescrizione sarebbe quinquennale.
14.La terza critica è proposta -ai sensi dell’art. 360 n. 3 e n. 5 cod.proc.civ. -per violazione dei principi generali in tema di inadempimento contrattuale e di sanzioni amministrative nonché per
illogicità, contraddittorietà e difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia.
15.Si contesta l’assunto della sentenza impugnata secondo il quale l’omesso versamento da parte del dipendente all’amministrazione di appartenenza dei compensi ricevuti costituisce inadempimento contrattuale; si deduce la contraddittorietà tra la qualificazione della fattispecie come sanzione ex lege e la applicazione della disciplina dell’inadempimento contrattuale.
16. Sostiene, inoltre, la parte ricorrente che il giudice dell’appello avrebbe escluso la sussistenza dell’inadempimento, dando atto della corretta esecuzione della prestazione lavorativa e della assenza di danno e che, in ogni caso, l’inadempimento presuppone la colpa del debitore, di cui il giudice dell’appello avrebbe omesso l’accertamento.
17.Sotto altro versante, si contesta la affermata autonomia della fattispecie dalla responsabilità disciplinare e si sostiene che poiché nel primo grado era stata dichiarata illegittima la sanzione disciplinare irrogata (seppure sotto il profilo della intempestività) non avrebbe potuto sopravvivere la sanzione ex lege (l’obbligo di riversare i compensi).
18.Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili nella parte in cui deducono il vizio della motivazione -senza prospettare, neppure nella rubrica, l’omesso esame di un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 cod.proc.civ. -ed infondati quanto alla denuncia del vizio di violazione di legge.
19. Secondo i principi enunciati in tema di giurisdizione sulla pretesa della PA di recupero dei compensi relativi ad attività extraistituzionali non autorizzate, la azione del datore di lavoro è relativa all’adempimento di un’obbligazione ex lege gravante sul lavoratore, che trova fondamento nel rapporto di lavoro; si tratta di una obbligazione che prescinde dall’accertamento del dolo o della colpa del dipendente e si basa sulla mera percezione di quanto andava devoluto alla amministrazione. Anche nel caso in cui la azione sia proposta dal dipendente, come azione di accertamento negativo, si tratta di controversia relativa «alla mera realizzazione del credito dell’amministrazione al riversamento degli extra-
compensi non autorizzati; fattispecie nella quale – ed alla stessa maniera – rileva unicamente il fatto obiettivo della percezione dei compensi in violazione dell’obbligo di legge» (Così, Cass. n. 3872/2023, in motivazione).
20 .Invero, secondo la previsione del comma 7 dell’art. 53 d.lgs. n. 165/2001, in caso di inosservanza del divieto di svolgere incarichi retribuiti senza la autorizzazione della amministrazione di appartenenza «… salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti».
21. E’ dunque erroneo l’assunto di parte ricorrente secondo il quale si tratterebbe di una sanzione amministrativa o di una sanzione disciplinare. 22.La norma non individua né una ipotesi di illecito amministrativo, con la designazione di un organo della pubblica amministrazione preposto ad irrogare una sanzione amministrativa né una ipotesi di responsabilità disciplinare, come è evidente nell’inciso «ferma restando la responsabilità disciplinare».
23.Del resto, è connaturata alla irrogazione di una sanzione, amministrativa o disciplinare, la verifica, dapprima nella sede amministrativa o disciplinare, poi, eventualmente, nella sede giudiziaria, della gravità concreta della violazione e della responsabilità dell’autore dell’illecito mentre nella fattispecie considerata l’obbligo di versamento discende unicamente da un fatto oggettivo, l’avere ricevuto i compensi per un incarico non autorizzato, senza alcuna verifica di colpevolezza.
24 .L’articolo 53, comma 7, d.lgs. n. 165/2001 individua una vicenda interna al rapporto di lavoro ovvero un obbligo ex lege del lavoratore di corrispondere i compensi percepiti, cui corrisponde un credito del datore di lavoro avente ad oggetto detti compensi; la azione proposta dalla pubblica amministrazione non è altro che la azione recuperatoria di un credito contrattuale, soggetta a prescrizione decennale, come correttamente affermato dalla sentenza impugnata.
25.La natura sanzionatoria rappresenta unicamente la ratio della previsione dell’obbligo di legge, che ne sorregge la razionalità ex art. 3 Cost. La ragionevolezza della legge si fonda, cioè, sullo specifico superiore interesse al rafforzamento degli obblighi di fedeltà ed esclusività ai quali è tenuto il dipendente pubblico.
26.Per quanto esposto, alcun rilievo hanno sul recupero di questo credito le vicende relative al procedimento disciplinare svoltosi nei confronti della lavoratrice né alcun effetto produce la dichiarazione di illegittimità della sanzione disciplinare irrogata.
27.Con la quarta censura viene dedotta -ai sensi dell’articolo 360 n.3 e n. 5 cod.proc.civ. -la violazione degli articoli 24 e 27 CCNL AFAM del 2005 nonché la illogicità, la contraddittorietà ed il difetto della motivazione.
28.Si addebita alla sentenza impugnata di avere interpretato le previsioni contrattuali alla luce di una circolare emanata dopo diversi anni dai fatti di causa e si sostiene che l’art. 24 del CCNL richiederebbe la autorizzazione per lo svolgimento delle attività di insegnamento e di ogni altra attività esercitata in modo continuativo e professionale mentre l’articolo 27 si occuperebbe delle attività svolte in campo artistico non aventi carattere continuativo e professionale, soggette al mero obbligo di comunicazione. Si assume che le attività svolte, avendo carattere saltuario e temporaneo e per il fatto di inerire al campo artistico e musicale, non erano soggette ad autorizzazione ma a mera comunicazione.
29.Il motivo è complessivamente inammissibile.
30 .Sotto il profilo della denuncia dell’errore di diritto, la parte ricorrente non individua le affermazioni della sentenza impugnata che costituirebbero una violazione degli articoli 24 e 27 CCNL AFAM, non potendo tale violazione consistere nel semplice rinvio da parte del giudice dell’appello, a sostegno della interpretazione accolta, ad una circolare della amministrazione successiva ai fatti di causa.
31.La violazione del CCNL va dedotta con riferimento agli esiti della interpretazione espressa in sentenza: la parte ricorrente non contesta
tale interpretazione ma piuttosto afferma che gli incarichi ricevuti non avevano carattere professionale ma carattere artistico episodico e non continuativo.
32. In tal modo sottopone a questa Corte una questione di fatto, non compatibile con la denuncia dell’errore di diritto.
33. Sotto il profilo della deduzione del vizio di motivazione, il motivo è inammissibile, in quanto articolato come denuncia di illogicità, contraddittorietà e difetto di motivazione piuttosto che secondo il paradigma di cui all’ art. 360 n. 5 cod.proc.civ.
34 .Ai sensi della predetta disposizione, la parte ricorrente aveva l’onere della specifica individuazione di un fatto storico non esaminato nella sentenza impugnata benché oggetto di discussione tra le parti ed avente carattere decisivo, con indicazione, del pari specifica, degli atti dai quali il fatto risultava esistente e delle ragioni della sua decisività.
35.La censura non individua un fatto storico specifico non esaminato nella sentenza impugnata; il fatto delle indicazioni ricevute dal direttore del Conservatorio è stato esaminato nella sentenza impugnata e ritenuto non provato e, comunque, privo di rilevanza decisiva.
Il ricorso deve essere nel complesso respinto.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
38. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 4.000 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari
a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della