Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26998 Anno 2025
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Civile Ord. Sez. L Num. 26998 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7846-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1697/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/09/2020 R.G.N. 179/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 30 ottobre 2020, la Corte d’Appello di Roma confermava la decisione resa dal Tribunale di Roma e rigettava
Oggetto
RISARCIMENTO PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N. 7846/2021 Cron. Rep. Ud. 24/09/2025 CC
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la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di Roma Capitale, avente ad oggetto il mancato conferimento di incarichi dirigenziali apicali a far data dal 2013 per avere l’Amministrazione illegittimamente preferito altri dirigenti comunali con titoli inferiori ai suoi.
In particolare il COGNOME, dirigente tecnico, già investito di incarichi dirigenziali apicali quale direttore della Direzione Commercio e Attività produttive, si era visto, al mutare del vertice politico, retrocesso, a suo dire, ad altro incarico dirigenziale meno rilevante quale dirigente di UOT presso il Municipio XII, trovandosi ingiustificatamente pretermesso nell’assegnazione di un incarico apicale .
Aveva, pertanto, chiesto dichiararsi la illegittimità delle ordinanze sindacali n. 242/2013 e 244/2013 nonché dei comportamenti tenuti dal Comune di Roma/Roma Capitale nell’adozione delle delibere di assegnazione degli incarichi dirigenziali, con accertamento del pregiudizio subìto e condanna dell’Ente al risarcimento del danno professionale e morale da commisurarsi alla somma delle retribuzioni annue lorde spettanti ad un direttore di dipartimento o di Municipio o di Direzione dell’Ente negli anni 2013, 20 14 e 2015 di durata degli incarichi di cui alle delibere impugnate.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto la correttezza del contegno dell’Ente nel conferimento degli incarichi dirigenziali apicali, rilevando a tali fini, da un lato, la natura fiduciaria degli incarichi stessi e dall’altr o la legittima assegnazione dell’istante ad altro incarico dirigenziale sia pur di diversa rilevanza nonché la carenza da parte dell’istante di allegazioni idonee ad integrare, a fini risarcitori, la prova della perdita di chance , quale certo o probabile affidamento al
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medesimo dei predetti incarichi dirigenziali apicali in luogo di uno dei dirigenti effettivamente incaricati.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il RAGIONE_SOCIALE, affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, Roma Capitale.
Il ricorrente ha poi depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, d.lgs. n. 165/2001, 109, d.lgs. n. 267/2000, 22 CCNL per la dirigenza del comparto Regioni ed Enti locali, 40 del Regolamento dell’Ordinamento Uffici e Se rvizi di Roma Capitale e 12 Preleggi, lamenta a carico della Corte territoriale l’erroneità del maturato convincimento in ordine alla natura fiduciaria degli incarichi dirigenziali apicali, risultando ciò in contrasto con il quadro normativo che fonda il conferimento su basi meritocratiche garantite da forme di pubblicità e trasparenza con conseguente obbligo di motivazione in ordine all’iter valutativo compiuto.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 111, comma 6, Cost. e 2697 c.c., il ricorrente deduce il carattere apparente della motivazione dell’impugnata sentenza conseguente all’aver la Corte territoriale fondato il proprio convincimento sulla carenza di prova della certezza e/o probabilità dell’affidamento di uno degli incarichi, risultando, viceversa, le allegazioni dal ricorrente odierno fornite idonee allo scopo.
Il primo motivo si rivela infondato.
Emerge dalle delibere impugnate, tra gli atti del ricorrente sul desk , che gli incarichi in questione erano stati conferiti ex art. 109 T.U.E.L.
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Tale disposizione, relativa al conferimento di funzioni dirigenziali, dispone e spressamente che: ‘ 1. Gli incarichi dirigenziali sono conferiti a tempo determinato, ai sensi dell’articolo 50, comma 10, con provvedimento motivato e con le modalità fissate dal regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, secondo criteri di competenza professionale, in relazione agli obiettivi indicati nel programma amministrativo del sindaco o del presidente della provincia e sono revocati in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o del presidente della provincia, della giunta o dell’assessore di riferimento, o in caso di mancato raggiungimento al termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi assegnati nel piano esecutivo di gestione previsto dall’articolo 169 o per responsabilità particolarmente grave o reiterata e negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro. L’attribuzione degli incarichi può prescindere dalla precedente assegnazione di funzioni di direzione a seguito di concors i ‘ .
