Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12533 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12533 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/05/2025
Oggetto: Impiego pubblico -sanzione disciplinare conservativa -opposizione a procedimento recupero somme – individuazione della ‘amministrazione di appartenenza’ – art. 53, co. 7, d.lgs. n. 165/2001
Dott.
NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. IRENE TRICOMI
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso 1500 -2021 proposto da:
NOME COGNOME domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
BASSANO DEL GRAPPA 24, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni agli indirizzi pec dei Registri di Giustizia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 12/2020 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO, depositata il 03/07/2020 R.G.N. 17/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME, dipendente con diversi contratti a tempo pieno, uno per anno scolastico, della Direzione Scolastica Istituto Comprensivo Bolzano INDIRIZZOGries INDIRIZZO, aveva agito dinanzi al Tribunale di Bolzano deducendo l’illegittimità della sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per 5 gg. lavorativi comminatale in data 30.05.2018 e della richiesta della Provincia del 12.06.2018 di restituzione dell’importo netto complessivo ricevuto a titolo di indennità quale Presidente della RAGIONE_SOCIALE di cui la COGNOME aveva fatto parte dal 2009 quale rappresentante del Comune di Bolzano.
In particolare la ricorrente: -era stata nominata il giorno 01.09.2015 Presidente del Consiglio di Amministrazione di detta Fondazione; aveva percepito un’indennità a fronte del servizio reso a favore della Fondazione Rainerum nella veste di Presidente; – aveva ricevuto in data 22.03.2018 contestazione di addebito disciplinare per non aver richiesto l’autorizzazione necessaria ex art. 53, comma 7, d.lgs. n.165/2001 alla Dirigente scolastica per il periodo in cui aveva
rivestito la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione.
Tanto premesso, la ricorrente aveva eccepito la tardività della sanzione disciplinare inflittale; aveva sostenuto nel merito che nessuna richiesta di autorizzazione era necessaria nel caso in esame in quanto era la stessa amministrazione di appartenenza della dipendente ad averle conferito l’incarico; aveva dedotto altresì che la richiesta di autorizzazione costituisce un obbligo per il soggetto conferente (qualora diverso dall’amministrazione di appartenenza) e solo una facoltà per il dipendente pubblico; aveva evidenziato di non aver arrecato alcun disservizio e/o danno alla Provincia; aveva dedotto che nel caso in esame era anche fuori luogo parlare di incarico extra-servizio, trattandosi piuttosto di nomina politica; aveva evidenziato che il documento verbale della seduta del 19.11.2015 era stato acquisito dalla Provincia in modo irrituale e ciò non poteva non riverberarsi sull’intero procedimento disciplinare con conseguente nullità di quest’ultimo; aveva sostenuto che la sanzione inflitta era infine sproporzionata rispetto all’addebito e altresì illegittima in quanto costituente comportamento mobbizzante .
2. Il Tribunale aveva respinto il ricorso rilevando che, nella specie, né la RAGIONE_SOCIALE, né la dipendente avevano chiesto alla Dirigente dell’Istituto comprensivo Bolzano V Gries – da considerare quale amministrazione di appartenenza della lavoratrice – la prescritta autorizzazione al conferimento dell’incarico di presidente della citata Fondazione alla ricorrente; che il soggetto conferente l’incarico non poteva che essere individuato nella RAGIONE_SOCIALE, quindi un soggetto privato, ben distinto da qualsiasi pubblica amministrazione, con la conseguenza che alla ricorrente sarebbe spettato richiedere la prescritta autorizzazione in qualità di sostituta pro tempore del Presidente dimissionario della Fondazione Rainerum e, altresì, in qualità di pubblica dipendente, cui era stato conferito l’incarico extra -servizio;
che la contestazione della violazione era avvenuta tempestivamente, entro 30 giorni dalla richiesta di informazioni da parte dell’Ufficio Affari Istituzionali, senza che rilevasse la conoscenza dell’avvenuta nomina della ricorrente quale Presidente della Fondazione Rainerum da parte del dott. NOME COGNOME sin dal settembre 2015, né le modalità di acquisizione del verbale della delibera della Fondazione del 19.11.2015, con la quale era stato innalzato l’importo da corrispondere al Presidente della stessa; che la sanzione della sospensione dalla retribuzione e dal servizio nella misura ridotta di 5 gg. era assolutamente proporzionata; che era fondata, contrariamente a quanto eccepito dalla ricorrente, la pretesa della Provincia di recupero integrale delle indennità percepite per l’incarico svolto senza autorizzazione.
La Corte d’appello di Trento – sezione distaccata di Bolzano, confermava tale pronuncia.
