Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12874 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 12874 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22900-2018 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati COGNOME, NOME COGNOME, che li rappresentano e difendono unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ope legis dall’RAGIONE_SOCIALE presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 19/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 12/02/2018 R.G.N. 425/2017;
Oggetto
Altre ipotesi pubblico impiego
R.G.N. 22900/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/04/2024 dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
la Corte d’appello di Torino con sentenza del 12.2.2018 rigettava il gravame proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME – dipendenti dell’RAGIONE_SOCIALE con qualifica di funzionari di III Area c.c.n.l. per il personale del RAGIONE_SOCIALE – avverso la sentenza del locale Tribunale, che aveva respinto le domande proposte da costoro avverso la revoca, nell’aprile 2015, degli incarichi dirigenziali provvisori ricoperti, disposta in esecuzione della sentenza della Corte costituzionale nr. 37/2015.
I lavoratori avevano chiesto in primo grado la declaratoria del loro diritto alla costituzione di rapporti di lavoro dirigenziale di seconda fascia e, in subordine, l’accertamento dell’abuso dell’istituto del contratto a termine in loro danno, in violazione della Direttiva CE 1999/70 relativa all’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, nonché del d.lgs. n. 368/2001 di attuazione della Direttiva medesima, e la condanna del datore di lavoro pubblico al risarcimento del danno.
La Corte d’appello di Torino ha osservato che non poteva essere applicata la normativa nazionale e comunitaria in tema di abuso di contratti a termine, considerato che i lavoratori avevano con l’RAGIONE_SOCIALE un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Ha rilevato che nessuna violazione dell’art. 2087 cod. civ. era qui configurabile perché la presunta ‘gogna mediatica’ cui erano stati esposti i funzionari titolari di incarichi poi revocati era frutto semmai di iniziative maturate al di fuori
dell’ambiente di lavoro e frutto dell’azione di soggetti terzi, non integranti possibili violazioni dell’obbligo di protezione datoriale, per sua natura ancorato all’esercizio dell’attività di impresa; quanto poi all’allegazione sullo svolgimento di mansioni superiori, in violazione dell’art. 36 comma 5 d.lgs. n. 165 del 2001, la Corte distrettuale ne sottolineava l’inammissibilità perché non formulata nell’originario ricorso, nel quale era stata addotta solo la violazione della disciplina sulla reiterazione dei contratti a termine.
Hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza del Tribunale i lavoratori, sulla base di quattro motivi, cui l’RAGIONE_SOCIALE si è opposta con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che:
1. con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione della Direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 e dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, degli artt. 1, 4 e 5 del d.lgs. n. 368/2001, degli artt. 19 e 36 del d.lgs. n. 165/2001, del c.c.n.l. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE 2002-2005 e dell’art. 24 del Regolamento di amministrazione dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE approvato con delibera del RAGIONE_SOCIALE direttivo n. 4/2000;
secondo parte ricorrente il discrimen per l’applicazione dell’Accordo quadro recepito dalla direttive comunitaria non è dato, in negativo, dall’assenza della garanzia della stabilità lavorativa, bensì dall’esistenza di un contratto il cui termine è determinato, il che era previsto per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti dal reg. di amministrazione dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (art. 24) e dal d.lgs. n. 165/2001 (art. 19); la circostanza che i ricorrenti, venendo meno il contratto a tempo determinato, abbiano ripreso a svolgere le mansioni di funzionario a tempo indeterminato era irrilevante mentre era
decisivo il fatto che con proroghe e rinnovi i loro rapporti, finalizzati a soddisfare esigenze durevoli, ebbero durata complessivamente superiore a 36 mesi in violazione RAGIONE_SOCIALE prescrizioni del d.lgs. n. 368/2001 (artt. 1-4 e 5);
con il secondo mezzo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 19, 28 e 36 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 97 Cost., dell’art. 24 del Regolamento di amministrazione dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, degli artt. 1, 4 e 5 del d.lgs. n. 368/2001 e del c.c.n.l. cit. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.);
ricostruita la disciplina del conferimento dell’incarico dirigenziale, per sua natura a termine, la Corte d’appello non si era avveduta che ricorreva anche qui «una situazione di precarietà ed instabilità lavorativa», da riferire al distinto e autonomo rapporto di lavoro dirigenziale, irrilevante essendo l’esistenza di un rapporto di pubblico impiego sottostante, donde la spettanza del risarcimento del danno ex art. 36 d.lgs. n. 165/2001 correlato alla violazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni imperative del d.lgs. n. 368/2001;
con il terzo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 437, comma 2, cod. proc. civ. in combinato disposto con gli art. 99, 112 e 115 cod. proc. civ., degli artt. 19, 28, 36 e 52 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 20 del d.P.R. 266/87 e dell’art. 97 Cost. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.);
