Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17866 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17866 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 10233/2023 proposto da:
Comune di Poggio a Caiano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso l’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Firenze n. 15/2023, pubblicata il 20 febbraio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha chiesto al Tribunale di Prato di accertare l’illegittimità dei contratti a tempo determinato intercorsi tra le parti dal 1° dicembre 2006 all’8 dicembre 2018 e ha chiesto la relativa tutela risarcitoria di legge.
Egli ha esposto di avere prestato attività lavorativa per il Comune di Poggio a Caiano in base a una reiterata serie di contratti a tempo determinato, con qualifica di ‘responsabile dei servizi tecnici’, i quali erano privi di ragioni giustificative di carattere temporaneo.
Il Tribunale di Prato, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 124/2021, ha rigettato il ricorso.
NOME COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Firenze, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 15/2023, ha accolto.
Il Comune di Poggio a Caiano ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 110 d.lgs. n. 267 del 2000 e della Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.
Sostiene che la corte territoriale avrebbe errato a non tenere conto che tutti i contratti oggetto di lite sarebbero stati conclusi ai sensi dell’art. 110, comma 1, TUEL, disposizione che non avrebbe subordinato la conclusione dei contratti alla prova dell’esistenza di ‘esigenze gestionali straordinarie’.
Inoltre, prospetta l’assenza di un abuso del diritto unionale e nega l’esistenza di una reiterazione abusiva per quello nazionale, alla stregua della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione.
Con il secondo motivo parte ricorrente contesta la violazione dell’art. 110 d.lgs. n. 267 del 2000 e dell’art. 2697 c.c.
Afferma che la corte territoriale avrebbe errato a ritenere evidente l’illegittimità delle assunzioni senza che il ricorrente avesse fornito alcuna prova al riguardo e a non considerare che il ricorrente avrebbe impostato la sua
domanda solo sul superamento del termine di 36 mesi il quale, però, non avrebbe avuto alcun rilievo.
Inoltre, il lavoratore non avrebbe neppure dimostrato di avere subito un danno.
Con il terzo motivo la parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 110 TUEL e dell’art. 2126 c.c. in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel dichiarare l’illegittimità, ma non la nullità dei contratti in esame, atteso che, in quest’ultima ipotesi, controparte avrebbe avuto diritto solo alla retribuzione per le prestazioni effettuate.
Le tre censure, che possono essere trattate congiuntamente, stante la stretta connessione, sono fondate.
Nella specie, rileva il disposto dell’art. 110 del d.lgs. n. 267 del 2000, il quale prescriveva, nel testo in vigore fino al 18 agosto 2014, che:
‘
,
Per quel che qui interessa, deve tenersi conto che l’art. 110 del d.lgs. n. 267 del 2000, ha previsto la possibilità per gli enti locali di conferire incarichi dirigenziali o di alta specializzazione a contratto sia nell’ambito della dotazione organica (art. 110, comma 1) sia al di fuori della dotazione organica (art. 110, comma 2).
Quindi, l’art. 110 TUEL contempla, al primo comma, una tipologia di assunzione (dirigenziale o di alta specializzazione) sostitutiva di un’assunzione a tempo indeterminato, per un posto ‘di ruolo’, cioè per una posizione che l’amministrazione ritiene strettamente necessaria per la conduzione degli ordinari servizi dell’ente.
Di conseguenza, i dirigenti/responsabili a tempo determinato delle strutture di massima dimensione dell’organigramma dell’ente non possono che essere assunti ai sensi del comma 1, utilizzabile per il conferimento di incarichi dirigenziali o di funzioni dirigenziali aventi ad oggetto funzioni stabili dell’ente, ossia funzioni fondamentali, delegate o attribuite, per l’esercizio delle quali si richiede la preventiva formazione e costituzione di un ben definito nesso di immedesimazione organica, necessario per formare la volontà dell’ente e riferirla al suo esterno.