Richiamava l’art. 1 del d.lgs. 24 luglio 1996, n. 434 secondo cui « Le attribuzioni dell’amministrazione dello Stato in materia di stato giuridico ed economico del predetto personale, attualmente esercitate dai suoi organi centrali e periferici, sono delegate alla Provincia di Bolzano nell’osservanza delle norme del presente decreto».
Richiamava, altresì, la legge provinciale Bolzano del 29 giugno 2000 n. 12 in materia di autonomia delle scuole e l’art. 13, comma 2, secondo cui «Il dirigente scolastico o la dirigente scolastica assicura la gestione unitaria dell’istituzione, ne ha la legale rappresentanza».
Riteneva che, fatta coincidere l’amministrazione di appartenenza (quindi il soggetto legittimato a concedere l’eventuale autorizzazione ex art. 53, comma 7, d.lgs. 165/2001) con la dirigente scolastica dott.ssa COGNOME distinta dall’ente Provincia Autonoma di Bolzano che aveva conferito l’incarico, erano infondati gli argomenti diretti a ritenere l’autorizzazione implicita nella nomina della prof. COGNOME quale Presidente della Fondazione da parte della PAB l’autorizzazione della stessa, quale amministrazione di appartenenza, all’incarico conferito,
proprio in quanto il soggetto legittimato alla nomina/designazione del Presidente della Fondazione non era l’amministrazione di appartenenza della dipendente (intesa come Istituto Comprensivo Bolzano V Gries -dirigente scolastico dott.ssa COGNOME).
Riteneva irrilevante nel presente giudizio la pronuncia del TAR Abruzzo Sez. I -L’Aquila del 25.01.2013 n. 96 essendo rispetto a quest’ultima sussistente un elemento di differenziazione in ragione del fatto che non vi era coincidenza tra l’amministrazione di appartenenza e il soggetto che aveva conferito l’incarico.
Tale non coincidenza escludeva, altresì, ogni erronea interpretazione dell’ art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165/2001.
Riteneva priva di fondamento la questione della tardività della contestazione disciplinare e ciò sulla base di un duplice argomento: non era stata dedotta dalla appellante specifica prova in ordine alla circostanza che il soggetto legittimato a promuovere l’azione disciplinare fosse a conoscenza di un rapporto di lavoro in essere della prof. COGNOME con la Provincia Autonoma di Bolzano al momento della designazione della prima quale Presidente della Fondazione COGNOME; la mera conoscenza della astratta causa di incompatibilità disciplinarmente rilevante era, comunque, inidonea ad essere assunta come dies a quo per la decorrenza dei termini di cui all’art. 55 bis d.lgs. n. 165/2001.
Ribadiva la rilevanza e piena conformità alla disciplina costituzionale del regime autorizzatorio, evidenziando di quest’ultimo una evidente e condivisibile ratio , sia civilistica-lavoristica che pubblicistica, che è quella di consentire al datore di valutare la compatibilità di tale attività extra-lavorativa con il corretto e puntuale espletamento, in modo terzo ed imparziale, della prestazione contrattualmente dovuta dal lavoratore alla pubblica amministrazione, in ossequio anche al principio costituzionale di tendenziale esclusività (art. 98 Cost.) e di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.).
Escludeva ogni profilo di violazione dell’art. 36 Cost. in relazione alla previsione di cui all’art. 53 circa l’obbligo di versamento dei corrispettivi ricevuti e richiamava, sul punto Cass. n. 19072/2016 e Cass. n. 1415/2018.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a nove motivi.