la Corte di merito aveva errato nel ritenere nuova la domanda risarcitoria ex artt. 36 comma 5 d.lgs. n. 165/2001 e 32 legge n. 183/2010, formulata fin dal ricorso di primo grado, nel quale si lamentava non un danno collegato alla revoca dell’incarico dirigenziale ma, piuttosto, uno derivante dalla prestazione di lavoro resa in violazione di norme imperative concernenti l’impiego, che
ammettono l’affidamento di mansioni superiori (art. 52 d.lgs. n. 165/2001), nell’ambito della classificazione per livelli e non per diverse qualifiche, oppure la reggenza ex art. 20 d.P.R. n. 266/1987, la quale suppone, però, l’avvio dell’iter per la copertura del posto vacante (qui, invece, sempre differito con reiterate proroghe del termine per l’espletamento del concorso per dirigenti);
con il quarto, ed ultimo, motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2087, 1175, 1374 e 1375 cod. civ. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.);
il giudice d’appello non aveva valutato che l’RAGIONE_SOCIALE aveva reiteratamente rifiutato, nei suoi vertici aziendali, di «accettare un confronto giornalistico» sui media che avrebbe consentito di spiegare all’opinione pubblica le ragioni del conferimento degli incarichi dirigenziali ai ricorrenti e di dissipare il dubbio che costoro fossero dei ‘raccomandati’; errata era l’affermazione del giudice d’appello secondo cui il danno ex art. 2087 cod. civ. attiene all’idoneità dell’ambiente di lavoro e non ai danni derivanti da comportamenti compiuti da terzi estranei all’azienda;
le doglianze, che possono esaminarsi congiuntamente per ragioni di stretta connessione, sono infondate.
queste muovono dall’assunto che il conferimento dell’incarico dirigenziale ai funzionari dell’RAGIONE_SOCIALE, originariamente previsto dall’art. 24 del regolamento di organizzazione e successivamente dall’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, avvenga attraverso la instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a termine per l’esercizio RAGIONE_SOCIALE funzioni dirigenziali.
In proposito, si rileva che:
il d.lgs. n. 300 del 1999, che istituiva le RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, all’art. 71 stabiliva che il regolamento di amministrazione di ciascuna RAGIONE_SOCIALE fiscale determinasse le regole di accesso alla dirigenza;
l’art. 24 del regolamento di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE consentiva alla RAGIONE_SOCIALE, sia all’atto del proprio avvio (comma 1) che in caso di vacanze sopravvenute e per inderogabili esigenze di funzionamento (comma 2), la copertura provvisoria RAGIONE_SOCIALE posizioni dirigenziali vacanti (previa specifica valutazione dell’idoneità degli aspiranti) mediante la stipula di “contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari”, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti. Tale facoltà era prevista fino all’attuazione RAGIONE_SOCIALE procedure di accesso alla dirigenza e, comunque, fino ad un termine finale predeterminato. Questo termine finale è stato di volta in volta prorogato, da ultimo “al 31 maggio 2012”;
-a seguito RAGIONE_SOCIALE reiterate proroghe del termine, la giurisprudenza amministrativa – in particolare il TAR Lazio, con sentenza n. 6884 del 10 agosto 2011 – annullava la delibera del RAGIONE_SOCIALE di gestione dell’RAGIONE_SOCIALE con la quale si disponeva la proroga del termine finale, nella fattispecie esaminata fino al 31 dicembre 2010. Il TAR considerava la previsione dell’art. 24 del regolamento in contrasto con la disciplina generale di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, artt. 19 e 52, in quanto consentiva l’affidamento di incarichi dirigenziali a funzionari privi della qualifica dirigenziale in assenza dei due presupposti della straordinarietà e della temporaneità richiesti dall’istituto della reggenza;
nelle more del procedimento d’appello avverso la sentenza sopra richiamata il legislatore – con l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, conv. dalla legge n. 44 del 2012 – nell’autorizzare le RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ad espletare le procedure concorsuali per la copertura RAGIONE_SOCIALE posizioni dirigenziali vacanti, da completarsi entro il 31 dicembre 2013 faceva salvi i contratti stipulati in passato tra le RAGIONE_SOCIALE ed i propri funzionari. Inoltre, consentiva ulteriormente
alle RAGIONE_SOCIALE di attribuire incarichi dirigenziali ai propri funzionari nelle more dell’espletamento RAGIONE_SOCIALE procedure di concorso, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, con durata fissata fino alla copertura del posto vacante;
il termine del 31 dicembre 2013 fissato dal suddetto decretolegge è stato prorogato due volte: dapprima al 31 dicembre 2014 (art. 1, comma 14, d.l. n. 150 del 2013, conv. dalla legge n. 15 del 2014) poi al 30 giugno 2015 (art. 1, comma 8, d.l. n. 192 del 2014, conv. dalla legge n. 11 del 2015) pur aggiungendosi negli interventi di proroga che non era consentito il conferimento di nuovi incarichi oltre il limite complessivo di quelli attribuiti alla data del 31 dicembre 2013;
il Consiglio di Stato, giudice d’appello avverso la pronuncia del TAR che annullava l’art. 24 del regolamento di organizzazione (nonché avverso due ulteriori sentenze vertenti sulla medesima questione), rimetteva alla Corte costituzionale la questione di legittimità della disposizione dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012. Il giudice RAGIONE_SOCIALE leggi dichiarava illegittime per contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost. tanto la norma censurata che le disposizioni di proroga sopra citate (sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 17 marzo 2015);
all’esito della dichiarazione di incostituzionalità il Consiglio di Stato confermava la pronuncia di annullamento dell’art. 24 del regolamento di organizzazione (Consiglio di Stato, sentenza n. 4641 del 6 ottobre 2015).
