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Incarichi dirigenziali apicali: discrezionalità e limiti

Un dirigente pubblico ha fatto ricorso per il mancato conferimento di incarichi dirigenziali apicali, sostenendo che l’amministrazione avesse illegittimamente preferito altri candidati. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che, sebbene la scelta non sia arbitraria, la nomina ha natura discrezionale e non esiste un diritto soggettivo del dirigente all’incarico. La Corte ha inoltre sottolineato che spetta al lavoratore fornire la prova concreta della perdita di chance.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Incarichi Dirigenziali Apicali: la Cassazione Definisce i Confini tra Discrezionalità e Meritocrazia

Il conferimento di incarichi dirigenziali apicali all’interno della Pubblica Amministrazione rappresenta da sempre un terreno di confronto tra la discrezionalità dell’organo politico e i principi di merito, trasparenza e imparzialità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene proprio su questo delicato equilibrio, chiarendo la natura di tali nomine e l’onere probatorio a carico del dirigente che si ritiene ingiustamente pretermesso. La decisione offre spunti fondamentali per comprendere i limiti del potere di scelta dell’amministrazione e le tutele previste per i dipendenti pubblici.

I Fatti del Caso: La Riassegnazione dell’Incarico

Il caso ha origine dalla domanda di un dirigente tecnico di un grande Comune italiano. Dopo aver ricoperto ruoli di vertice, come quello di direttore di una Direzione strategica, a seguito di un cambio del vertice politico, veniva retrocesso a un incarico di minore rilevanza. Sostenendo di essere stato ingiustamente scavalcato nell’assegnazione di nuovi incarichi dirigenziali apicali, a suo dire conferiti a colleghi con titoli inferiori, il dirigente citava in giudizio l’Ente locale. La sua richiesta era volta a far dichiarare l’illegittimità delle nomine e a ottenere un risarcimento per il danno professionale e morale subito.

La Controversia sugli Incarichi Dirigenziali Apicali: Fiducia contro Meritocrazia

La difesa del dirigente si fondava su due pilastri. In primo luogo, contestava l’eccessiva enfasi sulla “natura fiduciaria” delle nomine, sostenendo che il quadro normativo impone un conferimento basato su criteri meritocratici, garantiti da pubblicità, trasparenza e un’adeguata motivazione. Secondo il ricorrente, l’amministrazione non aveva seguito un corretto iter valutativo.

In secondo luogo, il dirigente criticava la decisione della Corte d’Appello, che aveva respinto la sua domanda per carenza di prova sulla “perdita di chance”. A suo avviso, le allegazioni fornite erano sufficienti a dimostrare l’alta probabilità di ottenere uno degli incarichi se fosse stata condotta una valutazione comparativa corretta.

L’amministrazione comunale, dal canto suo, si difendeva sostenendo la correttezza del proprio operato, giustificando le scelte nell’ambito di una più ampia riorganizzazione voluta dalla nuova Giunta e sottolineando la legittimità dell’incarico comunque assegnato al dirigente.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo importanti chiarimenti. In primo luogo, i giudici hanno ribadito che, per gli incarichi conferiti ai sensi dell’art. 109 del T.U.E.L., l’amministrazione gode di un potere discrezionale. Sebbene questo potere non sia sinonimo di arbitrio e debba essere esercitato nel rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) e di imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.), ciò non configura un diritto soggettivo del dipendente al conferimento dell’incarico.

L’amministrazione è tenuta a una valutazione comparativa e a una congrua motivazione, ma la scelta finale rimane rimessa alla sua discrezionalità. La Corte ha precisato che la semplice allegazione di una presunta superiorità professionale non è sufficiente a dimostrare l’illegittimità delle nomine. Il ricorrente avrebbe dovuto fornire elementi concreti per dimostrare che le scelte operate erano arbitrarie o violative delle regole di correttezza, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

Sul secondo motivo, relativo alla perdita di chance, la Corte ha dichiarato il motivo inammissibile. Il ricorrente si era limitato a confutare la valutazione del giudice di merito, senza però provare in modo concreto le circostanze di fatto che avrebbero supportato la sua pretesa. In altre parole, non è bastato affermare che “se la valutazione fosse stata corretta, avrebbe ottenuto l’incarico con alta probabilità”. Era necessario dimostrare specificamente quali elementi (risultati professionali, competenze specifiche, etc.) lo rendessero oggettivamente più idoneo degli altri candidati per quegli specifici incarichi, al punto da rendere altamente probabile la sua nomina. La Corte ha inoltre ricordato che il possesso della qualifica dirigenziale non implica automaticamente l’idoneità a ricoprire qualsiasi tipo di incarico di vertice.

le conclusioni

L’ordinanza della Cassazione consolida un principio chiave nel pubblico impiego privatizzato: la nomina ai vertici dirigenziali, pur dovendo seguire procedure trasparenti e motivate, conserva un nucleo di discrezionalità in capo all’amministrazione. Per il dirigente che si sente leso, non è sufficiente lamentare una generica violazione dei principi di meritocrazia; è indispensabile un onere probatorio rigoroso. Egli deve dimostrare non solo la propria idoneità, ma anche l’arbitrarietà della scelta dell’amministrazione e, soprattutto, la concreta e probabile possibilità che, in assenza dell’illegittimità, avrebbe ottenuto l’incarico. Questa decisione rafforza la discrezionalità gestionale della P.A., pur ancorandola ai doveri di correttezza e buona fede.

L’amministrazione pubblica ha totale libertà nella scelta per gli incarichi dirigenziali apicali?
No, la scelta non è totalmente libera né arbitraria. L’amministrazione deve rispettare i criteri di competenza professionale, le modalità previste dai regolamenti e agire secondo i principi generali di correttezza e buona fede. Tuttavia, la scelta finale conserva un carattere discrezionale e non esiste un diritto soggettivo del dipendente a ottenere l’incarico.

Cosa deve dimostrare un dirigente che lamenta una perdita di chance per il mancato conferimento di un incarico?
Il dirigente deve provare le circostanze di fatto concrete che rendono altamente probabile, e non solo possibile, che avrebbe ottenuto l’incarico se l’amministrazione avesse condotto una valutazione comparativa corretta. Non è sufficiente affermare la propria superiorità professionale, ma bisogna fornire elementi specifici a sostegno della propria pretesa.

Il possesso della qualifica dirigenziale garantisce l’idoneità a ricoprire qualsiasi incarico di vertice?
No. Secondo la Corte, il possesso della qualifica dirigenziale presuppone un’attitudine professionale generica, ma non implica automaticamente l’idoneità a ricoprire qualunque tipo di incarico, specialmente quelli che richiedono specifiche professionalità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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