La Provincia di Bolzano ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro -violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001, violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d.P.R. n. 89 del 1983, violazione e falsa applicazione dell’art. 2 L.P. Provincia Autonoma di Bolzano n. 12 del 2000 ‘amministrazione di appartenenza’ ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 – nozione – art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001, interpretazione dei contratti individuali di lavoro subordinato sottoscritti dalla ricorrente e allegati sub doc. an. 19 da controparte – violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, commi 1 e 2 cod. civ. – art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001 – nozione di subordinazione – violazione dell’art. 2094 cod. civ. – violazione della nozione di diritto europeo di subordinazione – art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001 violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d.P.R. n. 89 del 1983 violazione e falsa applicazione dell’art. 2 L.P. Provincia Autonoma di Bolzano n. 12 del 2000 – violazione e falsa applicazione dell’art. 1 L.P. Provincia Autonoma di Bolzano n. 6 del 2015 violazione e falsa applicazione dell’art. 11 L.P. Provincia Autonoma di Bolzano n. 12 del 2000 – art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001 – erronea e falsa applicazione della disciplina di legge – erronea ricostruzione del fatto compiuta dal Giudice di primo grado: alla data della nomina quale Presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Istituto Rainerum la Prof. NOME COGNOME era stata per anni insegnante dipendente della Provincia Autonoma di Bolzano ed aveva appena concluso un contratto di lavoro a termine con decorrenza 01.9.2015 omessa istruttoria su un punto decisivo della causa – motivo ex art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc civ.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001 – erronea e falsa applicazione della disciplina di legge -sulla distinzione tra ‘nomina’ e ‘conferimento’ di incarico ai fini della necessaria preventiva autorizzazione -violazione dell’art. 12 delle preleggi -erronea interpretazione dei canoni di ermeneutica legale – interpretazione letterale, interpretazione logica e per analogia – art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Con il settimo motivo la ricorrente denuncia la tardività della contestazione e la conseguente illegittimità del procedimento disciplinare nonché della relativa sanzione – art. 55 bis d.lgs. n. 165 del
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2001 -conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare -decorrenza.
Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza per insussistenza di uno dei requisiti posti dall’art. 132 cod. proc. civ. e dall’art. 118 disp. att. cod. civ. -motivazione incoerente, contraddittoria e manifestamente illogica – motivo ex art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc civ.
Con il nono motivo la ricorrente denuncia, in subordine, la violazione dell’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001 – questione di legittimità costituzionale – violazione artt. 3 e 97 Cost. – violazione del principio di ragionevolezza e parità di trattamento di situazioni identiche – violazione del principio di imparzialità e buon andamento della P.A. – ulteriori profili di illegittimità ai fini del decidere.
Il ricorso, nei vari motivi in cui è articolato ripropone tutte le questioni già esaminate e risolte dalla Corte d’appello con percorso argomentativo condivisibile.
È, in particolare, infondata la pretesa sussistenza della identità dei soggetti (datore di lavoro -Istituto scolastico in persona del dirigente e soggetto che ha affidato l’incarico – Provincia di Bolzano).
Il rapporto di lavoro della prof. COGNOME era intercorso, in forza di assunzione per chiamata diretta, con la dirigente dell’Istituto comprensivo scolastico Bolzano V -Gries (si veda il contratto di assunzione del 1° settembre 2015 richiamato nella sentenza impugnata, allegato sub 19 degli atti della Provincia) con la conseguenza che detto Istituto doveva considerarsi ‘amministrazione di appartenenza’ ai sensi della necessaria richiesta di autorizzazione ex art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165/2001.
Il fatto che la retribuzione fosse corrisposta dalla Provincia non rileva ai fini dell’individuazione dell’amministrazione di appartenenza in quanto solo la ‘gestione’ del rapporto giuridico ed economico del personale docente in servizio in provincia di Bolzano è delegata alla
Provincia , ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 434/96 (che ha modificato il d.P.R. n. 89 del 10/02/1983).
Ai sensi di tale d.P.R. n. 434/1996 esclusivamente tali funzioni sono delegate alla Provincia mentre restano ferme le ordinarie attribuzioni dell’amministrazione dello Stato in materia di scuola materna e di istruzione elementare e secondaria (media, classica, scientifica, magistrale, tecnica, professionale ed artistica), esercitate sia direttamente dagli organi centrali e periferici dello Stato sia per il tramite di enti ed istituti pubblici a carattere nazionale o pluriregionale.
Il quadro si completa con la legge provinciale Bolzano n. 12/2000 (‘Autonomia delle scuole’) che, a far data dall’1.9.2000, ha attribuito alle singole scuole personalità giuridica e piena autonomia didattica ed amministrativa. L’art. 2 di detta legge prevede che: « 1. Alle istituzioni scolastiche è attribuita la personalità giuridica. Esse sono dotate di autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sviluppo e sperimentazione, nonché amministrativa e finanziaria, ai sensi dalla presente legge. 2. Le istituzioni scolastiche autonome sono responsabili della definizione e realizzazione dell’offerta formativa. A tal fine interagiscono anche tra loro e con gli enti locali promuovendo il raccordo e la sintesi fra le esigenze e le potenzialità individuali della persona e gli obiettivi generali del sistema di istruzione. 3. L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, di formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento. 4. La personalità giuridica e l’autonomia sono attribuite
alle istituzioni scolastiche con decreto del Presidente della Giunta provinciale a decorrere dal 1° settembre 2000 ».