I ricorrenti affermano sostanzialmente che, nel caso in esame, essi sarebbero stati assunti come dirigenti – con rapporto di lavoro subordinato a termine – pur essendo estranei ai ruoli dirigenziali della amministrazione, ipotesi da ritenersi riconducibile alla fattispecie generale di cui all’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001.
Tale tesi non può essere condivisa alla luce della analisi complessiva della normativa rilevante ed è stata già respinta anche
dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. L, n. 14814 del 10 luglio 2020, alla motivazione della quale si rinvia; conf. Cass., Sez. L, n. 2397 del 2023).
10. L’art. 24 del regolamento di organizzazione dell’RAGIONE_SOCIALE non prevedeva la stipula di un contratto di lavoro subordinato dirigenziale, ma, piuttosto, l’investitura dei propri funzionari a ricoprire provvisoriamente l’incarico de quo (art. 24, comma 1, del regolamento). Coerentemente con tale impostazione, non era prevista la collocazione del funzionario, per il periodo di durata dell’incarico, in aspettativa senza assegni, come invece disposto dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, in caso di stipula di un rapporto di lavoro dirigenziale con un soggetto non appartenente ai ruoli dirigenziali RAGIONE_SOCIALE pubbliche amministrazioni. Il conferimento dell’incarico è avvenuto, in pratica, con le medesime modalità con le quali viene conferito l’incarico al dirigente di ruolo, sul presupposto di un rapporto di lavoro subordinato già esistente ed in esecuzione di quest’ultimo (e non con la creazione di un nuovo rapporto di lavoro).
La stessa giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio, sentenza n. 6884 del 10 agosto 2011; Consiglio di Stato, sentenza n. 4641 del 6 ottobre 2015) ha ricondotto la fattispecie di cui all’art. 24 del regolamento di organizzazione dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE all’ipotesi dell’assegnazione di mansioni superiori e della reggenza e non già alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato dirigenziale a termine ex art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001.
Analogamente l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, prevedeva che la stipula del contratto di lavoro a tempo determinato da parte della RAGIONE_SOCIALE era strumentale ad “attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari” (e non a costituire nuovi rapporti di lavoro dirigenziale a termine); che era
riconosciuto lo stesso trattamento economico dei dirigenti “ai funzionari cui è conferito l’incarico” (l’incarico di natura dirigenziale era dunque abbinato alla qualifica di funzionario).
Inoltre, la Corte costituzionale, nel dichiarare l’appena citato art. 8, comma 24, costituzionalmente illegittimo, ha affermato che esso aveva contribuito “all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori” (punto 4.5 sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 17 marzo 2015).
La qualificazione della vicenda di causa come illegittimo conferimento di incarichi dirigenziali a funzionari non è contraddetta, diversamente da quanto assume la parte ricorrente, dall’ordinanza di questa S.C., sez. VI, n. 21077 dell’11 settembre 2017. Con tale decisione la Corte di cassazione, chiamata a regolare la competenza in un giudizio nel quale vari funzionari RAGIONE_SOCIALE agenzie RAGIONE_SOCIALE incaricati di svolgere funzioni dirigenziali avevano denunciato, come nell’odierna vicenda, il ricorrere di una successione abusiva di contratti a termine, ha dato rilievo nella sua decisione al petitum sostanziale senza esprimersi, in ragione dei limiti del suo giudizio, sul fondamento della domanda.
11. I primi due motivi di ricorso in esame devono, di conseguenza, essere tutti rigettati per l’infondatezza del loro presupposto, ovvero la avvenuta stipula di un contratto di lavoro dirigenziale a termine, dovendosi piuttosto ribadire che tra le parti è intercorso un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con qualifica di funzionario.
12. Né può invocarsi, come assumono i ricorrenti col terzo motivo, un risarcimento del danno per violazione RAGIONE_SOCIALE norme imperative del d.lgs. n. 368/2001 in difetto di stipula di un contratto di lavoro dirigenziale a termine.
Il motivo, anche prescindendo dai profili di inammissibilità per carenza dei requisiti di specificità, muove da un’interpretazione errata dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 perché sembra affermare che il danno al quale la norma fa riferimento debba essere riconosciuto a prescindere dalla prova dello stesso.
È un assunto (questo) smentito da Cass. S.U. n. 5072/2016 che non ha ritenuto di fornire un’interpretazione dell’art. 36 d.lgs. n 165/2001, cit., orientata al rispetto del diritto dell’Unione: interpretazione che avrebbe avuto un effetto espansivo nel senso che sarebbe stata astrattamente applicabile a tutte le situazioni nelle quali la norma viene in rilievo a prescindere dall’applicazione della direttiva; al contrario le Sezioni Unite, nella pronuncia citata, hanno ribadito che il danno nel nostro ordinamento ( anche quello derivante dalla violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001) deve essere provato e per questo hanno enunciato in via pretoria il principio della agevolazione probatoria, alla quale si può fare ricorso solo nei soli casi in cui viene in rilievo la clausola 5 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, come allegato alla direttiva del Consiglio n. 1999/70/CE.
Qualora, invece, si esuli dal campo di applicazione della clausola 5 ( come accade, ad esempio, nell’ipotesi in cui venga in rilievo un unico contratto a tempo determinato affetto da nullità – cfr. in tal senso fra le tante Cass. n. 3558/2021 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione), il danno al quale l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 fa riferimento dovrà essere allegato e provato da chi assume di essere stato pregiudicato dalla violazione della norma imperativa.
Né potrebbe fondatamente sostenersi (per i rapporti instaurati dal 2.3.2012) una responsabilità della pubblica amministrazione,
che ha agito in forza di una disposizione regolamentare fatta salva con norma di legge (D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24), per l’epoca anteriore alla dichiarazione di incostituzionalità della stessa norma di legge. Invero, come questa Corte ha già chiarito (Cass. n. 14814/2020, cit.), l’efficacia retroattiva RAGIONE_SOCIALE sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma se comporta che tali pronunce abbiano effetto anche in ordine ai rapporti di lavoro svoltisi precedentemente (eccettuati quelli definiti con sentenza passata in giudicato e le situazioni comunque definitivamente esaurite) – non vale a far ritenere illecito il comportamento realizzato, anteriormente alla sentenza di incostituzionalità, conformemente alla norma successivamente dichiarata illegittima, non potendo detto comportamento ritenersi caratterizzato da dolo o colpa (per tutte cfr. Cassazione civile sez. lav., 07.10.2015, n. 20100).
Pertanto, le considerazioni esposte sono anche assorbenti di ogni altro profilo attinente alla contestazione della pronuncia di inammissibilità, per novità, come resa dai giudici di secondo grado in riferimento alla domanda di risarcimento del danno ex art. 36 Cost. comma 5 d.lgs. n. 165/2001.
Quanto al presunto danno all’immagine che i ricorrenti – con il quarto motivo di ricorso – vorrebbero imputare al datore di lavoro pubblico rimasto ‘silente’ di fronte alla ‘gogna mediatica’ cui furono (in tesi) esposti, la censura è, prima ancora che infondata, inammissibile;
si sollecita, a ben vedere, un giudizio fattuale più che giuridico sui possibili rimedi al discredito ‘piovuto addosso’ per attività di terzi e che sarebbe potuto essere contrastato con ‘una presa di posizione pubblica’ del datore di lavoro, rimasto inerte; ma, soprattutto, la censura mostra di non cogliere appieno la ratio decidendi della sentenza impugnata nella quale, in sostanza, si evoca il principio
secondo cui, in tema di responsabilità contrattuale, il danno del quale si domanda il risarcimento deve delimitarsi in termini di conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento.
Conclusivamente, il ricorso dev’essere rigettato; le spese di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di legittimità, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4 aprile 2024.