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Incarichi non autorizzati: restituzione e prescrizione

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, rigettando il ricorso di una docente di un conservatorio. La Corte ha stabilito che i compensi percepiti per incarichi non autorizzati svolti al di fuori del pubblico impiego devono essere restituiti all’amministrazione di appartenenza. Questa obbligazione non è una sanzione amministrativa, ma un’obbligazione civile ‘ex lege’, soggetta alla prescrizione ordinaria decennale e rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Incarichi non autorizzati: l’obbligo di restituzione è un’obbligazione civile decennale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema degli incarichi non autorizzati svolti dai dipendenti pubblici, chiarendo la natura dell’obbligo di restituzione dei compensi e il relativo termine di prescrizione. La decisione conferma che tale obbligo non ha natura sanzionatoria, bensì civile, e rientra nella giurisdizione del giudice ordinario con una prescrizione di dieci anni. Questa pronuncia offre importanti spunti di riflessione sul rapporto di lavoro nel pubblico impiego e sui doveri di esclusività e fedeltà.

I fatti del caso

La vicenda riguarda una docente di un conservatorio di musica che, tra il 2008 e il 2011, aveva svolto diversi incarichi extra-istituzionali retribuiti, tra cui direzioni artistiche di festival e docenze, senza aver ricevuto la necessaria autorizzazione dall’amministrazione di appartenenza, il Ministero dell’Istruzione. Di conseguenza, il Ministero aveva avviato una procedura per il recupero delle somme percepite dalla dipendente.

La docente si era opposta a tale recupero, dando inizio a un contenzioso legale. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione all’amministrazione, confermando l’obbligo di restituzione. La lavoratrice ha quindi proposto ricorso per cassazione, sollevando questioni relative al difetto di giurisdizione del giudice ordinario, alla qualificazione dell’obbligo di restituzione e alla prescrizione, che a suo dire doveva essere quinquennale.

La decisione della Corte di Cassazione sugli incarichi non autorizzati

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso della docente, confermando la sentenza della Corte d’Appello e chiarendo in modo definitivo i principi applicabili in materia di incarichi non autorizzati.

I giudici hanno stabilito che:
1. Giurisdizione: La controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto riguarda un’obbligazione che sorge nell’ambito del rapporto di lavoro contrattualizzato.
2. Natura dell’obbligo: L’obbligo di versare all’amministrazione i compensi percepiti non è una sanzione amministrativa, ma un’obbligazione civile che nasce ex lege (direttamente dalla legge) per rafforzare i doveri di fedeltà ed esclusività del dipendente pubblico.
3. Prescrizione: Proprio perché si tratta di un’obbligazione civile e non di una sanzione, il termine di prescrizione applicabile è quello ordinario decennale e non quello quinquennale previsto per le sanzioni.

Analisi delle questioni giuridiche

La difesa della ricorrente si basava sull’errata qualificazione dell’obbligo di restituzione come sanzione amministrativa o come una forma di responsabilità erariale. La Corte ha smontato questa tesi, spiegando che l’articolo 53 del D.Lgs. 165/2001 individua una vicenda interna al rapporto di lavoro. L’obbligo di versare i compensi è una diretta conseguenza del fatto oggettivo di averli percepiti per un incarico non autorizzato, a prescindere da una valutazione sulla colpa o sul dolo del dipendente e indipendentemente da eventuali procedimenti disciplinari, che rimangono distinti.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione basandosi su una consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite. La norma (art. 53, comma 7, D.Lgs. 165/2001) che impone il versamento dei compensi mira a rafforzare il vincolo di esclusività del dipendente pubblico, impedendo che attività esterne possano entrare in conflitto con i doveri d’ufficio.

La natura dell’obbligo è stata definita come un credito contrattuale dell’amministrazione nei confronti del proprio dipendente. L’azione di recupero è quindi un’azione recuperatoria di un credito sorto all’interno del rapporto di lavoro, soggetta alle regole civilistiche, inclusa la prescrizione decennale.

I giudici hanno inoltre precisato che la giurisdizione della Corte dei Conti si attiverebbe solo se l’azione fosse promossa dalla Procura contabile per un danno erariale, ipotesi diversa da quella in esame, dove è l’amministrazione stessa a richiedere la restituzione di somme che le spettano per legge.

Le conclusioni

L’ordinanza in commento ribadisce un principio fondamentale per tutti i dipendenti pubblici: lo svolgimento di incarichi non autorizzati comporta l’obbligo legale di restituire all’amministrazione di appartenenza tutti i compensi percepiti. Questa misura non è una punizione discrezionale, ma una conseguenza automatica prevista dalla legge. La decisione chiarisce che il datore di lavoro pubblico ha dieci anni di tempo per agire per il recupero di tali somme. La sentenza rafforza così i principi di lealtà e trasparenza che devono governare il pubblico impiego, garantendo che le energie del dipendente siano primariamente dedicate al servizio della collettività.

A quale giudice spetta decidere sulla restituzione dei compensi per incarichi non autorizzati di un dipendente pubblico?
La competenza è del giudice ordinario, in quanto si tratta di una controversia relativa a un’obbligazione civile che sorge all’interno del rapporto di lavoro contrattualizzato, e non della Corte dei Conti, la cui giurisdizione interviene in caso di danno erariale.

Qual è il termine di prescrizione per l’azione di recupero di tali compensi da parte dell’amministrazione?
Il termine di prescrizione è quello ordinario decennale. La Corte ha chiarito che non si applica la prescrizione breve di cinque anni, poiché l’obbligo di restituzione non costituisce una sanzione amministrativa ma un’obbligazione civile.

L’obbligo di restituire i compensi per un incarico non autorizzato è una sanzione disciplinare o amministrativa?
No, non è né una sanzione disciplinare né amministrativa. È un’obbligazione civile che sorge ‘ex lege’, cioè direttamente dalla legge (art. 53, D.Lgs. 165/2001), come conseguenza oggettiva della percezione di compensi per un’attività non autorizzata. Resta ferma la possibilità di avviare un separato procedimento disciplinare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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