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Incarichi extraistituzionali: sanzioni e autorizzazioni

La Corte di Cassazione analizza il caso di una dipendente pubblica sanzionata per aver svolto incarichi extraistituzionali non autorizzati. La decisione si concentra sulla necessità di un’autorizzazione formale e sul dovere del giudice di rivalutare la proporzionalità della sanzione disciplinare qualora l’entità degli illeciti venga ridimensionata nel corso del giudizio. La Corte ha cassato la sentenza di merito per non aver riconsiderato l’adeguatezza della sanzione alla luce dei nuovi fatti accertati.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Incarichi Extraistituzionali nel Pubblico Impiego: Guida a Regole e Sanzioni

Il rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione è fondato su un principio di esclusività, essenziale per garantire l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa. Ma cosa succede quando un dipendente pubblico decide di svolgere incarichi extraistituzionali retribuiti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui requisiti per l’autorizzazione e, soprattutto, sul criterio di proporzionalità delle sanzioni.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una dipendente di un’Azienda Sanitaria Locale, assunta prima a tempo determinato e poi indeterminato. L’Amministrazione le contestava di aver svolto, in un arco temporale di circa due anni, incarichi professionali retribuiti per conto di terzi senza aver mai ricevuto la necessaria autorizzazione.

Di conseguenza, la lavoratrice subiva una duplice sanzione: una disciplinare, consistente nella sospensione di tre mesi dallo stipendio, e una patrimoniale, con la richiesta di restituzione di tutti i compensi percepiti, quantificati inizialmente in oltre 58.000 euro.

La dipendente si opponeva, sostenendo di aver ottenuto un’autorizzazione informale dalla sua dirigente e che il procedimento disciplinare era stato avviato tardivamente. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano le sue richieste, confermando la legittimità delle sanzioni.

La Questione degli Incarichi Extraistituzionali davanti alla Cassazione

La lavoratrice ha portato il caso davanti alla Corte di Cassazione, sollevando diverse questioni. Tra queste, le più importanti riguardavano la validità dell’autorizzazione, la tempestività del procedimento disciplinare e, in particolare, la proporzionalità della sanzione.

Un punto cruciale emergeva durante il processo: l’Azienda Sanitaria stessa aveva ricalcolato e significativamente ridotto la somma da restituire, portandola prima a circa 30.000 euro e infine a meno di 12.000 euro. Questa riduzione era dovuta al fatto che alcuni degli incarichi inizialmente contestati erano stati, in realtà, svolti legittimamente. Secondo la difesa, questo nuovo fatto avrebbe dovuto spingere i giudici a riconsiderare la gravità della condotta e, di conseguenza, l’adeguatezza di una sanzione pesante come tre mesi di sospensione.

L’Autorizzazione Deve Essere Formale e Preventiva

La Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’autorizzazione a svolgere incarichi extraistituzionali non può mai essere implicita o desunta da comportamenti concludenti (facta concludentia). L’art. 53 del D.Lgs. 165/2001 richiede una procedura formale e un’autorizzazione preventiva da parte dell’organo competente. La semplice approvazione di un superiore gerarchico non è sufficiente a sanare la mancanza del provvedimento formale.

Questo rigore è posto a tutela dei principi costituzionali di imparzialità (art. 97 Cost.) e di servizio esclusivo alla Nazione (art. 98 Cost.), che mirano a evitare che i dipendenti pubblici siano esposti a condizionamenti derivanti da altre attività lavorative.

L’Obbligo di Rivalutare la Proporzionalità della Sanzione

Il punto su cui la Cassazione ha dato ragione alla lavoratrice è quello relativo alla proporzionalità della sanzione. La Corte d’Appello aveva considerato la riduzione dell’importo da restituire come un elemento rilevante solo ai fini della compensazione delle spese legali, senza però rimettere in discussione la sanzione della sospensione.

Per gli Ermellini, questo è stato un errore. La valutazione sulla proporzionalità di una sanzione disciplinare deve basarsi sulla totalità dei fatti accertati. Se in corso di causa si scopre che la condotta illecita era meno grave di quanto inizialmente contestato (perché alcuni incarichi erano in realtà legittimi), il giudice ha il dovere di verificare se la sanzione originaria sia ancora equa e proporzionata. Limitarsi a considerare questo fatto solo per le spese di giudizio significa compiere una valutazione incompleta.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la determinazione della sanzione disciplinare non è un atto matematico, ma un giudizio che deve tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto. La revisione degli addebiti, con la conseguente drastica riduzione delle somme richieste, costituiva un fatto decisivo che alterava il quadro complessivo della condotta della dipendente. Ignorare tale cambiamento nel valutare la sanzione della sospensione ha viziato la decisione della Corte d’Appello.

Il ragionamento della Suprema Corte si fonda sulla necessità di garantire che la reazione dell’ordinamento a un illecito disciplinare sia sempre giusta e commisurata all’effettiva gravità del comportamento del lavoratore. Una sanzione sproporzionata non solo è ingiusta per il singolo, ma mina anche la credibilità del sistema disciplinare stesso.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto in parte il ricorso, cassando la sentenza d’appello. Il caso è stato rinviato a una diversa sezione della Corte d’Appello di Potenza, che dovrà riesaminare la vicenda e, in particolare, valutare nuovamente la proporzionalità della sanzione disciplinare alla luce del fatto che il numero di incarichi extraistituzionali illegittimamente svolti era inferiore a quello originariamente contestato. Questa decisione riafferma l’importanza di una valutazione completa e attenta da parte del giudice di merito in materia disciplinare.

Un’autorizzazione verbale o implicita per svolgere incarichi extraistituzionali è valida per un dipendente pubblico?
No. L’ordinanza chiarisce che l’autorizzazione deve essere formale, preventiva e rilasciata dall’organo competente, non potendo essere desunta da comportamenti concludenti (“facta concludentia”).

Cosa succede se un dipendente pubblico svolge un’attività retribuita non autorizzata?
Incorre in responsabilità disciplinare, che può portare a sanzioni come la sospensione dallo stipendio, e deve versare i compensi percepiti all’amministrazione di appartenenza.

Se l’importo dei compensi illecitamente percepiti viene ridotto in corso di causa, la sanzione disciplinare deve essere rivalutata?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che se l’entità degli illeciti si riduce, il giudice ha il dovere di rivalutare la proporzionalità della sanzione disciplinare (come la sospensione), poiché questa deve essere commisurata all’effettiva gravità della condotta accertata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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