Le assunzioni di cui al comma 2 (che possono essere egualmente dirigenziali o di alta specializzazione), essendo previste al di fuori della ordinaria dotazione organica dell’ente, presuppongono un’esigenza straordinaria che non necessariamente deve essere prevista nella dotazione (la disposizione, nell’ambito di questa seconda ipotesi, distingue a sua volta tra enti nei quali è prevista la dirigenza e gli altri enti, normalmente più piccoli, ove la dirigenza non è prevista). Si tratta, dunque, di assunzioni che si caratterizzano per la natura specialistica, settoriale, temporanea ed eccezionale delle attività affidate e non hanno ad oggetto funzioni ordinarie, di direzione di struttura e di gestione, tipiche, invece, dei profili di dirigente o di posizione organizzativa.
L’art. 110, pertanto, contempla due diverse fattispecie di incarichi a contratto e a tempo determinato.
Si deve considerare che la corte territoriale non ha accertato con chiarezza la natura dei contratti conclusi fra le parti, ossia la loro riconducibilità al modello dell’art. 110, comma 1, o a quello dell’art. 110, comma 2. Peraltro, ha affermato che le assunzioni erano illegittime in quanto non avvenute in presenza di esigenze gestionali straordinarie, atteso che le attività svolte (responsabile dei servizi tecnici) concernevano ‘una funzione fondamentale nell’attività di amministrazione demandata ad un Comune’.
Ha dato per accertato, poi, che i primi due contratti conclusi con l’ente locale (in tutto, sono stati sei) concernessero un posto al di fuori della dotazione organica e che fossero illegittimi per violazione dei principi dettati dalla Direttiva 1999/70/CE, perché il lavoratore era stato assunto con ripetuti contratti a termine, via via diversamente qualificati, ma sempre per lo svolgimento delle
medesime funzioni, per complessivi 12 anni, con la conseguenza che erano illegittimi pure i contratti successivi al secondo, trattandosi di rapporto sostanzialmente unitario.
Si deve ritenere, quindi, che il giudice di appello abbia considerato i contratti in esame tutti riconducibili alla tipologia dell’art. 110, comma 2, TUEL e si osserva che, pur non esprimendosi in maniera esplicita, ha dato atto, senza contestarla, dell’affermazione del Tribunale di Prato secondo il quale si trattava di prestazioni di elevata professionalità.
Ne ha, pertanto, come detto, dichiarato l’illegittimità e ha riconosciuto all’attuale controricorrente il risarcimento del danno conseguente la reiterazione abusiva, in applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, con esonero dall’onere probatorio nella misura di cui all’art. 32, comma 5, legge n. 183 del 2010 (c.d. danno comunitario), venendo in rilievo un pregiudizio presunto avente ad oggetto non la nullità del termine dei singoli contratti, ma la loro abusiva reiterazione.
Si pone, allora, un problema di durata dei contratti in esame.
Al riguardo, viene in rilievo, innanzitutto, il comma 3 dell’art. 110 TUEL, per il quale ‘i contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del Sindaco o del Presidente della provincia in carica’).
Va considerato, però, per taluni aspetti, il comma 6 dell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, in base a cui ‘la durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni’.
Infatti, questa Suprema Corte, sebbene ad altri fini, ha ritenuto i rapporti a tempo determinato, instaurati ai sensi del richiamato art. 110, assoggettati alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 165 del 2001, tranne che negli aspetti espressamente regolati dalla norma speciale o per quelli incompatibili con la natura temporanea del rapporto (Cass., Sez. L, n. 5516 del 19 marzo 2015).
Più precisamente, con riguardo all’incarico dirigenziale, è stato affermato che la disciplina statale, pur non avendo una disposizione del tutto sovrapponibile,
integra quella degli enti locali: la prima, con la predeterminazione della durata minima dell’incarico, è volta ad evitare il conferimento di incarichi troppo brevi e a consentire al dirigente di esercitare il mandato per un tempo sufficiente a esprimere le sue capacità e a conseguire i risultati per i quali l’incarico gli è stato affidato; la seconda, invece, ha la funzione di fornire al Sindaco uno strumento per affidare incarichi di rilievo, anche al di fuori di un rapporto di dipendenza stabile e oltre le dotazioni organiche, e di garantire la collaborazione del dirigente o dello specialista incaricato per tutto il periodo del mandato del Sindaco, fermo restando il rispetto del suddetto termine minimo nell’ipotesi di cessazione di tale mandato (Cass., Sez. L, n. 478 del 13 gennaio 2014, secondo cui, in tema di affidamento, negli enti locali, di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’amministrazione, si applica l’art. 19 d.lgs. n. 165 del 2001, per il quale la durata di tali incarichi non può essere inferiore a tre anni né eccedere il termine di cinque).