La rappresentanza legale degli enti scolastici è stata espressamente attribuita dall’art. 13, comma 2, al loro dirigente: « 2. Il dirigente scolastico o la dirigente scolastica assicura la gestione unitaria dell’istituzione, ne ha la legale rappresentanza ed è titolare delle relazioni sindacali. Il dirigente scolastico o la dirigente scolastica è il superiore del personale assegnato all’istituzione scolastica autonoma dalla Provincia e dai Comun i».
Alla luce della complessiva normativa non può dubitarsi che sussista la dipendenza dallo Stato (e per esso dagli istituti scolastici) del personale insegnante – ispettivo, direttivo e docente – di ruolo e non di ruolo e tale dipendenza determina l’amministrazione di appartenenza.
Del resto, è in sede di contratto di assunzione (stipulato con l’Istituto scolastico nella persona del dirigente) che si dichiara di non avere altri rapporti di lavoro dipendente, di collaborazione continuativa o di consulenza con altre amministrazioni pubbliche o con soggetti privati, salvo quelli derivanti da incarichi espressamente consentiti da disposizioni normative o autorizzati dall’amministrazione ovvero di non trovarsi in alcune delle situazioni di incompatibilità richiamate dall’art. 53 del d. lgs. n. 165/2001 e tanto è sufficiente ad individuare il soggetto cui chiedere l’autorizzazione per lo svolgimento di attività extra servizio.
Solo il dirigente scolastico, infatti, può valutare se tale attività possa o meno compromettere gli ordinari compiti di insegnamento.
12. Per le stesse ragioni è da escludere, nello specifico, la rilevanza di una autorizzazione implicita, stante come detto, la diversità dei soggetti coinvolti che, a sua volta, rende superfluo l’esame della questione relativa ad una diversità tra il concetto di ‘conferimento’ di un incarico (quando la remunerazione provenga da un terzo) e quello della ‘nomina’ (quando si tratti di designazione all’interno di un organo
sociale da parte della stessa amministrazione di appartenenza del dipendente e di riferimento dello stesso organo sociale).
È infondata la censura relativa alla pretesa conoscenza dell’incarico, ai fini dell’individuazione del dies a quo per il rispetto dei termini per il procedimento disciplinare.
Sul punto, come evidenziato nello storico di lite, la Corte territoriale ha svolto una duplice motivazione: ha rilevato che non era stata provata la circostanza che il soggetto legittimato a promuovere l’azione disciplinare già sapesse del rapporto di lavoro in essere della prof. COGNOME al momento della designazione della prima quale Presidente della Fondazione RAGIONE_SOCIALE; ha aggiunto che, in ogni caso, la mera conoscenza della astratta causa di incompatibilità disciplinarmente rilevante era, comunque, inidonea ad essere assunta come dies a quo per la decorrenza dei termini di cui all’art. 55 bis d.lgs. 165/2001.
Ed allora, insistere sulla previa conoscenza non scardina l’ulteriore ragionamento della Corte già di per sé idoneo a sorreggere, sul punto, la decisione.
Peraltro, questa Corte ha già più volte affermato che l’art. 55 bis del d.lgs. n. 165/2001 è chiaramente volto a rendere certi i termini del procedimento, innanzitutto attraverso l’individuazione in modo oggettivamente verificabile del dies a quo , perché il ‘valore costituzionale di regole che assicurino il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) risulterebbe vulnerato da un’interpretazione che lasciasse nel vago il dies a quo del procedimento, rimettendolo – in ipotesi – anche a notizie informali o comunque pervenute ad uffici periferici di amministrazioni di grandi dimensioni’ (Cass. n. 20733/2015 e Cass. n. 16900/2016; Cass. n. 21243/2022; Cass. n. 41374/2021; Cass. 28891/2017).
Il termine per la contestazione decorre, dunque, dal momento in cui l’UPD ha avuto conoscenza dei fatti e l’inosservanza del termine ordinatorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti all’ufficio
designato per i procedimenti disciplinari ad opera del capo della struttura di appartenenza del dipendente per fatti non rientranti nella propria competenza, di cui all’art. 55 -bis , comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, nella formulazione antecedente alla riforma di cui al d.lgs. n. 75 del 2017, non comporta effetti decadenziali, in mancanza di una espressa previsione normativa o negoziale che li preveda, sicché la violazione di quel termine può rilevare solo qualora l’incolpato denunci, con concreto fondamento, l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà della sua difesa indotta dal mancato rispetto di quel termine (cfr. Cass. n. 7642/2022; Cass. 32491/2018; Cass. n. 12213/2016).