Si tratta, dunque, di incarichi a tempo determinato, conferiti con provvedimento motivato e con le modalità fissate dal regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, secondo criteri di competenza professionale, in relazione agli obiettivi indicati nel programma amministrativo del sindaco o del presidente della provincia.
È pur vero che più recente è stato chiarito, in termini generali, dalla giurisprudenza di legittimità che in tema di pubblico impiego privatizzato, l’atto di conferimento di incarichi dirigenziali integra una determinazione negoziale di natura privatistica, per la cui adozione l’amministrazione datrice di lavoro è tenuta ad osservare le norme di cui all’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, dovendo pertanto procedere, alla stregua delle clausole generali di correttezza e buona fede di
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cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. (e degli stessi principi evocati dall’art. 97 Cost.), a una valutazione comparativa con gli altri candidati che contempli adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e sia sorretta da una congrua motivazione circa i criteri seguiti e le ragioni giustificatrici delle scelte adottate (Cass. n. 24366/2024).
Tuttavia, anche a voler applicare tale principio agli incarichi di cui all’art. 109 T.U.E.L., è insuperabile l’argomento secondo cui non è configurabile un diritto soggettivo del dipendente al conferimento della funzione, in quanto l’Amministrazione è solo ‘tenuta al rispetto dei criteri di massima indicati dalle fonti contrattuali e all’osservanza delle clausole generali di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost., senza tuttavia che la predeterminazione dei criteri di valutazione comporti un automatismo nella scelta, la quale resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro ‘ (Cass. n. 2141/2017).
Né, d’altra parte, può sostenersi che l’affidamento degli incarichi in questione, ancorché non rimesso al mero arbitrio del Sindaco, costituisca semplice attività esecutiva o acritica applicazione di strumenti valutativi predeterminati.
Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale ha spiegato le scelte del Comune evidenziando che il ricorrente era stato assegnato ad un diverso incarico di Direzione di Unità organizzativa in conseguenza della riorganizzazione disposta dalla nuova Giunta, che non era stato in alcun modo allegato e provato che egli avrebbe dovuto ottenere gli incarichi di Dirigenza apicale al posto dei dipendenti che avevano ricevuto tali incarichi con le Ordinanze sindacali in contestazione, che rispetto alle scelte operate non erano stati forniti, neppure a
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livello di prospettazione, elementi per ritenere tali scelte arbitrarie e violative delle regole di correttezza, buona fede e imparzialità.
Così, in particolare, non erano stati forniti elementi a sostegno della superiore idoneità del ricorrente ad esercitare le funzioni di cui agli incarichi dirigenziali censurati (peraltro spesso diversi tra loro) oltre che la perdita di chance .
Il ricorrente, a ben guardare, ha impostato la censura di cui al motivo su una alternatività tra ‘fiduciarietà’ e ‘procedimentalizzazione’ , ravvisando l’illegittimità in sé della condotta dell’Ente finendo così per omettere di allegare e provare le specifiche carenze, quanto a motivazione del conferimento, che, connotando la condotta dell’Ente in termini di inadempimento degli obblighi di correttezza e buona fede, sarebbero valse a fondare la pretesa.
Di contro, inammissibile risulta il secondo motivo, concretandosi la censura del ricorrente nella mera confutazione del convincimento maturato dalla Corte territoriale per cui il medesimo non avrebbe allegato e provato le circostanze di fatto idonee a supp ortare il postulato a base dell’azione intentata per cui ‘ove la valutazione comparativa fosse stata correttamente effettuata dall’Ente il ricorrente il ricorrente avrebbe ottenuto con alta probabilità il conferimento di uno dei predetti incarichi dirigenz iali’ .
Alla stregua del sopra ricordato art. 109 T.U.E.L., infatti, non trova fondamento l’interpretazione del ricorrente per cui criterio prioritario -in base al quale il medesimo svolge in atti la propria personale valutazione comparativa -sarebbe dato dai risultati professionali, tenuto conto che, in base alla costante giurisprudenza di questa Corte, il possesso della qualifica dirigenziale presuppone l’attitudine professionale all’assunzione
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di incarichi dirigenziali di qualunque tipo risultando incompatibile con lo statuto del dirigente pubblico le regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite (cfr., da ultimo, Cass. n. 4621/2017 citata in motivazione).
Il ricorso va, dunque, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 24.9.2025
La Presidente
(NOME COGNOME)