Per gli incarichi, del tutto speciali, di cui all’art. 110 TUEL (sia primo sia secondo comma), la possibilità di superamento dei 36 mesi è, dunque, espressamente prevista sia dal comma 3 del medesimo articolo 110 sia dal d.lgs. n. 165 del 2001 (che, come detto, prevede una durata minima di tre anni) né può dirsi che tale superamento violi il diritto UE (che, ai fini della configurabilità dell’abuso, non ha fissato un limite temporale, ma ne ha rimesso la determinazione agli Stati membri).
Di conseguenza, non può discutersi di abuso da parte della P.A., che ha applicato una disposizione di legge.
D’altronde, la Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, che, come è noto, non impone una pluralità di misure né un determinato termine di durata, è rispettata ove ricorrano le condizioni richieste, al fine di prevenire gli abusi, dalla norma nazionale per far luogo all’assunzione.
Come evidenziato dalla CGUE nella sentenza del 7 marzo 2018 (in causa C494/16, COGNOME), la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro mira ad attuare uno degli obiettivi perseguiti dallo stesso, vale a dire limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato
come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima tese ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (segnatamente, sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C-212/04, EU:C:2006:443, punto 63; del 26 gennaio 2012, Kücük, C-586/10, EU:C:2012:39, punto 25, nonché del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C-362/13, C-363/13 e C-407/13, EU:C:2014:2044, punto 54). La suddetta clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri, al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l’adozione di almeno una delle misure che essa elenca, quando il loro diritto interno non contiene rimedi di legge equivalenti.
Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi di questi ultimi (sentenza del 26 novembre 2014, COGNOME e a., C-22/13, da C-61/13 a C63/13 e C-418/13, EU:C:2014:2401, punto 74 nonché giurisprudenza ivi citata).
Gli Stati membri dispongono, a tale riguardo, di un potere discrezionale, dal momento che essi possono scegliere di fare ricorso a una o più delle misure elencate in detta clausola 5, punto 1, lettere da a) a c), oppure a misure di legge esistenti ed equivalenti, e ciò tenendo conto, nel contempo, delle esigenze di settori specifici e/o di categorie di lavoratori (sentenza del 26 novembre 2014, COGNOME e a., C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, EU:C:2014:2401, punto 75 e giurisprudenza ivi citata).
Nella fattispecie, la temporaneità dell’esigenza, come sopra evidenziata, fa escludere l’abusività del termine e della proroga. La tesi dell’applicabilità del limite dei 36 mesi contrasta con il tenore letterale della norma che fissa la durata massima in misura pari al mandato elettivo; contrasta anche con il citato precedente di questa Suprema Corte n. 478 del 2014, che ha ritenuto applicabile il limite minimo triennale.
Queste considerazioni rendono palese l’insussistenza dei requisiti per rimettere la controversia all’attenzione della CGUE.
In concreto, decidendo la causa C-283/81, CILFIT c. Ministero della Sanità, la Corte di giustizia ha enunciato le tre circostanze che, ancora oggi, sollevano il giudice ‘avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno’ da un adempimento altrimenti obbligatorio (punti 12-16 della sentenza).
Tali circostanze si possono riassumere come segue:
l’identità materiale della fattispecie ad altra su cui la Corte di giustizia si sia già espressa;
la presenza di una giurisprudenza consolidata della Corte stessa sul medesimo punto di diritto all’esame del giudice nazionale, anche in assenza di identità materiale della fattispecie (c.d. teoria dell’ acte éclairé );
la mancanza di ogni ragionevole dubbio sull’applicazione delle norme rilevanti di diritto dell’Unione (c.d. teoria dell’ acte clair ).
Negli anni si è spesso discusso in ordine alla portata dei criteri sopraelencati, in particolare con riferimento a quello sub c).
È questo il contesto nel quale è maturata la decisione del 6 ottobre 2021, nella causa C-561/19, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE affidata alla Grande Sezione per l’importanza del tema trattato.
La sentenza, molto attesa, ha affermato i seguenti principi:
‘L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non è rilevante o che la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi. La configurabilità di siffatta eventualità deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione. Tale giudice non può essere esonerato da detto obbligo per il solo motivo che ha già adito la Corte in via pregiudiziale nell’ambito del medesimo procedimento
nazionale. Tuttavia, esso può astenersi dal sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte per motivi d’irricevibilità inerenti al procedimento dinanzi a detto giudice, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività’.
Alla luce di quanto esposto, deve ritenersi che la presente decisione sia del tutto coerente con la giurisprudenza unionale sopra citata e che, palesemente, nessuna violazione vi sia della direttiva richiamata dal ricorrente.
Allo stesso tempo, la chiara conformità dell’indirizzo seguito da questa Corte di legittimità a quello ricavabile dal diritto UE esclude i presupposti che giustificherebbero la rimessione della causa alla Corte costituzionale, non essendo prima facie rilevabile una violazione dell’art. 117 Cost., come, al contrario, sostenuto dal ricorrente.
Pertanto, la presente controversia deve essere decisa alla luce della giurisprudenza di questa Suprema Corte che ha affermato come, nell’ordinamento degli enti locali, gli incarichi dirigenziali o di alta specializzazione, al di fuori della dotazione organica, conferiti, in caso di esigenze temporanee ed eccezionali, ai sensi dell’art. 110, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000, siano di tip o subordinato, perché comportano l’inserimento dei soggetti incaricati, adibiti a compiti istituzionali, nell’organizzazione dell’ente, con applicazione della relativa contrattazione collettiva; trattasi di rapporti peculiari, per i quali è consentita, per espressa previsione del legislatore, deroga alla durata massima di trentasei mesi dei contratti a termine, che non si pone in contrasto con il diritto unionale, stante la temporaneità delle esigenze sottese al ricorso all’istituto e la previsione, comunque, di un limite temporale, benché correlato alla durata del mandato elettorale (Cass., Sez. L , n. 12837 del 10 maggio 2024; Cass., Sez. L, n. 10031 del 16 aprile 2025, non massimata ).
Ne deriva che non poteva essere accolta la domanda risarcitoria del lavoratore ex art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, sub specie di c.d. danno comunitario, essendo fondata su una insussistente abusività della reiterazione dei contratti.
Infatti, alla stipula di un contratto ex art. 110 d.lgs. n. 267 del 2000 per la durata del mandato di un Sindaco o di un Presidente di Provincia può seguire, con riferimento al mandato successivo, la conclusione di un nuovo contratto, non
vietando ciò il menzionato art. 110 menzionato, norma fondamentale in tema di durata dei rapporti de quibus .
In aggiunta a ciò, si osserva che non è condivisibile neppure la valutazione di illegittimità dei contratti in esame compiuta dalla corte territoriale.
Infatti, in ordine ai contratti successivi al secondo, detta illegittimità è stata considerata una conseguenza di quella dei primi due contratti.
Per quanto riguarda il primo e il secondo contratto, invece, è stata dichiarata semplicemente sul presupposto che l’attività svolta fosse ‘una funzione fondamentale nell’attività di amministrazione demandata ad un Comune’.
La corte territoriale, in realtà, avrebbe dovuto verificare siffatta invalidità esclusivamente alla luce dei requisiti di stipulazione dei contratti menzionati dall’art. 110 TUEL, distinguendone l’eventuale tipologia alla luce, in primis , del fatto che il lavoro avesse occupato posizioni di ruolo o non di ruolo.
Qualora avesse reputato non adeguata la loro riconducibilità al modello dell’art. 110, comma 2, citato, non caratterizzandosi le assunzioni per la natura specialistica, settoriale, temporanea ed eccezionale delle attività affidate, ma per la circostanza di avere ad oggetto funzioni ordinarie, di direzione di struttura e di gestione, avrebbe dovuto valutare l’opportunità di ricondurre i rapporti allo schema dell’art. 110, comma 1, TUEL.
In ogni caso, si rileva che l’eventuale invalidità dei contratti in esame avrebbe potuto, in assenza di prova specifica di un danno particolare, che avrebbe dovuto essere data dal lavoratore, condurre solo al riconoscimento del diritto del dipendente a percepire la retribuzione per le mansioni svolte, che risulta essere stata regolarmente corrisposta.
Il quarto motivo, attinente alla violazione dell’art. 110 TUEL e degli artt. 32 e 36 d.lgs. n. 165 del 2001 e che concerne il rigetto dell’eccezione di decadenza di parte ricorrente, è da considerare assorbito.
Il ricorso è accolto in ordine ai primi tre motivi, assorbito il quarto.
La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, la quale deciderà la causa anche in ordine alle spese di legittimità, in applicazione dei seguenti principi di diritto:
‘Nell’ordinamento degli enti locali, gli incarichi dirigenziali o di alta specializzazione, al di fuori della dotazione organica, conferiti, in caso di esigenze temporanee ed eccezionali, ai sensi dell’art. 110, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000, sono di tipo subordinato, per ché comportano l’inserimento dei soggetti incaricati, adibiti a compiti istituzionali, nell’organizzazione dell’ente, con applicazione della relativa contrattazione collettiva; trattasi di rapporti peculiari, per i quali è consentita, per espressa previsione del legislatore, deroga alla durata massima di trentasei mesi dei contratti a termine, che non si pone in contrasto con il diritto UE, stante la temporaneità delle esigenze sottese al ricorso all’istituto e la previsione, comunque, di un limite temporal e, benché correlato alla durata del mandato elettorale’;
‘L’art. 110 d.lgs. n. 267 del 2000 disciplina, ai commi 1 e 2, due distinte tipologie di assunzione a contratto a tempo determinato:
la prima, al comma 1, è sostitutiva di un’assunzione a tempo indeterminato, per un posto di ruolo, ossia per una posizione che l’amministrazione ritiene strettamente necessaria per la conduzione degli ordinari servizi dell’ente, con la conseguenza che i dirigenti/responsabili a tempo determinato delle strutture di massima dimensione dell’organigramma dell’ente non possono che essere assunti ai sensi del comma 1, utilizzabile per il conferimento di incarichi dirigenziali o di funzioni dirigenziali aventi ad oggetto funzioni stabili dell’ente, vale a dire funzioni fondamentali, delegate o attribuite, per l’esercizio delle quali si richiede la preventiva formazione e costituzione di un ben definito nesso di immedesimazione organica, necessario per formare la volontà dell’ente e riferirla al suo esterno;
la seconda, al comma 2, è prevista al di fuori dell’ordinaria dotazione organica dell’ente e presuppone un’esigenza straordinaria che non necessariamente deve essere stabilita nella dotazione, trattandosi, dunque, di un contratto che si caratterizza per la natura specialistica, settoriale, temporanea ed eccezionale delle attività affidate e non ha ad oggetto funzioni ordinarie, di direzione di struttura e di gestione, tipiche, invece, dei profili di dirigente o di posizione organizzativa.
Al mancato rispetto dei presupposti stabiliti dall’art. 110, commi 1 e 2, citato, per la conclusione dei relativi contratti consegue la nullità degli stessi, dalla quale può derivare il diritto del lavoratore al risarcimento del danno subito, la cui esiste nza ed entità deve essere provata dall’interessato’.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie i primi tre motivi di ricorso , assorbito il quarto;
cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, la quale deciderà la causa anche in ordine alle spese di legittimità .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 21