14. Non sussistono, poi, i denunciati profili di incostituzionalità sia per l’accertata diversità soggettiva sia perché la disposizione di cui all’art. 53, comma 7, in compiuta applicazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, mira a rafforzare la garanzia che il lavoro dei pubblici dipendenti a favore di terzi non si riverberi negativamente sul servizio d’istituto e, quanto alla libertà di iniziativa economica, la stessa prevede limiti in ragione dell’interesse generale.
Come più volte affermato da questa Corte, la suddetta disposizione assume tratti sanzionatori, nel senso genericissimo per cui essa regola gli effetti della violazione dell’obbligo di preventiva autorizzazione rispetto all’attività svolta al di fuori della P.A. di appartenenza e dell’avere il lavoratore introitato le somme spettanti ex lege in tal caso al datore di lavoro pubblico; ciò deriva dal fatto che tale normativa è volta a garantire l’obbligo di esclusività che ha primario rilievo nel rapporto di impiego pubblico in quanto trova il proprio fondamento costituzionale nell’art. 98 Cost. con il quale il legislatore Costituente, nel prevedere che ‘i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione’ hanno voluto rafforzare il principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., sottraendo tutti coloro che svolgono un’attività lavorativa ‘alle dipendenze’ – in senso lato – delle Pubbliche Amministrazioni dai
condizionamenti che potrebbero derivare dall’esercizio di altre attività (Cass., SU, 11 novembre 2020, n. 25369; Cass. 24379/2022; Cass. n. 12626/2020; Cass. n. 11949/2019; Cass. n. 3467/2019; Cass. n. 427/2019; Cass, n. 20880/2018; Cass. n. 28975/2017; Cass. n. 28797/2017; Cass. n. 8722/2017).
Tutto ciò esclude (come ben evidenziato da Cass. 24377/2022) che possano trovare spazio i profili di legittimità costituzionale prospettati con riferimento alla ‘rigidità’ e misura della conseguenza patrimoniale, in quanto si tratta di aspetti nel loro complesso rientranti nell’ambito della discrezionalità del legislatore, non irrazionalmente esercitata, ove si ragioni sul fatto che, tanto più ingenti siano le somme guadagnate ‘altrimenti’, tanto più probabile è che vi sia gravità, sotto ogni profilo, del vulnus alla esclusività, quale tratto complessivo di immagine e fedele vocazione delle energie al lavoro nell’interesse della collettività, che connota lo statuto del lavoratore pubblico, senza contare l’energica impostazione normativa anche verso chi abbia conferito l’incarico (sanzionato ai sensi dell’art. 53, comma 9, con l’obbligo di corrispondere il doppio del compenso) a riprova di un ben preciso intento di contrasto forte al fenomeno, cui inevitabilmente si associano significative sanzioni, salvo restando che, in base ai principi generali, per quel che concerne il calcolo delle somme che l’Amministrazione ha il diritto di richiedere -in relazione allo svolgimento di incarichi esterni senza autorizzazione -queste devono essere versate al netto delle imposte già corrisposte e così anche la richiesta di restituzione dei compensi illegittimamente percepiti non può che avere a oggetto le somme ricevute in eccesso (e cioè, effettivamente entrate nella sfera patrimoniale del dipendente medesimo), non potendosi pretendere la ripetizione di somme al lordo delle ritenute fiscali (vedi, per tutte: Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Lombardia, Sent. n. 198 del 2020; TAR Lazio, Sez. Ibis , 24 marzo 2016, n. 9182; TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 614/2013).
Né si ravvis a un contrasto con l’art. 3 della Costituzione sull’assunto che risulterebbe ‘previsto uno stesso trattamento sanzionatorio (restituzione dell’intero compenso) tanto per chi abbia effettivamente violato il dovere di fedeltà ed esclusività (ad esempio in caso di attività incompatibili), quanto per chi tali doveri non abbia concretamente violato (ad esempio per attività che, come nel caso de quo, non interferisca o abbia interferito con quella di ufficio)’.
Come evidenziato anche dalla Corte territoriale, la norma sospettata di incostituzionalità non tratta in maniera immotivatamente uguale situazioni diversificate, posto che la condotta stigmatizzata è la medesima e consiste nella omessa richiesta di autorizzazione, dalla quale origina la stessa richiesta erariale di riversamento delle somme illecitamente percette, comunque quantificate.
Sotto altro profilo può osservarsi che nel rapportare il trattamento sanzionatorio all’entità del compenso percepito dal dipendente per lo svolgimento dell’attività non autorizzata, a sua volta rappresentativa della entità e qualità del relativo impegno, la norma in esame risulta tenere così conto della concreta rilevanza dell’autorizzazione non richiesta e, dunque, della gravità della violazione addebitabile.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed in euro 4.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione